La capacità d’inserzione HALO/HAHO

(di Tiziano Ciocchetti)
22/03/22

Capacità fondamentale per contribuire alla dimensione strategica degli assetti incursori, la tattica a spinta connotazione joint HALO/HAHO è patrimonio di pochi paesi ben strutturati sotto il profilo militare. A livello nazionale, il 9° reggimento Col Moschin è l’unità che la esprime, in cooperazione con le altre articolazioni interforze, coprendo già tutte le esigenze della Difesa.

L’evoluzione della capacità deve necessariamente tendere verso una sempre più specializzata, elitaria e selezionata nicchia di eccellenza concentrata nell’unico reparto che da anni ne coltiva lo sviluppo e ne possiede l’esperienza piuttosto che verso il tentativo di distribuire, suddividere e, inevitabilmente, appiattire la capacità con l’immancabile conseguenza di perdita di efficacia, efficienza e di spreco di risorse.

In questo articolo esamineremo una delle caratteristiche ed esclusive tecniche d’inserzione degli incursori dell’Esercito che, nel panorama nazionale, sono gli unici ad aver da tempo sviluppato, consolidato e protetto con determinazione una vera e propria capacità militare in tale articolato ed elitario settore. Illustreremo le tecniche, le procedure, alcuni particolari tecnologici e gli equipaggiamenti addentrandoci anche in alcune considerazioni che evidenzieranno la differenza tra chi potrebbe, senza grosse difficoltà, addestramento e spese lanciarsi da quote altissime e farsi fotografare in maschi atteggiamenti mentre precipita sopra le più alte nuvole del cielo e chi, invece, deve istituzionalmente mantenere una vera e propria capacità operativa nel settore. Infine, alla luce di alcune tendenze che non troppo velatamente ci sono state riferite, ci porremo dei quesiti sui vari tentativi di allargare arbitrariamente questa capacità con il serio rischio di ridurne drasticamente l’efficacia, invalidarne la sostenibilità e di moltiplicare esponenzialmente i costi e le spese alla faccia del contribuente ed in barba ai sacri principi di eliminazione delle duplicazioni e di ottimizzazione delle risorse finanziarie sanciti, oltre che nel “Libro Bianco”, in tutti i testi di pianificazione e programmazione finanziaria della Difesa1.

Allacciate le cinture, dunque, perché se i precedenti articoli sulle forze speciali hanno suscitato un inaspettato e vibrante interesse, almeno a giudicare dal numerico delle visualizzazioni e dagli apprezzamenti espressi – e dalle altrettante accese repliche e discussioni – questo rischia di diventarne il capofila!

Un po’ di sintassi

Il termine “inserzione” è stato introdotto in tempi relativamente recenti nella letteratura nazionale specifica2. Di manifesta derivazione anglosassone (da “insertion”) il termine sta ad indicare l’insieme delle attività messe in atto al fine di trasportare un’unità di incursori dal sorgitore di partenza, che spesso coincide con la Base Operativa Avanzata, al punto di inserzione che, ordinariamente, si trova nelle relative vicinanze dell’obiettivo. Tale movimento viene effettuato generalmente tramite dei “trasportatori”, siano essi vettori aerei, navali o terrestri che, di norma, non sono organici alle unità di incursori ma le supportano per la condotta di Operazioni Speciali3.

Dal “punto d’inserzione” le unità di incursori procedono quindi all’infiltrazione, intesa come il movimento effettuato con mezzi propri, o a piedi, sino all’area dell’obiettivo. L’inserzione è una fase delle Operazioni Speciali estremamente delicata poiché, negli scenari tradizionali war, comporta il superamento della linea di contatto dove più accentuata è la densità operativa del nemico specie per quanto attiene i sistemi di scoperta e sorveglianza e di reazione.

A partire dalla Seconda Guerra Mondiale l’inserzione aerea ha sempre rappresentato una valida e consolidata opportunità per i vantaggi che l’aeroplano offre in termini di velocità d’intervento, capacità di trasporto, autonomia, profondità di penetrazione, raggio d’azione, relativa discrezione ed elusione delle difese terrestri.

Tra le ipotesi operative delle FS della NATO durante la Guerra Fredda, vi era quella di dover operare oltre le linee del Patto di Varsavia. Per tale attività, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 dello scorso secolo, i Berretti Verdi iniziarono a mettere a punto tecniche di penetrazione HALO/HAHO, le quali consentivano lunghe penetrazioni in spazi aerei ostili, senza doverli violare con grandi e lenti velivoli (quindi assai vulnerabili) da trasporto.

