La guerra asimmetrica nel conflitto israelo-palestinese. Il paradigma della guerra ibrida di Hamas e dei suoi alleati

(di Nicola Cristadoro)
09/10/23

Hamas, acronimo di Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya (Movimento di resistenza islamico), nato all’epoca della prima Intifada come braccio operativo palestinese della Jamaʿat al-Iḫwān al-muslimīn, (Muslim Brotherhood), oggi è diventata l’organizzazione palestinese egemone nella striscia di Gaza. Dai territori della Striscia conduce da anni una guerra d’attrito nei confronti di Israele, fatta di attentati suicidi, lanci di razzi, palloni incendiari e infiltrazioni in territorio israeliano tramite tunnel. L’Unione Europea, gli USA e diversi altri stati considerano Hamas un’organizzazione terroristica, Russia, Turchia, Iran e Qatar divergono da tale posizione. Il Regno Unito considera organizzazione terroristica solo, le brigate Izz al-Din al-Qassam, l’ala militare di Hamas.

In considerazione della tipologia di combattenti e di armamenti di cui dispone Hamas è del tutto evidente che in uno scontro diretto sul terreno non può che applicare procedure di guerra ibrida, peraltro fortemente caratterizzate dalla dimensione asimmetrica nei confronti del suo tradizionale avversario: lo stato di Israele. E in questa dimensione ibrida, la componente delle info-ops, segnatamente nella propaganda sapientemente confezionata, fino ad oggi ha avuto un ruolo dominante. Cito lo studioso Massimiliano Frenza Maxia che, in un suo saggio illuminante sull’argomento, ha ben evidenziato che tipo di operazioni Hamas ha svolto (e svolge) nell’ambito della strategia della comunicazione:

“Contrapponendo ai missili guidati e ai droni, quindi alla superiorità tecnologica israeliana, la narrazione del giovane combattente palestinese armato di fionda e pietre, ovvero la retorica della Prima Intifada, Hamas si pone su un piano di guerra asimmetrica e, sotto il profilo della comunicazione, in una posizione di vantaggio. Assistiamo nei fatti al ribaltamento di un mito fondativo d’Israele, ovvero il mito di Davide contro Golia. L’organizzazione, tuttavia, è artefice di azioni propriamente 'ibride', come emerge da una narrativa volutamente contradditoria: quella che al ragazzo lanciatore di pietre, affianca le manifestazioni di potenza militare delle brigate Izz al-Din al-Qassam, in cui fanno bella mostra i razzi Quassam. Hamas ha interesse a mostrarsi debole, ma anche forte e se poi, a tale strategia affianca un uso efficace delle nuove tecnologie (i social network), la capacità di determinare i flussi della comunicazione strategica finisce per divenire ancor più incisiva e virale. Ecco, allora l’efficacia dell’immagine di quello che sembra essere poco più che un bambino, che prende di mira un carro Merkava con un lancio di pietre. L’immagine potrebbe essere recente o vecchia, esser stata scattata a Gaza come in Cisgiordania, essere addirittura frutto di un abile fotomontaggio. Non importa. Il punto è che si tratta di un’immagine ricorrente, utilizzata dai media mainstream, insieme a centinaia d’altre molto simili, per descrivere brevi trafiletti di cronaca su fatti che vanno avanti dal 1948. Cos’ha quindi di speciale? Semplicemente è virale. Virale perché parla alla pancia degli israeliani di sinistra e perché lo fa rievocando il mito di Davide contro Golia, ribaltandolo. In estrema sintesi, colonizza l’immaginario collettivo.”1

Ho detto fino ad oggi, perché il 7 ottobre 2023, a quanto pare, il “Davide” palestinese ha deciso di affrontare il nemico faccia a faccia. Niente più qualche razzo e tanti proclami; al contrario tanti razzi (5.000 in un giorno) e proclami in giusta quantità, alla ricerca del sostegno morale e della giustificazione all’etica dei razzi. Come ho detto, è evidente la dimensione asimmetrica evocata di per sé dalla similitudine con lo scontro biblico tra Davide e Golia e, pertanto, è incontestabile che Hamas abbia agito con l’appoggio esterno di qualcuno di più grande e di più forte. Il sospetto che questo qualcuno sia l’Iran degli ayatollah che odiano Israele è più che un sospetto. E questo appoggio va ben oltre i proclami e le invettive della propaganda. Vediamo, allora, in che modo, Teheran è la longa manus che spinge Hamas.

