Geopolitica del Mar Rosso

(di Renato Scarfi)
10/06/24

Il Mar Rosso, una sottile striscia di mare che separa due continenti dalle rive desertiche, è sempre più sotto i riflettori della comunità internazionale. Teatro delle rivalità e dei giochi di potere degli attori regionali che ne rivendicano la “proprietà” è oggi diventato anche cassa di risonanza del lungo scontro israelo-palestinese, mentre è e rimane soprattutto una frontiera tra due mondi che non sembrano condividere lo stesso destino.

L’Arabia Saudita

Riad ha (ri)scoperto il Mar Rosso da quando ha cominciato a studiare vie alternative agli enormi introiti derivanti dal traffico di petrolio, che non dovrebbero durare ancora molto a lungo. In previsione della fine dell’era petrolifera e della probabile minore presenza economica occidentale nel Golfo Persico i sauditi stanno, quindi, cercando iniziative alternative per assicurare lo status quo politico nell’area e la prosecuzione del delicato sistema di equilibri interni, fortemente correlati alla disponibilità economica. In tale quadro il Mar Rosso è apparso come un nuovo orizzonte, in grado di offrire opportunità finora non esaminate, guadagnandosi un posto di primo piano nella strategia post-petrolio di Mohammed bin Salman (MBS).

Una strategia che tenderebbe a trasferire dalle rive del Golfo Persico a quelle sul Mar Rosso il centro di gravità dell’economia saudita, uscendo dalle forche caudine dello Stretto di Hormuz, notoriamente minacciato dai pasdaran iraniani, e differenziando al contempo le attività lucrative (leggi articolo “La strategia marittima iraniana nel quadro degli equilibri geopolitici del Golfo Persico”).

Nella visione di MBS questa striscia di mare dovrebbe diventare sostanzialmente un “lago saudita”, attraverso la costruzione di centri turistici ultramoderni, di città futuriste e la rivalutazione di siti archeologici, in grado di dare ampiezza e respiro agli interessi economici e politici sauditi nella regione e nel mondo.

Il suo approccio, tuttavia, è contraddistinto da impulsività ed estremo cinismo, e non ha finora attirato molte simpatie, che implicano investimenti esteri, verso le sue iniziative volte a stabilire l’egemonia saudita sul Mar Rosso e ne ha profondamente minato la credibilità internazionale quale protagonista in grado di unire i vari attori e garantire stabilità nella regione.

A partire dalla disastrosa condotta delle azioni militari contro gli Houthi, all’indomani del colpo di mano con il quale hanno preso il potere in circa un terzo dello Yemen (2014). L’azione militare non mirata ha portato, infatti, alla devastazione delle infrastrutture, delle città, dei villaggi e a massacri di civili inermi. Per non parlare del sostanziale fallimento dell’embargo decretato nel 2017 a carico del Qatar, che non ha visto l’adesione di Kuwait e Oman e che ha finito per rafforzare l’indipendenza economica degli stessi qatarini, che hanno avuto anche un notevole ritorno in termini di immagine nel mondo arabo-musulmano. Per finire all’omicidio Kashoggi (2018), un evento che ha gettato diffidenza internazionale verso la sua figura di uomo politico, anche se non ha avuto alcuna ripercussione a Riad, segno evidente che MBS aveva e ha saldamente in mano le redini della politica interna saudita, tuttavia ampiamente insufficiente per proiettare la sua figura sul teatro internazionale. Si spiegano così i fallimentari investimenti nell’acquisto di molte stelle del calcio internazionale e l’avvicinamento all’Iran, ancora tutto da verificare nella sua concretezza, anche alla luce dei possibili ritorni negativi di immagine, vista la vicinanza di Teheran con l’aggressore russo (leggi articoloVerba volant, acta manent”).