Tuttavia il primo impiego operativo avvenne nel 1969 in Indocina, allorquando la CIA ebbe la necessità di “inserire” operatori SOG (Studies and Observations Group), con lanci notturni HALO, in nazioni ostili come Laos e Cambogia. I lanci ebbero un’alta percentuale di successo, nonostante la fitta vegetazione e il fatto che si impiegassero ancora paracadute tondi a fenditura multiple.

Nel decennio successivo apparvero le velature ad ala, in grado di consentire delle vere e proprie aero-navigazioni. Si passò inoltre a imbracature con entrambe le velature dorsali, in modo da lasciare la parte anteriore libera per l’equipaggiamento.

In considerazione della limitata entità delle unità d’incursori – che agiscono a partire da un minimo di 2 operatori sino ad un massimo che, quasi mai, supera la ventina di individui – i velivoli che si possono impiegare sono molteplici ed includono anche aerei civili, o di tipo commerciale, di contenute dimensioni che, oltre ad avere forma, foggia e livrea tipica degli aerei turistici richiedono strisce di atterraggio corte e scarsamente preparate4. In concreto, e nel nostro caso, si parlerà d’inserzione dal momento in cui il team di incursori sale in aereo e sino a quando esce dal ventre del velivolo, e di infiltrazione dal momento in cui i paracadute saranno aperti e sino a quando non verrà raggiunta l’area dell’obiettivo (infiltrazione mista aero-terrestre).

In merito all’acronimo HALO/HAHO, per quanto negli ultimi 3 anni si sia volutamente, e altrettanto perniciosamente, socializzata un’interpretazione molto estensiva di tale termine, ci riferiremo solo ai lanci da quote che superano i 13.000 piedi (circa 4.000 m.) e che comportano, inesorabilmente, l’impiego di apparecchiature ad ossigeno sia per i paracadutisti che per l’equipaggio del velivolo. Il motivo di questa, ancora una volta, esclusiva interpretazione è che lanci da quote comprese tra i 10.000 e i 13.000 piedi, ai quali si è baldanzosamente attribuito l’appellativo “HALO/HAHO”5, non comportano per i paracadutisti procedure essenzialmente diverse da quelle effettuate, sempre in caduta libera, da quote inferiori ai 10.000 piedi (denominati TCL) e non presentano vantaggi tattico-operativi di rilevante interesse per giustificarne un utilizzo estensivo.

La tecnica

L’acronimo HALO/HAHO sta per High Altitude Low Opening/High Altitude High Opening ed, in sintesi, descrive una particolare tecnica e tattica operativa (badate bene, operativa e NON aviolancistica) che consente di lanciarsi in caduta libera da altissime quote (sino ai 10.000 metri… ed anche un po’ oltre, se necessario) per aprire il paracadute a quota bassa (HALO) e raggiungere l’obiettivo, ovvero aprire il paracadute appena usciti dal velivolo a quote altissime (HAHO) per navigare sottovela per svariati chilometri6 ed atterrare in aree a notevole distanza dal punto di uscita dal velivolo.

Abbiamo voluto sottolineare che si tratta di una tecnica e tattica operativa e NON aviolancistica perché le capacità aviolancistiche impiegate nell’attività HALO/HAHO non differiscono da quelle che si acquisiscono durante la specifica formazione per la Tecnica della Caduta Libera (TCL). I paracadute impiegati, inoltre, sono utilizzati all’interno della curva d’inviluppo sottesa dalla loro omologazione e quindi, il personale non necessita di formazione aviolancistica specifica ulteriore rispetto a quella già ricevuta mentre necessita di una avanzata formazione tattica.

Giusto per fare un esempio più accessibile, banale ma altrettanto pragmatico, se volessi imparare a guidare sul ghiaccio con un veicolo omologato per la circolazione su strada non dovrei tornare a prendere la patente presso la Motorizzazione Civile e non necessiterei di abilitazioni da parte della stessa. Mi rivolgerei, al contrario, a qualche scuola privata che mi insegnerà le manovre da eseguire in sicurezza per padroneggiare il veicolo sull’acqua allo stato solido e che mi insegnerà a sfruttare un veicolo, già omologato per la rete stradale e che sono già abilitato a guidare, al limite delle sue prestazioni tecniche.

Per lanciarsi da tali quote il personale deve necessariamente respirare ossigeno. A partire dalla quota massima di 13.000 piedi (circa 4.000 metri)7, infatti, è obbligatorio l’uso dell’ossigeno sia per l’equipaggio di volo che per il personale che si deve aviolanciare al fine di consentire la giusta ossigenazione al corpo umano e evitare “malattie da decompressione” che potrebbero insorgere qualora la quota desiderata venisse raggiunta in breve tempo. Proprio per scongiurare tale ultima ipotesi quando la “velocità di salita” e le quote sono rilevanti è necessaria una pre-ossigenazione della durata di circa mezz’ora per de-saturare i tessuti corporei dall’azoto, gas inerte presente nell’aria e responsabile delle eventuali embolie.