Il sostegno dell'Iran ai proxy groups che agiscono in Libano, Siria, Iraq e Yemen è uno dei suoi strumenti più efficaci per il conseguimento dei propri interessi nazionali, combattendo nella “zona grigia”. L’Islamic Revolutionary Guards Corps (IRGC), i famosi Pasdaran, è l’organizzazione paramilitare esecutrice delle politiche per procura iraniane, con stretti legami con gruppi come Hezbollah in Libano, gli Houthi in Yemen, la National Defence Force Militia in Siria e il Badr Corps in Iraq, tra gli altri.2

Avvalendosi della sua unità di forze speciali nota come Forza Quds, l'IRGC è in grado di addestrare e consigliare le sue forze ausiliarie - stimate in 250.000 combattenti - e, pertanto, rappresenta una minaccia significativa per gli avversari di Teheran in gran parte del Medio Oriente.

La Forza Quds è stata istituita all'inizio degli anni '90 per consentire al regime degli ayatollah di operare di nascosto al di fuori dei confini iraniani. L'obiettivo era costruire un meccanismo operativo che avrebbe portato la Rivoluzione Islamica fuori dall'Iran.3 Come parte della sua lotta in corso contro Israele, la strategia iraniana utilizza le organizzazioni per procura per due ragioni principali. In primo luogo, a causa della notevole distanza tra Israele e Iran: gli oltre mille chilometri che separano i due stati costituiscono una oggettiva difficoltà operativa per l'Iran per un attacco diretto al territorio israeliano. In secondo luogo, l'Iran è molto preoccupato per la risposta israeliana, qualora attaccasse direttamente Israele. Pertanto, l'impiego di organizzazioni per procura annulla le difficoltà connesse alla distanza tra l'Iran a Israele, impegnando di fatto quest’ultimo su due fronti di lotta, uno a nord contro Hezbollah in Libano e l'altro a sud contro Hamas e il Jihad islamico nella Striscia di Gaza. Tale strategia, inoltre, consente all'Iran di non essere direttamente coinvolto nel confronto con Israele.4 Per raggiungere questo obiettivo, Teheran continua a sostenere le formazioni paramilitari sotto il suo controllo in Libano e nella Striscia di Gaza e a rifornirle con vari sistemi di armamento, inclusi razzi e missili.5

Secondo l'intelligence militare israeliana, il programma per il lancio missilistico di precisione è stato concepito per due scopi. Il primo è stato quello di ridurre il raggio di tiro verso Israele. Mentre, come detto, la distanza tra Iran e Israele è di migliaia di chilometri, il Libano meridionale si trova a poche centinaia di chilometri dal centro nevralgico dello Stato di Israele a Tel Aviv e Gush Dan. Pertanto, mentre l'Iran avrebbe bisogno di lanciare missili a lungo raggio per colpire Israele, Hezbollah può raggiungere lo stesso obiettivo dal Libano con razzi a corto raggio. Il secondo scopo è allontanare il campo di battaglia dall'Iran. Poiché sparare contro Israele dalla Siria e dal Libano può prevedere una logica ritorsione israeliana contro questi paesi piuttosto che contro l'Iran, a Teheran conviene finanziare le sue organizzazioni per procura e i rifornimenti di armi, evitando così di mettersi a rischio in prima linea nella sua politica di aggressione contro lo stato ebraico.

Vediamo anche qual è il ruolo dell’organizzazione paramilitare più nota, Hezbollah, che iniziò le sue operazioni militari in seguito all'espulsione delle forze dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) dal Libano nel 1982 durante la Prima Guerra del Libano.

Ispirato dalla giustificazione religiosa dei principali ideologi sciiti come l'ayatollah Khomeini (ricordiamo gli attentati suicidi contro obiettivi israeliani, americani e francesi situati in Libano), Hezbollah è riuscito a far progredire lo status della comunità sciita in Libano da comunità perseguitata e deprivata a comunità più potente e dominante del Paese, reprimendo nel contempo la comunità cristiana ivi presente. Parallelamente, ha addestrato e armato i membri di Hezbollah trasformandoli in una milizia militare al servizio dell’IRGC.6 L'organizzazione conta circa 20.000 uomini di pronto impiego, di cui 5.000 sono combattenti d'élite e un numero che oscilla tra 20.000 e 50.000 sono combattenti di riserva.7

Hezbollah basa la propria difesa sulla popolazione civile dell’area in cui opera. Sotto il profilo delle procedure tecnico-tattiche (TTPs), l'organizzazione stabilisce i propri headquarters ai piani inferiori di edifici residenziali di dieci piani e sempre in edifici residenziali nei quali nasconde armi come missili e razzi.8 Hezbollah esercita quindi una forma di deterrenza nei confronti di eventuali attacchi da parte israeliana, che sarebbe soggetto ad aspre critiche da parte della Comunità Internazionale per gli “effetti collaterali” di una tale decisione. Anche Hezbollah, tuttavia, è stato oggetto di critiche per la scelta tattico-strategica operata. In risposta alle critiche, l’organizzazione ha affermato che, alla luce della debolezza dell'esercito libanese, è la sola a garantire un cuscinetto tra Israele e Libano per proteggere il Libano da qualsiasi aggressione israeliana.9