Il Corno d’Africa

L’area rappresenta un nodo di relazioni complesse tra gli attori che si affacciano su quel tratto di mare. Tra questi le contrapposizioni di Etiopia ed Eritrea rimangono all’ordine del giorno, anche dopo l’apparente “riconciliazione” del 2018, abbondantemente innaffiata con miliardi di USD, che ha portato l’allora primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed Ali, a ottenere il Premio Nobel per la pace. In tale ambito, Arabia Saudita ed EAU hanno fortemente sponsorizzato l'intesa tra i due Paesi, nel quadro della loro crescente presenza nel Corno d'Africa e, in particolare, in Somalia in competizione con Turchia e Qatar, condizionati nei loro comportamenti dai rapporti con l'Egitto in vari scacchieri.

Nel complesso, però, si tratta del raggiungimento di una calma precaria che maschera la persistenza nell’area di un profondo malessere e di una rivalità apparentemente insanabile, oltre che di tensioni di vario genere, in primo luogo etniche, che non aiutano certo la complessiva situazione delle rispettive popolazioni. Le tensioni etniche, infatti, persistono malgrado le grandi speranze riposte nel citato percorso di riconciliazione nazionale, che ha posto fine a 20 anni di guerra a bassa intensità. In tale ambito, la pace non sembra aver portato, come auspicato, un maggiore sviluppo economico e sociale per i cittadini etiopi ed eritrei. Lo stallo sembra in gran parte riconducibile all’approccio di Asmara, che mantiene il suo tradizionale isolamento dalla comunità internazionale e che teme i rischi connessi alla prospettiva di diventare lo sbocco al mare di Addis Abeba che, attraverso il processo di riconciliazione, intenderebbe usufruire del porto di Massaua quale terminale per il suo traffico mercantile. Secondo alcuni osservatori, inoltre, l’Eritrea sosterrebbe indirettamente i conflitti interni etiopi, con l’obiettivo di indebolire il grande Paese confinante, in modo da consentire ad Asmara di acquisire il posto cui ambisce sulla scena regionale e internazionale. In tale azione avrebbe registrato la complicità dell’Egitto, che rimane contrapposto all’Etiopia sulla delicata e vitale questione del controllo delle acque del Nilo (leggi articoloAspetti strategici del riscaldamento globale”).

Va anche evidenziato il ruolo destabilizzante di una serie di altri attori esterni, come ulteriore elemento di debolezza che si aggiunge a quelli già menzionati. I nuovi attori in Africa (Turchia, Emirati, Arabia Saudita, Qatar, Russia, Cina, etc) operano sul Continente, infatti, con agende nascoste e per finalità spesso ricollegabili a un espansionismo mercantile e religioso. Agende portate avanti senza scrupoli e con intenti predatori, quindi, destinate a non facilitare la conclusione pacifica delle controversie e suscettibile, per esempio, di portare l’Egitto e l’Etiopia verso un conflitto armato da usare quale strumento di ulteriore destabilizzazione del Corno d’Africa e della regione del Mar Rosso.

L’Etiopia è stata storicamente esposta a interferenze esterne da parte di quanti avevano interesse a rendere più fragile un Paese dotato di un notevole potenziale demografico, militare, politico ed economico. Interferenze che possono essere correlate al flusso di denaro per le infrastrutture. In tale ambito, l’Etiopia vede massicci investimenti privati da parte dei sauditi, in particolare nel settore agricolo. A questi si aggiungono poi i colossali investimenti cinesi, nell’ambito di una relazione privilegiata tra Addis Abeba e Pechino, che vede l’Etiopia come una porta di ingresso al continente africano a ridosso del Mar Rosso, pur non avendo sbocchi al mare. Fedeli alle loro tradizioni, alla loro filosofia e alla loro prassi i cinesi non hanno fretta. In quella parte di mondo stanno sviluppando una politica estremamente onerosa, che ha relativamente poche contropartite immediate, ma che prevedibilmente offrirà significativi frutti in futuro.

Va anche sottolineato che nell’area la Cina ha sottratto agli EAU il controllo del traffico merci del terminale porta-containers del porto di Gibuti, che oggi è divenuto anche sua unica e stabile base navale all’estero. Le ambizioni cinesi sul continente africano sembrano, quindi, aver trovato un solido punto di “sbarco” a “portata di voce” dalla base di Camp Lemonnier, sede del Combined Joint Task Force – Horn of Africa (CJTF-HOA) dello United States Africa Command (USAFRICOM).