Motivazioni tattico operative dell’inserzione HALO/HAHO

La tecnica-tattica HALO/HAHO sfrutta la capacità del velivolo di volare a quote elevate (7.000-10.000 m.) sottraendosi così ai sistemi contraerei di bassissima e bassa portata, a tutti i MANPADS (anche quelli di ultima generazione che raggiungono i 4500 m. di quota) oltre che alle armi nemiche di piccolo e medio calibro la cui concentrazione è massima in prossimità della linea di contatto.

Già da questa prima considerazione è chiaro, anche al lettore meno attento, perché i lanci con la Tecnica della Caduta Libera da quote non superiori ai 4000 metri non offrano vantaggi tattici rilevanti e, contrariamente, espongano i velivoli alle micidiali armi contraeree in dotazione anche ai singoli fanti sul campo di battaglia (Manpads) molto di più che nel caso di lanci vincolati che possono avvenire da quote non superiori ai 300 metri e che consentono al velivolo di effettuare un volo “radente” e “tattico” sfuggendo ai radar e complicando la vita a chi impiega armi contraeree per le bassissime quote.

In scenari war, a seconda della superiorità aerea conquistata, il velivolo può addentrarsi in territorio nemico in relativa sicurezza o, comunque, può avvicinarsi alla linea di contatto senza superarla e rilasciare gli operatori che, navigando sottovela, potranno superare le linee nemiche per atterrare nella profondità del campo di battaglia avversario. Considerate, inoltre, la manovrabilità ed efficienza dei moderni paracadute a profilo alare impiegati per tali aviolanci8, le zone di atterraggio possono essere notevolmente distanti dal punto di uscita del velivolo e anche considerevolmente ristrette (una radura 50x50 metri può essere più che sufficiente).

In operazioni asimmetriche, quando una delle parti ha il dominio dell’aria, la tecnica consente di preservare la discrezione e la riservatezza. In Afghanistan ed in Iraq, per esempio, gli insorti avevano sviluppato una rete di early warning che consentiva di informare i potenziali target già dal momento del decollo, dalle varie basi, degli assetti ad ala rotante. L’inserzione HAHO/HALO è stata quindi impiegata per garantire la sorpresa e la massima segretezza dell’attività poiché il decollo di assetti ad ala fissa poteva avvenire da basi lontanissime agli obiettivi9 e, considerato il raggio d’azione e la quota di volo dei velivoli, non consentiva agli insorti di attivare le procedure di allarme.

In operazioni ultra riservate e clandestine, infine, la quota di rilascio dei paracadutisti (8.000-11.000 metri) consente al velivolo d’impiegare una rotta di un normale aereo commerciale o di linea. L’aeroplano dovrà quindi essere identificato come tale, avere un piano di volo coerente con la sua entità e seguire tutta una serie di accorgimenti che non facciano sorgere dubbi ai controllori del traffico aereo che ne seguono la traccia. Altro motivo che ci fa capire meglio perché la capacità deve essere joint e non può essere rappresentata solo dai 4 energumeni che, con atteggiamenti rambeschi, si fanno fotografare con le maschere d’ossigeno indossate.

La tattica – impiegata ovviamente in ore notturne e, possibilmente, con cieli coperti da nuvole – consente quindi inserzioni sicure, discrete, o anche clandestine, preservando il team di incursori che, necessariamente e soprattutto in tale fase dell’operazione, si trova in un momento particolarmente delicato e sensibile. Di contro, tali procedimenti richiedono uno spinto, dettagliato, spossante e peculiare addestramento del personale che deve essere anche dotato di materiali ed equipaggiamenti speciali idonei a garantire, prima dell’assolvimento del compito, la sopravvivenza degli operatori in carenza di ossigeno, a pressioni atmosferiche molto ridotte e a temperature bassissime.

Non smetteremo mai di sottolineare, quindi, che la precondizione per l’impiego operativo di tale tipo di tecnica-tattica è costituita dalla ragionevole certezza che essa non costituisca un problema per il team che la deve eseguire e condurre che, quindi, deve essere assolutamente preparato ed addestrato e completamente equipaggiato e dotato per eseguirla con la più naturale disinvoltura. L’inserzione, infatti, è solo una delle prime fasi della manovra e, se ci si mette in condizioni critiche sin dall’inizio dell’operazione speciale, le probabilità di conseguire l’obiettivo, che per sua natura è strategico e rappresenta il fine ultimo dell’attività che si è pianificata, diminuiscono drasticamente sino ad azzerarsi.

