Soldati o agenti di Pubblica Sicurezza?

(di Tiziano Ciocchetti)
10/11/22

Chi vive nelle grandi città italiane è ormai abituato a vedere presidi fissi di soldati armati davanti a “punti sensibili”, oppure per chi vive nella capitale, davanti ai “palazzi del potere”.

L’operazione “Strade Sicure”, inaugurata nel lontano 2008, è attualmente la missione numericamente più importante dell’Esercito Italiano.

L’operazione venne stabilita con il decreto legge n.92 del 23 maggio 2008 e successivamente convertito in legge il 24 luglio successivo.

È stata poi prorogata fino al 30 giugno 2015, (con un aumento degli organici dell'Esercito impiegati da 3.000 a 4.500 soldati e di 600 per Expo 2015), successivamente, fino al 31 dicembre dello stesso anno, per poi essere ulteriormente prorogata per gli anni successivi.

Insomma, a 14 anni dal suo inizio, “Strade Sicure” non sembrerebbe ancora giunta al termine.

Tuttavia, l’impiego dell’Esercito a supporto delle forze dell’ordine (con tutte le sue perplessità) non è certo una novità per lo Stato italiano ma affonda le sue radici nel XIX secolo, ovvero fin dai primi anni dell’unificazione nazionale. Tra il 1861 e il 1865, il Regio Esercito impegnò circa 120.000 uomini nelle operazioni di controguerriglia finalizzate allo sradicamento nel Meridione del fenomeno del brigantaggio. A quest’ultimo andava aggiunta anche la criminalità organizzata (mafia e camorra) contro i quali gli altri Poteri dello Stato si dimostravano (già allora, ndd) impotenti, poco efficienti e, spesso, conniventi.

L’azione dei soldati si manifestava principalmente nella permanenza di drappelli nei piccoli paesi di campagna, in modo da rassicurare la grande classe dei proprietari terrieri, bersaglio frequente degli attacchi dei banditi. È altresì vero che nel periodo delle operazioni contro il brigantaggio, i soldati erano comunque impegnati in lunghi pattugliamenti delle zone rurali e montagnose, sottoposte al costante pericoli di imboscate da parte dei banditi.

È bene sottolineare che il banditismo dell’Italia Meridionale era un fenomeno politico-sociale assai complesso e, in parte, preesistente all’unificazione del Regno d’Italia. Quindi non poteva certo essere combattuto e annichilito con il solo utilizzo della forza militare, tanto che molte delle cause che l’hanno generato sopravvivono e si manifestano ancora oggi con la criminalità organizzata.

Terminata l’emergenza meridionale, tra la fine dell’800 e il 1922, i sommovimenti sociali e in special modo i disordini nelle città e nelle campagne al Nord, provocati dalla miseria e dalla scarsa istruzione delle classi lavoratrici, sfociarono in violente manifestazioni contro il potere centrale.

L’8 maggio 1898, in occasione dei gravi tumulti di Milano causati dal forte aumento del costo del grano, il generale Bava Beccaris ordinò ai soldati di sparare sui rivoltosi (anche con un cannone), provocando la morte di 80 persone.

Come mai l’Esercito venne chiamato a un siffatto impiego?

Da una parte lo Stato liberale di fine ottocento non riusciva a risolvere i gravi e atavici problemi sociali ed economici del Paese; dall’altro, a causa del cronico deficit di bilancio, non vi era possibilità di destinare (come ora) un numero sufficiente di forze dell’ordine per il controllo del territorio. Di conseguenza, di fronte al proliferare dei conflitti sociali e dell’esacerbarsi delle tensioni interne, il ricorso all’Esercito in forma sempre più massiccia, divenne una soluzione obbligata, una consuetudine piuttosto che una eccezione.

La prima vittima di questa politica fu proprio l’Esercito che divenne una sorta di forza a mezzo servizio, a basso prezzo e buono per tutti gli impieghi, con ufficiali e sottoufficiali poco pagati e mal trattati nonché reparti spostati da una parte all’altra, smembrati e sottratti ai loro comandanti.

Scriveva in merito, nel 1929, il generale de Chaurand de Saint Eustache: “l’uso invalso di distrarre, ad ogni stormire di foglie, numerosi e forti reparti di truppe dalle loro normali attribuzioni, per metterli a disposizione dell’autorità politica e di pubblica sicurezza, indotta a fare forti richieste di uomini, per coprire in ogni evento la propria responsabilità, contribuiva ad alimentare il disagio dell’Esercito. Questi reparti dovevano restare inoperosi nelle caserme, od in altri locali, in genere ristretti e ammuffiti, dove sovente mancava al soldato la possibilità di sedersi, dando incitamento al malcontento e alle recriminazioni. Ne soffriva la disciplina, ne emergeva una perdita di tempo a scapito delle istruzioni militari, notando che poi tale servizio, dipendente da mutevoli criteri politici, lasciava non ben definite le responsabilità…”

Tali affermazioni trovano non poco riscontro nell’attuale impiego dei militari per il controllo dell’ordine pubblico. Lo svolgimento di funzioni proprie degli agenti di pubblica sicurezza va a tutto danno dell’efficienza e della coesione dei reparti, in quanto comporta la rottura dei vincoli organici e lo spezzettamento delle compagnie e dei plotoni e, inoltre, danneggia in modo rilevante lo svolgimento del normale iter addestrativo.

L’utilizzo delle reclute ai fini del mantenimento dell’ordine pubblico, provocò enormi danni alle classi chiamate alle armi dal 1900 al 1914, in quanto risultarono scarsamente addestrate, se ne ebbe la prova nel corso della Guerra di Libia e nella Prima Guerra Mondiale. Allora come oggi, uno dei motivi per cui l’Esercito accettò un simile impiego fu la necessità di ritagliarsi un ruolo all’interno della società, ovvero apparire indispensabile per il mantenimento dell’ordine costituito. Ai nostri giorni, solamente la Francia ha utilizzato in maniera altrettanto massiccia i soldati nelle strade, avendo tuttavia una situazione sociale ben diversa da quella italiana.

Andando indietro di oltre un secolo, nella Germania “militarista” di Guglielmo II, ove i movimenti socialisti erano assai forti, lo Stato Maggiore tedesco si guardò bene dall’impiegare i militari per esigenze interne, al fine di garantirne l’efficienza operativa.

L’impiego dell’Esercito per emergenze interne, che non sono tali in quanto durano da un secolo e mezzo, dimostra in maniera netta l’incapacità dello Stato di affrontare i problemi.

I soldati hanno obbedito alla Politica in passato e continuano ancora a farlo, perché è il loro dovere! Tuttavia non si può continuare a tacere che il loro impiego primario è quello della difesa esterna, mentre per latri impieghi, come l’operazione “Strade Sicure”, paga prezzi assai elevati in termini di addestramento ed efficienza generale.

È indubbio che i periodi di intenso utilizzo dei militari per esigenze interne coincidono con le crisi morali e sociali della Nazione, di più bassa fiducia nelle Istituzioni nonché di più bassa efficienza materiale e morale delle Forze Armate.

L’opinione pubblica dovrebbe chiedersi perché i numerosi corpi di polizia che dovrebbero controllare il territorio nazionale hanno ancora bisogno che sia il soldato a fare, in pace, il lavoro più ingrato per tutelare la sicurezza dei cittadini: un lavoro che non è mai stato il suo.

Foto: Esercito Italiano / web