A completare il disarmante quadro del Corno d’Africa va sottolineato che nel 2016 la Somalia ha elaborato una bozza di Costituzione la quale, tuttavia, apparve subito come un prodotto inconsistente rispetto alla realtà sul campo, con cinque Stati federati e un governo centrale che controllavano autonomamente parti del territorio ma che non collaboravano tra loro in un contesto di non chiarezza riguardo all’uso delle risorse naturali, dimostrando tutta la loro debolezza a causa di tensioni interne e di interferenze esterne con finalità contrastanti.

Le ripercussioni del conflitto israelo-palestinese

In seguito ai combattimenti nell’area di Gaza, susseguenti alle stragi del 7 ottobre 2023, il Mar Rosso si è rivelato una cassa di risonanza di quel perdurante conflitto. L’inatteso sostegno militare dei ribelli Houthi, attivamente sostenuti dall’Iran, si è tradotto in attacchi di rappresaglia contro il traffico commerciale che transita davanti alle coste yemenite, inizialmente limitati ai mercantili riconducibili agli interessi israeliani ma poi allargatisi a qualunque nave, militare o civile, battente bandiera di un Paese amico di Israele.

Economicamente il tutto si è tradotto in una iniziale perdita di proventi da parte dell’Egitto che ha registrato una riduzione del traffico attraverso il canale di Suez e, quindi, degli introiti ad esso correlati, che rappresentano una delle principali risorse nazionali, insieme al turismo e al gas naturale. Ciò proprio nel momento in cui Il Cairo si sta adoperando nella realizzazione di grandi infrastrutture, di cui il raddoppio del Canale rappresenta la principale voce. Una perdita economica che non influiva solo sull’economia egiziana, ma anche sulle economie europee e sulla Cina, principale Paese esportatore di merci verso l’Occidente, lungo la rotta del Mar Rosso.

Alle continue offese dalla milizia Houthi alla libertà di navigazione si sono successivamente aggiunte anche azioni di sabotaggio contro i sistemi di comunicazione internazionale, come i cavi subacquei digitali e telefonici che passano nello Stretto di Bab-el-Mandeb, che unisce il Mar Rosso e il Golfo di Aden.

Gli USA e la Gran Bretagna, assieme ad altri Stati mediorientali e dell’Estremo Oriente, nel dicembre 2023 hanno avviato la missione “Prosperity Guardian” e, nel successivo gennaio, i due Paesi hanno avviato anche l’operazione “Poseidon Archer”, che prevede di colpire la minaccia alla fonte, cioè i siti di lancio di droni e missili degli Houthi in territorio yemenita.

La risposta delle Nazioni Unite agli attacchi degli Houthi si è concretizzata il 10 gennaio con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 2722 (2024), con la quale si chiedeva l’immediata cessazione degli attacchi e si prendeva atto del diritto degli Stati membri, in conformità al diritto internazionale, di difendere le loro navi.

Da parte sua il Consiglio UE ha approvato il 29 gennaio un concetto di gestione della crisi in Mar Rosso, dando così il via agli atti formali che hanno poi portato alla definitiva approvazione dell’operazione navale dell’Unione Europea denominata “Aspides”, approvata a grande maggioranza (271 sì e 6 no) dal Parlamento italiano il 5 marzo. Tra i Paesi che si erano dichiarati disponibili fin da subito ad assumere un ruolo operativo nella missione (Francia, Germania, Grecia e Italia), comunque, Italia e Germania si stavano già predisponendo in area di operazioni (Caio Duilio) e avevano già provveduto ad abbattere dei droni diretti verso le unità militari, ripetendosi nei giorni successivi, in risposta a nuovi attacchi degli Houthi. (leggi articoloEvoluzione della minaccia negli scenari marittimi”)

La missione “Aspides” si è così aggiunta alle altre due missioni dell’UE già attive nell’area per altri scopi: l’operazione “Atalanta” (Golfo di Aden e Oceano Indiano presso le coste somale) e l’operazione “Agenor” (Golfo Arabo/Persico).