Da subito, quindi, proferiremo il primo lapidario postulato: se si vuole esprimere una tale capacità bisogna garantire imprescindibilmente la preparazione e formazione del personale e di tutte le articolazioni joint che contribuiscono alla “capacità” stessa, il suo costante addestramento, ripetuto frequentemente durante tutto l’anno e nelle varie condizioni ambientali, la disponibilità degli assetti aerei, degli equipaggi abilitati e di tutti gli equipaggiamenti e materiali in perfetto stato di manutenzione ed il continuo coordinamento ed integrazione interforze, elementi che sono indispensabili per assicurare questa capacità.

Tale connotazione interforze è stata ulteriormente sottolineata dalla recente esercitazione interforze COMAO 22-01, condotta appunto sotto la direzione del Comando delle Forze Aerospaziali, in cui, a fianco dell’attività HALO/HAHO condotta dal 9° reggimento Col Moschin, hanno operato velivoli F-35A in attività di Suppression of Enemy Air Defense, predator MQ-9 che hanno svolto Intelligence Surveillance and Reconnaissance (ISR), AV-8B Harrier II Plus della Marina Militare e un Gulfstream G-555 CAEW con funzioni di comando e controllo, per citare solo parte delle capacità interforze interessate e necessarie per tale tipologia di operazioni.

I materiali e gli equipaggiamenti indispensabili.

Tutti i materiali e gli equipaggiamenti che servono per garantire la capacità sono “speciali”, nel senso che, pur assolvendo a delle funzioni che possono sembrare banali o scontate, devono essere idonei e omologati per resistere a condizioni estreme per tutta la durata dell’attività. Le criticità non sono solo rappresentate dalla quota, e quindi dalla carenza di ossigeno e dalla bassa pressione, ma soprattutto dalle temperature che possono superare anche i -60°C. Senza bisogno di essere degli ingegneri o dei fisici della materia, è notorio che a quelle temperature i materiali più comuni, e soprattutto quelli polimerici usati abbondantemente negli equipaggiamenti militari moderni, hanno da molto superato la temperatura di transizione duttile/fragile e tendono quindi a rompersi con grande facilità rischiando anche di ferire gli operatori oppure, molto più semplicemente, di risultare compromessi nella loro funzionalità. Gli apparati elettronici non rispondono, i cristalli liquidi si ghiacciano, le batterie si scaricano immediatamente, gli schermi dei computer si rompono, i lubrificanti si ghiacciano impedendo il funzionamento di ogni congegno meccanico e, qualora si sopravviva al periglioso lancio, si rischia di arrivare al suolo e ritrovarsi senza la possibilità di comunicare, di orientarsi, di muoversi… e la missione deve essere abortita! Anzi, peggio! Bisogna lanciare una rischiosa operazione di search and rescue per cercare di salvare la vita a chi invece avrebbe dovuto fatalmente complicarla all’avversario! Non basta quindi avere un GPS portatile ma deve funzionare a -60°C e lo stesso dicasi per la radio satellitari e per tutti gli altri materiali di cui parleremo. I costi, quindi, lievitano esponenzialmente: se un computer normale militarizzato costa 3.000… uno garantito a resistere a quelle temperature costa 10 volte tanto!

Passiamo ora rapidamente in rassegna gli equipaggiamenti indispensabili:

  • Il complesso-paracadute: primo degli equipaggiamenti essenziali. Deve essere omologato per le relative quote di lancio e d’apertura e per le temperature d’impiego e l’imbraco deve avere la possibilità di supportare i contenitori individuali d’ossigeno, lo zaino, le armi, e gli strumenti di navigazione. La vela deve garantire una favorevole efficienza (preferibilmente oltre il 4:1) oltre che supportare pesi che possono avvicinarsi ai 200 Kg. Il congegno barometrico di sicurezza deve anch’esso essere omologato per le relative quote, pressioni e temperature e deve essere waterproof 10, e questi particolari non solo fanno lievitare i costi d’acquisto ma anche di manutenzione dei vari complessi-paracadute. La vela d’emergenza deve avere caratteristiche similari a quella principale perché nel malaugurato caso di attivazione della vela secondaria il paracadutista deve comunque avere la possibilità di manovrare e di raggiungere un luogo sicuro per l’atterraggio (immaginiamo un lancio sulla verticale del mare o di una zona montagnosa a cui fa seguito una lunga navigazione sottovela per raggiungere la costa o la radura che consente l’atterraggio; se uno dei paracadutisti aziona l’emergenza deve comunque poter seguire una rotta simile a quella che era stata pianificata col paracadute principale). Questi complessi paracadute hanno un costo che si aggira intorno ai 27.000 € l’uno e devono essere regolarmente manutenuti e revisionati a scadenze specifiche.

