Coronavirus: restate a casa e riflettete con Difesa Online…

(di David Rossi)
17/03/20

È giusto, importante e soprattutto patriottico rinunciare a un bel po’ delle nostre libertà di movimento, di impresa, di riunione, di culto, di studio ecc. per implementare uno sforzo collettivo volto alla riduzione del contagio da COVID-19 in Italia. In questo senso, il nostro Paese, come altre volte nella Storia, è diventato un esempio per gli altri, che hanno imitato le politiche fin qui attuate dal governo Conte, qua e là aggiustandole, per esempio chiudendo le frontiere in entrata e in uscita, come l’Italia non ha avuto bisogno di fare. Anzi, si è vista sbattere in faccia le porte da Paesi, come Kuwait, Bahrain e Austria, che ora traboccano di casi di infettati a causa di focolai interni non riconducibili al Lodigiano o alla Bergamasca. Va anche detto che a questo punto siamo arrivati dopo che maggioranza, premier e qualche opposizione avevano anche cercato di minimizzare…

È bene ricordare che siamo di fronte a una combinazione unica nella storia di pandemia e recessione globale. Lo sforzo che stiamo facendo è sacrosanto e da portare avanti seriamente, ma non basterà di certo a risolvere i problemi.

Ci vogliamo illudere, pensando che basti chiudere i bar, i centri commerciali e le imprese per un mese o anche due per battere un microorganismo? Viviamo nel XXI secolo e usiamo mezzi del XIV secolo, pensando che siano non solo necessari (e in buona misura lo sono) ma soprattutto sufficienti.

Sappiamo bene che hanno effetti recessivi e deflattivi spaventosi: “Mettiamo - ha scritto a fine febbraio il New York Times - che gli Americani smettano di andare al ristorante o di viaggiare per turismo o affari. In quel caso andrà in fumo il 68% del Pil”. Tuttavia, un simile sacrificio è utile a limitare il danno, ma non deve darci l’impressione di essere al sicuro: la Cina stessa conosce il fenomeno della re-infestazione a causa di soggetti che si sono infettati in Italia, Stati Uniti, Russia ecc.

Dobbiamo, insomma, tenere bene in mente che il risultato di tutto questo è e sarà sempre fragile. Non solo i Paesi che non partecipano a questo sforzo collettivo in futuro ne minacceranno i risultati dall’esterno, costringendoci a chiudere le porte in faccia a Giapponesi, Russi, Turchi ecc. per non correre rischi di re-infettarci. E questo ucciderà il turismo e il trasporto aereo. Più semplicemente, per fare un esempio, basterà lo studente Mario Bianchi, laureando in Filosofia del Diritto, da tre settimane recluso in casa per scrivere la sua tesi, alimentato solo dalle consegne a domicilio del supermercato vicino, il quale studente oggi sta più o meno come al solito: ha solo un po’ di congiuntivite e una lieve tosse, probabilmente - pensa - causate dalla sua solita allergia alle graminacee. Non sa e non si aspetta di essere un portatore del coronavirus, anzi di essere in procinto di diventare un super diffusore. Sì, perché passato il 3 aprile e anche le altre due settimane aggiunte dal governo Conte per evitare che i riti della Pasqua funzionino da acceleratore per il contagio calante, Mario Bianchi finalmente ha finito di lavorare sulla tesi e fa poche semplici cose: spende pochi soldi per una “avventura” con una “amica”, esce con alcuni colleghi di corso, prossimi come lui alla laurea, per mangiare una pizza e, finalmente, si reca a casa di suo fratello maggiore, dove trascorre una settimana con lui e i tre figli di quattro, sette e tredici anni. Prima ancora di essere tornato nel suo appartamento, Mario Bianchi ha creato le basi per più focolai: la ragazza si sposta in una località turistica e contagia le coinquiline e altri “amici”, i suoi colleghi di corso diffondono il coronavirus nei loro ambienti, i nipotini lo portano alla scuola dell’infanzia, alle elementari e alle medie. E così il ciclo ricomincia…