Ciò nonostante, gli Houthi hanno dichiarato che interromperanno la loro azione di destabilizzazione solo qualora venga raggiunta una soluzione politica definitiva al conflitto israelo-palestinese (due Stati). Avendo ancora negli occhi le terribili immagini della strage del 7 ottobre, al momento una tale soluzione sembrerebbe piuttosto complicata da raggiungere e, anche qualora fosse realizzata, non è detto che gli Houthi rispetterebbero quanto promesso. Tanto più se consideriamo il fatto che gli Houthi hanno ben altri obiettivi prioritari, in cui la questione di Gaza offre solo uno spunto di visibilità internazionale (e propaganda). Essi, infatti, stanno giocando una partita che riguarda il futuro assetto dello Yemen e la loro prova di forza è un “pizzino” inviato ai negoziatori in merito alle loro rivendicazioni. Ma le domande sono: quanto sono affidabili gli Houthi? Anche ipotizzando che gli sforzi diplomatici degli Stati Uniti con il concorso di Arabia Saudita e Oman per la composizione della situazione yemenita avessero successo, quale sicurezza ci sarebbe circa il mantenimento della parola data? In tutta questa situazione, la presenza del delicato e trafficatissimo passaggio di Bab-el-Mandeb, e la possibilità di interferire con la libera navigazione (anche con mezzi non particolarmente costosi/sofisticati) accresce i motivi di perplessità e preoccupazione.

Gli attori esterni

Abbiamo già accennato al ruolo svolto dagli attori esterni alla regione, come gli Stati Uniti, la Cina e l’Unione Europea. In tale ambito risulta di particolare rilievo Gibuti, che ospita, come detto, USAFRICOM e l’unica base navale cinese oltremare. Ma a Gibuti sono presenti (con varia intensità) anche dispositivi militari francesi, italiani, giapponesi, ecc… La presenza in quella che può essere definita la porta di accesso al Mar Rosso è importante per i diversi obiettivi geopolitici dei vari Paesi.

Per la Francia, per esempio, la cui capacità di influire sulle dinamiche regionali ha subito un significativo ridimensionamento, dovuto ad alcune ambiguità evidenziate nel corso degli ultimi venti anni, Gibuti è anche il trampolino di lancio verso l’Oceano Indiano, dove Parigi ha degli interessi. Per gli Stati Uniti, invece, si tratta di una postazione dalla quale osservare il Sahel e la regione nordorientale del continente.

Per la Cina, come detto, è il punto di sbarco ideale per favorire i propri interessi in Etiopia, nel Corno d’Africa e nella penisola arabica (anche attraverso la presenza cinese nel porto saudita di Jizan). Una presenza che è cresciuta lentamente, attraverso investimenti nei settori delle infrastrutture, agricolo e minerario, facilitati dalle riforme di Deng Xiao Ping e dei suoi successori e definitivamente decollati con la globalizzazione, alla base del grande exploit economico della Cina. Tali investimenti, va sottolineato, sono quasi sempre accompagnati da onerosi prestiti con severi strumenti di garanzie collaterali. Investimenti che, nell’area del Mar Rosso, riguardano anche la ferroviai che dovrebbe collegare Port Sudan a N’Djamena, capitale del Ciad.

Ma questi non sono gli unici attori geopolitici presenti sul Mar Rosso. La compagine “straniera” è molto più fluida e ramificata e, per influire sulle dinamiche regionali, è sempre collegata alle strutture marittime.

La Turchia, per esempio, sta elaborando una specie di presenza diffusa e puntiforme che si evidenzia da Suakin (porto del Sudan settentrionale) fino a Mogadiscio, attraverso la presenza di istruttori militari.