  • le maschere e i contenitori d’ossigeno collettivi e individuali. Come abbiamo già anticipato, sopra i 4.000 m. è imprescindibile l’uso dell’ossigeno. Ogni paracadutista deve essere dotato di una maschera in grado di erogare una percentuale tanto più alta di ossigeno quanto più è alta la quota. La maschera di ogni paracadutista durante, o a premessa del volo, è collegata ad un contenitore collettivo tramite delle “fruste” di adeguata lunghezza. Pochi minuti prima dell’uscita dall’aereo, la frusta che collega la maschera al contenitore collettivo viene scollegata e si connette la maschera al contenitore individuale (piccola bombola della capienza di 2 litri che ogni paracadutista ha agganciata al proprio imbraco) per poter respirare durante il lancio. Tutti questi equipaggiamenti hanno costi estremamente elevati e devono essere tutti omologati per poter essere imbarcati a bordo dei velivoli e manutenuti presso le ditte costruttrici. Per fornire un ordine di idee, i contenitori collettivi (per massimo 8-10 pax) possono costare 100.000 € l’uno, quelli individuali circa 12.000 € l’uno ed una maschera circa 7-8.000 € l’una. Ogni manutenzione (spesso annuale) supera i 2.000 €.

  • I caschi. Devono proteggere dal freddo, consentire l’alloggiamento della maschera e il supporto ai night vision googles che ogni operatore utilizza. Devono essere di peso contenuto per evitare sollecitazioni troppo grandi al collo del paracadutista e contenere delle cuffie auricolari di comunicazione che consentano l’accoppiamento con la radio individuale impiegata. Devono anche essere dotati di agganci ed interfacce compatibili con quelli aeronautici, che consentano anche le comunicazioni intravelivolo con l’equipaggio dell’aereo. Anche per questo tipo di equipaggiamenti il costo si aggira sui 3.000-6.000 € a pezzo a seconda della versione scelta.

  • L’abbigliamento termico-tattico. L’abbigliamento deve consentire di resistere alle bassissime temperature per lunghi periodi, deve essere poco ingombrante e stivabile alla fine del lancio, non deve intralciare i movimenti del paracadutista e deve essere resistente agli strappi ed alle abrasioni. Anche i guanti e sovra calzari rivestono un’importanza fondamentale e possono far la differenza tra un operatore che può continuare la propria missione ed uno che deve essere esfiltrato per principi di congelamento alle estremità. Per l’abbigliamento specifico i costi si aggirano intorno ai 1.000 € per operatore.

  • Gli strumenti di navigazione. Al minimo ogni operatore dovrà essere dotato di un computer di navigazione (circa 3.000 € l’uno), di bussola aeronautica (circa 1.000 € l’una) e vari kit di assemblaggio e supporto (500 €). Bisogna inoltre aggiungere i vari software che consentono e facilitano la pianificazione della navigazione ei ripetitori di segnale GPS (circa 17.000 €) che consentono di ricevere il segnale anche all’interno della carlinga del velivolo.

  • Il tactical beacon. Segnalatore di posizione satellitare che ogni operatore deve possedere. In caso di emergenza, infatti, bisogna sapere dove lo sfortunato paracadutista si trova per poterlo soccorrere in tempo. Il costo di tale dispositivo è variabile ma non sbaglieremmo se lo stimassimo a circa 6.000-8.000 € l’uno.

  • Gli apparati per le comunicazioni hands free. Ogni operatore deve inoltre disporre di apparati che gli consentano le comunicazioni intra-team durante il volo ed una volta giunti al suolo. Gli apparati devono quindi resistere alle condizioni estreme e si devono impiegare soluzioni che limitino al minimo la possibilità di essere individuati dalla guerra elettronica avversaria. Negli ultimi anni si sono sviluppati sistemi che consentono di creare un tactical cloud di opportune dimensioni che consenta la comunicazione wi-fi tra tutti gli elementi che vi si trovino all’interno. Tale tecnica è particolarmente usata durante le fasi di volo e di navigazione sottovela. Anche per questi apparati, senza entrare nei dettagli, peraltro molto sensibili, possiamo stimare costi per circa 6.000 € a operatore.

  • Gli equipaggiamenti di ricarica e manutenzione. Se si vuole possedere una capacità operativa seria, bisogna anche disporre “in proprio” dei sistemi di ricarica d’ossigeno e di manutenzione ordinaria di tali sistemi altrimenti, la ditta che provvede alla ricarica sarebbe la prima a conoscere l’attività svolta dal reparto e potrebbe, con pochi accorgimenti di tipo informativo, fornire molti dati agli “interessati” circa l’attività svolta e sullo stato di approntamento delle unità che la effettuano. Tali sistema di ricarica, oltre a richiedere personale specializzato per il loro utilizzo, hanno un costo che può facilmente superare i 200.000 – 300.000 € per tutte le loro componenti essenziali oltre che essere sottoposti, anche loro, a verifiche e manutenzioni periodiche che fanno lievitare sensibilmente i costi di esercizio.