Sebbene Hezbollah sia nata come una tipica milizia per essere impiegata con tattiche di guerra asimmetrica, nel tempo si è evoluta in un'organizzazione in grado di combattere diversi tipi di guerra. Durante la guerra civile libanese, quando non era che uno dei tanti gruppi di milizie del paese, Hezbollah ha lanciato principalmente attentati suicidi e attacchi frontali alle forze occidentali e israeliane, entrambi metodi che, militarmente, non sono né sofisticati né efficienti.

La silenziosa evoluzione di Hezbollah da forza di guerriglia a struttura militare in grado di applicare TTPs più convenzionali è passata inosservata ed è diventata evidente solo durante la guerra di 34 giorni contro Israele nel 2006. L'organizzazione ha mostrato tattiche e capacità ben oltre di quanto ci si aspettasse, da inquadrare a pieno titolo nella tipologia della guerra ibrida.

Dopo l'invasione israeliana, Hezbollah ha sfruttato appieno il terreno roccioso del Libano, ideale per i movimenti a terra ma impraticabile per le manovre corazzate. Ha incentrato le proprie battle-positions su villaggi collinari facilmente difendibili, che offrono ottimi campi di osservazione e tiro e sono abitati da popolazioni solidali con la sua causa. Nonostante fosse numericamente inferiore, le sue unità si sono dimostrate coese, ben addestrate, disciplinate ed esperte su come controllare il territorio.

Dotato di un’efficace catena di comando e controllo, grazie a un complesso sistema di comunicazione, Hezbollah ha impiegato con successo tattiche di difesa “a riccio”, creando capisaldi in bunker fortificati, come una forza regolare. Durante il conflitto, poi, ha continuato a lanciare razzi su Israele utilizzando lanciatori nascosti, anche dietro le linee nemiche.

Nessuna di queste tattiche è caratteristica delle forze di guerriglia, che di solito si basano su metodi incentrati sulla popolazione per nascondersi. In sostanza, Hezbollah ha colto di sorpresa Israele perché ha agito in un modo non propriamente riconducibile ad un combattente irregolare, né all’esercito regolare di uno Stato.

Appare evidente, tuttavia, che l’Iran è ancora ben lungi dal volersi impegnare in un confronto armato diretto con Israele e, pertanto, il modello delle “guerre di prossimità” largamente diffuso da decenni, viene ora applicato dal regime degli ayatollah che, tra nemici storici, coalizioni di opportunità o consolidate alleanze e fermenti sociali interni, ha ritenuto fosse arrivato “il momento di agire”.

Nel caos della geopolitica che nel delirio di diversi leader vorrebbe preludere ad un “nuovo ordine mondiale” (ormai siamo proiettati nel futuro distopico presagito da Aldous Huxley!), un’alleanza che, per ora, regge è quella dell’asse Mosca-Teheran, le Forze dell’Asse del XXI secolo.

Allora viene da chiedersi a che gioco stia giocando Mosca, se non sia il grande burattinaio che regge i fili dell’Iran che, a sua volta, regge quelli di Hamas.

Mentre i servizi di intelligence israeliani ed Occidentali sono stati ingannati dalla “rozzezza” delle procedure adottate per occultare la preparazione dell’attacco - la cara, vecchia, humint, ancora una volta, è stata emarginata a favore di una tecnologia rivelatasi inutile - è difficile credere che l’intelligence russa, in particolare il GRU, non fosse a conoscenza di un piano così articolato come quello dell’attacco al territorio israeliano.

L’ingresso simultaneo lungo più direttrici, l’occupazione di villaggi e kibbutz disseminati nei cosiddetti “territori occupati” e, soprattutto, una pioggia di razzi così intensa, non potevano essere ignorati almeno a chi aveva tutto l’interesse a destabilizzare l’area in modo consistente. Tutto ciò richiede un’accurata pianificazione e i mezzi per realizzarla. Certamente non bastavano le risorse di Hamas e anche l’Iran è possibile che abbia agito in concorso con il Cremlino.