Dopo il crollo dell'URSS la Russia è uscita dalla scena regionale per oltre un decennio, con le stesse rappresentanze diplomatiche che furono ridotte all'osso. Ciò nonostante, negli ultimi venti anni Mosca ha sostituito Parigi in alcune aree della regione e del Continente, assecondando la sua propensione verso i mari caldi. In tale ambito, i russi stanno lavorando per la realizzazione di una base navale sulle coste sudanesi, in modo da costituire una ideale linea di collegamento tra Sebastopoli (Crimea), Tartus (Siria), con la collegata base aerea, e Dongoleb (a sud di Porto Sudan), attraverso il Canale di Suez. Un asse che permetterebbe, tra le altre, ai mercenari del gruppo Wagner di accedere, attraverso il Darfur, alle regioni del centro Africa, dove detto gruppo è particolarmente attivo e le cui brutalità e violenze indiscriminate nella cosiddetta azione di stabilizzazione e lotta al jihadismo sono probabilmente destinate nel medio-lungo termine a produrre un rigetto da parte delle popolazioni, con effetti opposti a quelli voluti.

Nell’ambito della competizione dinamica per il controllo dei porti sul Mar Rosso l’emiratina Abu Dhabi Ports ha, invece, ottenuto la gestione di vari terminali sulle coste somale e yemenite del Golfo di Adenii.

Considerazioni finali

Il mare è il bene comune per eccellenza, da cui dipende il nostro progresso. L’ottanta per cento della popolazione mondiale vive entro i primi duecento chilometri di distanza dalla costa. Lungo le rotte marittime si muove il 90% di tutto il commercio mondiale, non solo per i vantaggi economici che ne derivano o per vincoli di natura geografica, ma anche per i minori impatti sull’ambiente in termini di inquinamento. Utilizzando il mare come sistema di comunicazione per il trasporto dei materiali, il livello di inquinamento è infatti cinque volte inferiore rispetto al traffico su ruota e di tre volte rispetto a quello ferroviario.

L'Italia, media potenza regionale che la geografia e l’economia ineludibilmente legano a una vocazione marittima, deve al mare e alle attività a esso connesse gran parte della sua prosperità e della sua sicurezza. In tale contesto, va evidenziata l’importanza strategica dei cosiddetti chocke-point. Senza libertà e sicurezza della navigazione in questi passaggi obbligati il nostro sistema di import-export semplicemente si ferma. Ciò vuol dire prima di tutto navigazione e flussi commerciali attraverso Suez, Gibilterra, lo Stretto di Sicilia, gli Stretti Turchi, Hormuz, Malacca.

In merito al Canale di Suez, è opportuno ricordare come l’incagliamento avvenuto nel 2021 della Ever Given abbia provocato 9,6 miliardi di Euro di danni al giorno e il blocco di 400 navi. Tale episodio mostra la vulnerabilità e le relative conseguenze importanti, se non addirittura critiche, sulla nostra e sull’economia globale (leggi articoloL’importanza economica e geopolitica del Canale di Suez”).

Nel tempo il concetto geopolitico, geostrategico e geoeconomico che individuava la nostra area di primario interesse nazionale ha subito un progressivo allargamento geografico, coerente con l’espansione dei nostri interessi nazionali, che dal Mar Mediterraneo è oggi arrivato a includere il bacino somalo, il Golfo di Guinea, e lo stretto di Hormuz e l’Indo-Pacifico. Per tutelare i propri interessi nazionali, per contare in Europa e nel Mediterraneo, il nostro Paese deve quindi essere autorevolmente presente sui mari del mondo. L’Italia è, pertanto, diventata una media potenza regionale con interessi globali. È per questo motivo che il nostro Paese, con la Marina Militare, è estremamente attivo sia in termini cooperativi che operativi, sostenendo e promuovendo azioni per la sicurezza marittima e la difesa delle linee di comunicazione marittime e della libertà di navigazione, per la tutela degli interessi nazionali, per il concorso alla stabilità regionale e alla gestione delle crisi, nell’ambito di relazioni bilaterali, multilaterali e nel quadro di Alleanze adeguatamente strutturate.