Oltre ai materiali ed equipaggiamenti, il personale che effettua tale attività deve essere sempre fisicamente al massimo delle proprie capacità e deve seguire dei controlli medici specifici. In particolare, sia per un fattore fisiologico che addestrativo e di sicurezza è raccomandabile che ogni anno gli operatori facciano un controllo ed un addestramento in camera ipobarica sia per ravvivare la consapevolezza dei sintomi dell’ipossia sia per ripetere le procedure da intraprendere nel caso tale patologia si verifichi in volo. Anche questo tipo di attività non può che essere di nicchia per i costi che sottende e per la disponibilità estremamente limitata delle strutture di fisiopatologia aeronautica disponibili sul territorio.

Una rapida e grossolana stima dei costi

Giusto per fornire un ordine di grandezza, se volessimo garantire ad ogni operatore lo stato dell’arte degli equipaggiamenti atti ad assicurare la capacità HALO/HAHO una ragionevole stima dei costi iniziali potrebbe essere apprezzata a circa 100.000 € ad operatore. Se poi dovessimo aggiungere i costi di manutenzione e mantenimento a numero, alla cifra fornita dovremmo aggiungere circa 15.000 € ad operatore all’anno, tenuto conto che dopo un’onorevole vita di 15-20 anni i sistemi vanno sostituiti.

Quindi, giusto per farla semplice, per 10 operatori devo spendere circa 1 milione di euro in equipaggiamenti e 150.000 € all’anno per le varie manutenzioni e mantenimento a numero.

A questi costi si aggiungono quelli del corso di abilitazione (che per 10 pax potrebbe avere una entità di circa 150.000 € euro tenuto conto dell’affitto del velivolo, delle ricariche, dell’impiego degli istruttori, dell’usura dei materiali ecc…) e quelli del mantenimento dell’operatività.

Sino qua abbiamo quantificato solo i costi economici. Quelli relativi alle sortite di velivoli dell’Aeronautica Militare, vero collo di bottiglia della problematica, li vedremo in seguito.

Ma ricordiamoci che avere 10 operatori abilitati significa esprimere una capacità operativa di 3 operatori!

Vincoli e limiti della capacità

Forse non tutti sanno che, per un lancio con equipaggiamento11 i velivoli dell’Aeronautica Militare non possono imbarcare più di una ventina di paracadutisti il C-130J e più di una dozzina il C-27J. Gli equipaggi abilitati sono attualmente limitati per ciascuna linea di volo. Ne risulta una limitatissima capacità per il mantenimento dell’operatività e per i corsi formativi. Anche se questi ultimi possono essere iniziati con velivoli civili non possono infatti prescindere, nelle fasi finali del corso, dagli assetti tattici dell’Aeronautica.

Senza dare i numeri al lotto, ci risulta che, negli ultimi 2 anni, a fronte delle seppur limitate richieste di sortite HALO/HAHO effettuate dal solo 9° reggimento Col Moschin12, ne siano state garantite meno della metà per endemica indisponibilità di assetti e di equipaggi abilitati da parte dell’Aeronautica Militare. Analizzando anche solo questo fattore, ovvero l’inabilità dell’Aeronautica a soddisfare le sole richieste del 9° reggimento, un’ipotesi di allargamento della capacità ad altre unità sarebbe, ovviamente, da escludere a priori e da non prendere neanche in considerazione.

Sempre trattando di requisiti minimi che vincolano l’espressione della capacità, l’addestramento indispensabile degli operatori non può fare eccezione. Stiamo infatti riferendoci a un team che, senza preavviso e “con disinvoltura e sicurezza”, deve essere in grado di pianificare, organizzare e predisporre un lancio da altissima quota, interfacciarsi con gli equipaggi dell’Aeronautica per definire i dettagli del lancio, impiegare equipaggiamenti sofisticati, lanciarsi di notte da un aereo che vola a 10.000 metri di quota portando con se tutti i materiali, armi ed equipaggiamenti necessari alla missione, aprire immediatamente il paracadute, ricongiungersi in aria a vele aperte e, magari, in condizioni meteorologiche non ottimali, effettuare una lunga navigazione di 30-45 km di team (che comporta una brevissima distanza tra un operatore e l’altro in condizioni di scarsa visibilità e di alta probabilità di collisioni), prendere terra insieme nella stessa zona ristretta di atterraggio, ricongiungersi al suolo facendo sparire ogni traccia e proseguire la missione in territorio nemico. Al minimo, per mantenere le sole capacità aviolancistiche, oltre ai 10 lanci HALO/HAHO all’anno, il personale ne dovrà eseguire almeno una trentina con la Tecnica della Caduta Libera (da quote inferiori ai 4000 m.) ed almeno un addestramento annuale in simulatore di caduta libera. Tali quantificazioni sono state fatte prendendo ad esempio i programmi di mantenimento dell’operatività delle unità che esprimono una consolidata capacità nel settore quali alcuni reparti di incursori di USA, Francia (1° RPIMA, e 13° RDP), Australia (AUS SAS) e Gran Bretagna (22° SAS).

