In morte di David Beriáin

(di Andrea Gaspardo)
29/04/21

La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno, tuttavia non posso dire che, da qualche parte in fondo all'anima, non me l'aspettassi dato che, per coloro che fanno un certo tipo di lavoro, la Morte è una compagna che ti segue, un passo dopo l'altro, pronta a ghermirti alla prima distrazione.

Non ho mai conosciuto personalmente David Beriáin Amátriain, anche se in una occasione, nell'ambito di una delle mie ricerche a sfondo geopolitico, giunsi quasi a contattare “93 Metros”, la casa di produzione di contenuti documentaristici che lo stesso Beriáin aveva fondato assieme alla moglie Rosaura Romero. Non lo feci, forse perché non mi ritenevo all'altezza di un uomo che, per certi aspetti del mio lavoro, consideravo quasi un modello; e oggi me ne pento amaramente.

È stato proprio con “93 Metros” che Beriáin ha prodotto alcuni dei migliori documentari in circolazione aventi come soggetto quel “Mondo Oscuro” fatto di un confuso connubio di terrorismo, criminalità e traffici di ogni tipo che, prima di lui, era stato trattato in maniera esaustiva solamente da Loretta Napoleoni nel 2008 con il suo libro intitolato: “Economia Canaglia. Il Lato Oscuro del Nuovo Ordine Mondiale”.

Nato nel 1977 nella cittadina navarrese di Artajona (“Artaxoa” in lingua basca), nel cuore di quella particolare area etno-linguistico-culturale che si estende tra la Spagna e la Francia e che prende il nome di “Paese Basco”, decise di dedicarsi al giornalismo sin dagli studi universitari, venendo poi inviato nel 2002, all'età di 25 anni, in Iraq come corrispondente di guerra per il quotidiano “La Voz de Galicia”. Fu proprio l'esperienza irachena a segnarlo profondamente (riuscì ad entrare in Iraq solo grazie all'aiuto di un gruppo di contrabbandieri che lo pigiarono letteralmente nel doppio fondo di una cassa!) e a metterlo in contatto con quel “Mondo Oscuro” che sarebbe poi diventato il soggetto principale dei suoi reportage.

Beriáin giunse alla ribalta internazionale nel 2008 con il documentario intitolato “Diez días con las FARC”, nel corso del quale mostrò la vita quotidiana e le modalità di azione delle FARC, grazie al quale vinse il “Premio José Manuel Porquet de Periodismo Digital” e che gli valse la nomina al “Premio Bayeux-Cavados Normandy”, il più prestigioso premio al mondo per corrispondenti di guerra.

Altri suoi grandi successi furono: “La Vida en Llamas”, “Sea Bites Percebeiros”, “Latinos en el Corredor de la Muerte”, “Amazonas, el Camino de la Cocaina”, “Los Ojos de la Guerra” e, soprattutto, le due serie di documentari che lo resero famoso anche in Italia: “Clandestino” ed “Il Mondo dei Narcos”, senza però dimenticare le sue “puntate” nei teatri di guerra più disparati, quali: Libia, Siria ed Afghanistan.

Fu proprio seguendo le vie del narcotraffico e del malaffare che Beriáin approdò anche nel nostro paese per filmare una serie di documentari poi trasmessi più volte sul Nove aventi come soggetto le mafie italiane e i loro sporchi traffici: la Camorra, la Ndrangheta, Cosa Nostra e la Sacra Corona Unita.

Qui è necessario introdurre un piccolo “giallo” perché all'indomani della proiezione del documentario in quattro puntate sulle mafie italiane, secondo quanto affermano diversi organi di stampa del nostro paese, i carabinieri della compagnia di Milano Porta Magenta avrebbero aperto un'inchiesta a carico di Beriáin e della troupe spagnola accusandoli di aver prodotto un documentario fasullo utilizzando attori pagati e che, a marzo di quest'anno, la magistratura italiana ha iniziato un processo sempre a carico di Beriáin.

L'autore del presente articolo riporta tutto questo per dovere di cronaca ma evita in maniera categorica di pronunciarsi in qualsiasi modo su questa vicenda dai contorni “surreali”. In ogni caso Beriáin non potrà difendersi di persona dalle accuse che gli sono state mosse dato che, il 27 aprile del 2021, è caduto vittima di un agguato mentre assieme al collega Roberto Fraile ed al naturalista irlandese Rory Young con una scorta di 40 soldati delle Forze Armete del Burkina Faso stava girando l'ennesimo reportage, questa volta avente come oggetto la caccia di frodo ed il commercio dell'avorio.

Anche se i contorni dell'agguato sono ancora nebulosi e ci vorrà tempo prima di capire che cosa sia veramente accaduto, possiamo comunque dire che il mondo del Giornalismo (con la G maiuscola) ha perso un uomo di valore che non ha avuto paura di addentrarsi nei meandri più foschi del “Mondo Oscuro” consacrando la sua vita, letteralmente fino all'ultimo respiro, alla Verità.

Ciao David! Hai fatto quel che hai potuto per permettere a tutti noi di vedere il mondo con spirito critico e occhi diversi.

Immagini: Nove / web