La striscia di Gaza tra vecchie tragedie e nuove strategie

20/08/14

Mai come questa estate 2014 l'instabilità politica sembra dominare lo scenario internazionale. Se l'Ucraina e L'Iraq sono coinvolti in eventi bellici di portata regionale, Siria e Libano non possono dirsi da meno, tuttavia la maggiore risonanza mediatica cade sempre, comunque e inesorabilmente sulla cosiddetta Striscia di Gaza.

Il lembo di terra conteso da israeliani e arabi sta diventando lo scenario ideale per tragedie ad uso e consumo di un pubblico ormai sempre più nauseato.

Dal 2001, con cadenza quasi annuale, israeliani e palestinesi si confrontano su casi-belli che aizzano scontri sempre uguali, eppure mai risolutivi, come se le parti fossero consapevoli del fatto che il rispettivo nemico oltre a essere ragione di morte è ontologicamente necessario alla propria esistenza.

In questa ultima crisi si aggiunge poi un elemento nuovo e significativo, potremmo definirlo il NWO (nuovo ordine mondiale) medio-orientale.

La parte araba del conflitto, i palestinesi per intenderci, ha perso la sponda africana, un sostegno fondamentale alla propria azione e nel contempo un alleato sicuro per rifugiarsi a scrivere sempre più instabili, ma necessari accordi di pace.

Le primavere arabe del 2011 hanno fatto carne di porco [ipse dixit] dei regimi pan-arabi frutto della decolonizzazione occorsa nella seconda metà del secolo scorso e ciò ha determinato uno squilibrio in tutto lo scacchiere, insomma è mancato il necessario contrappeso politico e di potenziale militare rappresentato rispettivamente da Musharraf, Gheddafi e Assad i quali, seppur non ufficialmente alleati, rappresentavano un retaggio forte di quella contrapposizione arabo-israeliana caratteristica degli anni settanta ed ottanta del '900, peraltro i paesi citati da sempre sono stati fornitori di appoggi logistici e politici per numerosi combattenti fedeli alla causa palestinese, uno per tutti l'egiziano Arafat.

Tornando al ragionamento principale, questo ennesimo braccio di ferro può senz'altro dirsi figlio di fattori consolidati quali appunto la conflittualità atavica e politicamente pilotata tra Israele ed il Popolo Palestinese, tuttavia presenta elementi nuovi, poiché non è supportato, almeno in modo ufficiale e massiccio per parte palestinese, da alcun paese arabo, essendo questi troppo impegnati in beghe interne, non è mediaticamente sfruttato da alcun Bin-Laden 2.0 (Al Baghdadi n.d.a.), poiché i temi del califfato universale pare facciano maggior presa sulle nuove leve del terrore di matrice islamista, inoltre vede strategie nuove da una parte e dall'altra, in termini di mantenimento del livello di tensione, per cui colpire una scuola o un pub indeboliscono l'opinione pubblica, ma accentuano la conflittualità impedendo di fatto qualsiasi genere di trattativa, poiché la guerra entra costantemente nelle case dei civili.

Il ciclo delle operazioni israeliane verosimilmente procederà di pari passo al lancio di razzi da parte della frangia armata di Hamas, mentre un occidente sonnacchioso e vacanziero, in crisi morale ed economica proseguirà nel proprio ruolo di convitato di pietra, almeno fino a quando le parti non vedranno un naturale decadimento della vis bellica finalizzato a preparare un nuovo exploit di conflitto in un ripetersi circolare che pare autoalimentarsi, ma che in realtà vede fattori esogeni intervenire affinché l'area rimanga permanentemente instabile.

Andrea Pastore

(foto: IDF)