La capacità nazionale d’inserzione HAHO/HAHO

La capacità d’inserzione aerea da alta quota rientra tra i requisiti che, nell’ambito dell’Esercito, solo il reparto “incursori” – in linea con la sua missione interforze e con i compiti esclusivi assegnati al solo Tier 1 – è in grado di esprimere. Detta capacità costituisce una vera peculiarità del 9° reggimento Col Moschin che, in tale ambito, rappresenta l’unico ed esclusivo reparto italiano in grado fornirla da un punto di vista operativo ed in possesso del know how necessario per garantire la formazione specifica al personale della Forza Armata già in possesso del brevetto di Incursore dell’Esercito13. Il reparto provvede inoltre, in completa autonomia, a supportare con personale tecnicamente preparato l’esecuzione delle procedure per l’abilitazione degli equipaggi e dei velivoli dell’Aeronautica Militare al volo e lancio da alta quota.

Il 9° reggimento ha da sempre rappresentato l’unico punto di contatto e di riferimento, anche a livello interforze, con le paritetiche o similari unità o centri di addestramento esteri per gli scambi di esperienze o l’effettuazione di corsi nello specifico settore.

Infine, il 9° reggimento integra e completa la capacità anche tramite le esperienze maturate nell’impiego dei Joint Precision Aerial Delivery Systems14. Svariati incursori hanno infatti partecipato alla campagna di sperimentazione e impiego dei sistemi in Afghanistan (anni 2007-2010) e hanno anche partecipato a addestramenti specifici presso lo Yuma Proving Ground dell’US Army in Arizona (foto allegate).

Il reparto copre quindi ogni esigenza connessa alla specifica tattica disponendo di tutte le professionalità necessarie ai vari profili di possibili operazioni, sia speciali sia convenzionali. Oltre a tutte le tipologie di Operazioni Speciali, che includono le attività NATO SOF (Azioni Dirette, Ricognizioni Speciali e Military Assistance) e le 4 missioni nazionali assegnate al solo Tier 115 che il 9° è in grado di condurre sfruttando la capacità HALO/HAHO, il reparto possiede anche le professionalità per supportare e concorrere ad un ampissimo ventaglio di operazioni convenzionali. Molti degli incursori sono infatti qualificati Comandante di Pattuglia di Guida e, qualora l’attività fosse condotta per facilitare un’operazione aviotrasportata, sarebbero in grado di individuare, ricognire e omologare le varie zone di lancio necessarie, contribuire all’aggiornamento informativo dell’area oltre che, eventualmente, ricongiungersi ai primi nuclei della Forza Avanzata16 e guidarli verso le rispettive aree in qualità di conoscitori d’area.

Numerosi incursori sono anche qualificati Joint Terminal Attack Controller (JTAC) e possono quindi richiedere il fuoco dalle piattaforme disponibili e guidarlo contribuendo alla manovra (specificatamente alla concentrazione del fuoco) e alla neutralizzazione di target remunerativi a premessa e durante lo svolgimento di qualsiasi operazione convenzionale oltre che concorrere a coordinare e ad assistere il traffico aereo. Quasi pleonastico evidenziare che le aliquote di incursori possono condurre azioni dirette attaccando, anche in modalità stand-off, gli obiettivi paganti che dovessero essere neutralizzati a supporto delle unità convenzionali sfruttando ogni capacità tipica e peculiare che la poliedrica formazione da incursore conferisce17.

Essendo qualificati all’impiego di autorespiratori subacquei a ciclo chiuso (ARO) e possedendo una consolidata capacità anche nell’ambiente marino sia di superficie che subacqueo, i team del 9° potrebbero facilitare operazioni anfibie sfruttando il peculiare sistema d’inserzione discreto. Inoltre, nel malaugurato caso il reparto non disponesse della professionalità necessaria, questa potrebbe comunque essere aggregata al team di incursori ed inserita con la medesima tecnica disponendo il 9° di operatori abilitati ai lanci in tandem HALO/HAHO. Completa la capacità l’esperienza ormai affermata di aviolancio da alta quota trasportando anche i cani d’assalto (K-9).

Formazione e mantenimento.