In tale ambito è importante sottolineare che, coerentemente, l’Italia continua ad assumersi crescenti e importanti responsabilità internazionali per la tutela della libertà di navigazione e per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e delle linee di comunicazione telematica, mettendo in campo tutta la professionalità degli operatori del settore.

Una professionalità riconosciuta in ambito internazionale, tant’è che l’Italia ha preso il comando in mare di tutte e tre le missioni navali europee prima citate. Un settore specifico, quello della sicurezza marittima, che dopo anni in cui l’Unione Europea non è stata in grado di esercitare una reale leadership nei vari teatri di crisi, ha permesso e permette all’Europa di avere un ruolo di alto profilo in ambito internazionale. L’operazione “Aspides”, infatti, mostra la volontà e la capacità di proteggere efficacemente gli interessi dell’Europa ed è un esempio della capacità dell’UE (e dell’Italia) di essere un fornitore di sicurezza marittima. Dimostra anche come sia possibile la realizzazione di una efficace Difesa Europea, a partire proprio dalle questioni marittime, elemento vitale per il progresso economico, geopolitico e sociale del vecchio continente. Una Difesa Europea che deve essere intesa come complementare alla struttura della NATO che è e rimane un pilastro fondamentale della Difesa Occidentale e la base delle relazioni transatlantiche.

In tale ambito il Mar Rosso, nonostante sia una regione strettamente sorvegliata da terra, dal mare, dai cieli e dallo spazio, rimane un’area tra le più instabili e vulnerabili al mondo, minacciata dai numerosi conflitti interni e dalle perduranti rivalità tra Stati, in continua competizione per un posto di rilievo sul palcoscenico internazionale. Un teatro la cui sicurezza e stabilità è cruciale per l’Italia e per l’Unione Europea.

La volatilità del contesto geo-politico regionale, pesantemente condizionato dai conflitti dichiarati e latenti in Medio Oriente e dalle ripercussioni della guerra in Ucraina, ha un impatto effettivo e crescente sul nostro Paese e sulle economie mondiali, che giustifica ampiamente l’esigenza di lavorare per mettere in sicurezza le linee di comunicazione marittime, di approvvigionamento energetico e di collegamento telematico.

Il Mar Rosso continua a ricordare al mondo che è un canale non antagonista né alternativo di collegamento e di scambio, ma che rimane un’arteria economica fondamentale per l’economia europea e per i fornitori dell’Estremo Oriente. Le nuove vie della seta, terrestri o marittime, attraverso l’Asia centrale o l’Iran, o le ipotizzate nuove vie lungo le rotte artiche non sono ancora in grado, né è prevedibile lo saranno per molti anni, di minacciare questo quasi monopolio delle linee di comunicazione marittima a livello mondiale.

Nella regione permane, tuttavia, una situazione molto complessa, esposta a strumentalizzazioni di vario tipo, che si pongono come obiettivo il raggiungimento di interessi esterni contrapposti ad altri, con i rischi di una generale ulteriore destabilizzazione di tutta l’area. L'esigenza di evitare ciò è evidente per i nostri compositi interessi su quel teatro e, in tal senso, sarebbe opportuna una seria e approfondita riflessione politica in merito da parte dell’Unione Europea.

L'Europa è, infatti, essenziale ai fini della sicurezza e del mantenimento della stabilità nella regione, sia attraverso un’autorevole presenza navale sia stabilendo una rete di rapporti basati su interessi e problemi condivisi, evitando di lasciare tutto il teatro nelle mani di attori neo-colonialisti.

Il futuro ruolo strategico e geopolitico del Mar Rosso, infine, non potrà non tener conto della legittimazione dei governi dei Paesi rivieraschi e della affidabilità dell’intreccio delle relazioni internazionali che questi sapranno tessere isolando, laddove possibile, gli elementi endogeni delle crisi e favorendo una visione d’insieme che permetta di assicurare condizioni sostenibili di stabilità nella regione.

i China Railway Design Corporation

ii Berbera, Bosaso, al-Moukalla e Aden

Foto: U.S. Navy