Al di là, poi, dello stretto legame esistente tra la Russia e l’Iran, ve ne è anche uno diretto tra Mosca e il popolo palestinese. Non possiamo trascurare il fatto che la Russia, avvalendosi della PMC Vega Servizi Strategici (o più semplicemente Vega) avrebbe fornito consulenza ed addestramento ai miliziani della milizia sunnita palestinese (brigata) Liwa al-Quds, impiegata in Siria con centinaia di combattenti e per supportare i collegamenti con le forze di élite siriane e con il partito Ba’th.10

Mancata l’offerta “prendi tutto e paghi 2” di conquistare l’intera Ucraina in una settimana dopo una trionfale e rapida accoglienza nelle provincie di Donets’k e Luhans’k, Putin si è trovato invischiato in un ginepraio bellico che, a livello strategico, lo ha spinto a dover optare per il “piano B”.

Il “piano B” si sta manifestando come una serie di iniziative tese a destabilizzare il pianeta sostanzialmente per “distrarre” il mondo Occidentale dal conflitto che intanto prosegue e creare problemi di natura sociale, politica ed economica laddove non esistono realtà governative non democratiche e società monolitiche o, quantomeno, “controllabili” con uno sforzo relativamente contenuto. Si va, allora, dai colpi di stato come quello recente verificatosi in Niger, dove l’onnipresente Gruppo Wagner ha avuto voce in capitolo, alla costante presenza in numerosi stati africani con truppe mercenarie inviate a “tenere botta” al governo moscovita per tutelarne gli interessi in termini di consensi e di risorse pregiate da accaparrarsi, fino all’attuale innesco di una nuova guerra sul tradizionale campo di battaglia mediorientale, per alimentare il caos e i problemi a livello globale. L’“effetto boomerang” che, in queto caso, ne è sortito è stato un riavvicinamento di Biden a Netanyahu, ma per Putin questo non è un problema.

In questi mesi abbiamo imparato che il presidente russo nelle sue decisioni apparentemente insensate o sorte sull’improvvisazione, in realtà si gioca tutte le carte che la mano gli offre e il suo bluff si regge sul principio della resilienza che caratterizza il popolo russo. Mentre noi riteniamo inaccettabile non solo il prolungarsi del conflitto in Ucraina, ma soprattutto le sofferenze che questo implica per tutti, il livello di tolleranza al sacrificio del popolo russo è decisamente più elevato del nostro. Al giorno d’oggi noi ci stupiamo che si possa accettare che un familiare o un amico muoiano in una guerra; per i Russi (almeno per una gran parte di loro) è ancora un onore, se ciò avviene per la Grande Madre Russia. Questo accade grazie anche all’efficacia di quella propaganda i cui contenuti per noi sono mistificazioni della realtà, mentre per i Russi ancora riescono a dare un significato alle loro esistenze, basato sul senso di appartenenza a qualcosa di grande e superiore. Per non parlare della capacità di tollerare le conseguenze delle crisi economiche: in fondo sono solo cicli che si ripetono, che ci fosse lo zar, “baffone”, El’cin, o Putin. Sono ancora troppi quelli rassegnati al “siamo nati per soffrire…”.

Suggerisco di leggere il saggio Russki Mir: Guerra o pace? di Mikhail Shishkin per comprendere i fondamenti di questo comportamento. E nella mente di Putin questa resilienza ha spazio ancora per altre guerre e altra sofferenza, solo che, a questo punto, deve riguardare in larga parte anche gli altri.

1 M. Frenza Maxia, Modelli di comunicazione strategica a supporto dell’Hybrid warfare: l’apparato di propaganda di Hamas, Medium, 21/07/2019. https://medium.com/@maxeffe74/modelli-di-comunicazione-strategica-a-supporto-dellhybrid-warfare-l-apparato-di-propaganda-di-dd7beb0bef3a.

2 J. M. McInniss, Proxies: Iran’s Global Arm and Frontline Deterrent, in Hicks et al., Deterring Iran After the Nuclear Deal, CSIS, Rowman & Littlefield, 2017.

3 Y. Katz, Y. Hendel, Israel vs. Iran: The Shadow War, Kineret Zmora-Bitan Dvir. Israel, 2011.

4 E. Eilam, Containment in the Middle East, University of Nebraska Press, Lincoln (NE), 2019.

5 R. Bergman, Rise and Kill First: the secret story of Israel’s targeted assassinations, Random House, New York, 2018.

6 Y. Katz, Y. Hendel, op. cit.

7 E. Eilam, Israel’s Future Wars: Military and Political Aspects of Israel’s coming Wars, Westphalia Press, Washington DC, 2016.

8 C. Kaunert, O. Wertman, The Securitisation of Hybrid Warfare through Practices within the Iran-Israel conflict – Israel’s practices for securitising Hezbollah’s Proxy War, Security & Defence Quarterly, War Studies University, Poland, 11 December 2020.

9 A. Harel, A., Issacharoff, op. cit.

10 N. Cristadoro, Missiya vypolnena! Missione compiuta! Le forze armate russe nella campagna di Siria (2015-2019), Edizioni Il Maglio, 2020.

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