Il fatto è che Mario è un ragazzo poco più che ventenne e i “contagiati” sono più o meno della sua stessa età o molto più giovani: in loro, di buona salute e di robusta costituzione, l’infezione ha grandi probabilità di produrre sintomi lievi o comunque meno visibili. Gli…amici “maturi” della ragazza dell’avventura, i nonni e i genitori degli studenti e i nonni dei compagni di scuola dei suoi nipotini saranno colpiti in modo più devastante e avranno anche il 10% di probabilità di morire. Oltre la metà saranno ospedalizzati se contagiati. Immaginiamo però che costoro siano per quattro-otto mesi isolati dal resto del mondo, persino dai loro familiari, vivendo nella loro casa, serviti da volontari, e usando solo le moderne tecnologie per comunicare con i più piccoli. L’impatto sul sistema sanitario sarebbe più contenuto. Di molto. Immaginiamo anche che finalmente Mario o uno dei suoi amici vengano sottoposti al tampone e che in Italia, come in Israele e in Corea del Sud, sia attivo un sistema di tracciamento dei contatti con i casi positivi, utilizzando i terminali cellulari. Ecco che, magicamente, il rischio che venga a crearsi un focolaio diminuisce: i compagni di scuola, i parenti, i conoscenti e anche i semplici passanti che sono entrati in contatto con i contagiati potranno essere identificati e sottoposti a una seria quarantena. Per fare tutto questo basterebbe un decreto del presidente del consiglio che mettesse al sicuro i più fragili (anziani, malati cronici ecc.) e consentisse una violazione della privacy generalizzata al fine di ridurre il danno da coronavirus.

Al netto di tutto questo, dobbiamo comunque prepararci a una più ampia diffusione della malattia e alle sue conseguenze economiche e sociali. Non a caso, Merkel e Johnson hanno parlato abbastanza onestamente della possibilità che di qui al 2021 due terzi della popolazione dei loro Paesi, ma anche del resto del mondo, ne vengano contagiati. Già adesso, se i Coreani con i loro quasi 300.000 test hanno visto giusto circa la capacità del COVID-19 di diffondersi, in Italia potremmo avere già 80-100 mila casi, per la maggior parte asintomatici e con una mortalità effettiva del 3,5%, come in Hubei. Ma soprattutto con il 12-15% di casi ospedalizzati. Se applichiamo questo dato a tutto il mondo, otteniamo cifre spaventose: 5 miliardi di infettati, 500-750 milioni di ricoverati, 150-200 milioni di morti. Il tutto a un costo umano e economico superiore, molto probabilmente, alla stessa Seconda guerra mondiale che, lo ricordiamo, prese la vita di 60 milioni di civili e combattenti e presentò - ai soli Stati Uniti - un conto superiore ai 4.000 miliardi di dollari attuali.

Numeri spaventosi che richiedono economie che almeno cercano di funzionare, perché solo così potranno investire per realizzare più posti letto, costruire nuovi ospedali, formare più personale medico, comprare nuovi macchinari e, fra un anno, produrre miliardi di dosi di vaccini e antivirali. Se le economie, come pare possibile, finiranno per ingripparsi nel tentativo di rallentare la diffusione del coronavirus, allora lo scenario sarà se possibile anche peggiore: interi settori industriali saranno distrutti come e più che dopo una guerra persa (oltre ai già citati turismo e trasporto aereo…), le tasse saliranno a livelli stratosferici1 per garantire il cash flow a governi indebitati fino ai capelli, quasi tutti i Paesi più fragili faranno a rischio di default, che comporterebbe l’annientamento dei risparmi di milioni di cittadini.

Per una volta, spero tanto di aver sbagliato lo scenario. Soprattutto, mi auguro che il COVID-19 rallenti la sua diffusione durante la stagione estiva e che si riescano a produrre vaccino e antivirali in tempi più rapidi del previsto, un po’ come successe nel 2009 con l’influenza H1N1 (“suina”) che alla fine causò “solo” (si fa per dire…) 575.000 morti. Dopo tutto, il COVID-19, pur avendo colpito ormai 162 Paesi e territori ha causato poco più di 7.000 morti. Purtroppo, in rapidissima crescita…

1 I redditi più alti pagavano il 94% di aliquota negli Stati Uniti nel 1945 per finanziare lo sforzo bellico…

Foto: Difesa Online