A livello nazionale la formazione per conseguire l’abilitazione all’effettuazione di aviolanci da alta quota è anch’essa concentrata presso il 9° reggimento Col Moschin che pianifica, organizza e conduce, in completa autonomia, i corsi di abilitazione di base e per Assistente Direttore di Lancio con procedure ad Ossigeno (ADLO). Il 9° reggimento è inoltre l’Ente che certifica ed esegue l’attività aviolancistica con autorespiratore ad ossigeno per lanci da alta quota e il personale incursore che consegue l’abilitazione può fregiarsi della specifica abilitazione istituita nel 1991. Il distintivo associato riporta la dizione “distintivo per incursore abilitato ai lanci operativi da alta quota con l’impiego di apparecchiature ad ossigeno” sottolineando, ulteriormente, che l’abilitazione è intimamente connessa, ed inscindibile, dal brevetto da incursore dell’Esercito e, con l’espressione “lanci operativi”, viene evidenziato l’aspetto tattico e non prettamente aviolancistico delle procedure.

Il 9° reggimento, oltre ad essere, ad oggi, l’unico ente a poter garantire il know how tramite il personale istruttore e la consolidata esperienza maturata in decenni di aviolanci da alta quota, è anche l’unico ente che ha in dotazione i costosissimi materiali, gli equipaggiamenti e le strumentazioni necessarie al fine di condurre l’attività. A livello nazionale, quindi, il Col Moschin è già in grado di soddisfare tutte le esigenze della Difesa nello specifico settore svolgendo, da innumerevoli lustri, esercitazioni interforze e di forze armata sia in autonomia sia a supporto di tutte le unità operative, speciali o convenzionali, che potrebbero necessitare di tale concorso.

Ipotesi di ampliamento dell’abilità:

Come già accennato nel nostro precedente articolo sussisterebbero comprovati tentativi, originati soprattutto dal basso, di allargare “l’abilità” di eseguire lanci da alta quota ad altri reparti. Il termine “abilità” è stato scelto deliberatamente e con oculatezza in quanto l’eventuale citato allargamento non comporterebbe, a nostro avviso, alcuna crescita capacitiva da parte della Difesa pur comportando un notevole esborso di risorse economiche, materiali e umane. Vediamo dunque, di seguito, quali siano le grandezze in gioco.

Per tale ipotesi abbiamo impiegato i seguenti criteri:

  • per poter esprimere la capacità operativa di una unità bisogna disporre al minimo di:

  • 3 unità abilitate e pronte (una è indisponibile, una è impegnata in altre attività una è in stand-by per essere impiegata);

  • equipaggiamenti per 2,5 unità (parte degli equipaggiamenti sono in costante manutenzione, parte sono impiegati per addestramento e un’aliquota deve essere sempre in stand-by per l’impiego operativo);

  • una media di 10 lanci HALO HAHO/operatore/anno a cui si aggiungono i corsi per la formazione dei nuovi operatori e un minimo di 30 lanci TCL/anno ad operatore abilitato;

  • per i calcoli si è stimato un decollo HALO/HAHO mediamente di 15 pax e un decollo TCL mediamente di 40 pax (supponendo quindi l’impiego di velivoli militari).

Brigata paracadutisti. Unità d’impiego: il plotone: almeno 3 plotoni abilitati (totale circa 100 pax includendo gli Assistenti Direttori di Lancio con procedure ad Ossigeno) per esprimere l’abilità HALO/HAHO limitata a 1 Plotone. Materiali ed equipaggiamenti almeno per 75 pax.

  • Per raggiungere l’abilità (da anno X a anno X+5):

  • Tempo richiesto: 5 anni, abilitando circa 20 pax all’anno18;

  • risorse circa 9,5 M€ Milioni (acquisto equipaggiamenti (7,5 M€), corso iniziale (1,5M€) e mantenimento per quelli che hanno già completato il corso (0,5 M€))

  • lanci e decolli: mediamente 45 sortite/anno di tipo HALO/HAHO + mediamente 50 sortite/anno TCL19;

  • per mantenere l’abilità dall’anno X+5:

  • risorse circa 2 M€/anno (revisione equipaggiamenti, mantenimento a numero, corso iniziale per sostituire il personale che progressivamente lascia la componente operativa ecc…)

  • lanci e decolli: mediamente 66 sortite/anno di tipo HALO/HAHO + 75 sortite/anno TCL

4° reggimento alpini paracadutisti “Monte Cervino” Unità d’impiego: il plotone; almeno 3 plotoni abilitati (totale circa 100 pax includendo gli Assistenti Direttori di Lancio con procedure ad Ossigeno) per esprimere l’abilità HALO/HAHO limitata a 1 Plotone. Materiali ed equipaggiamenti necessari per almeno per 75 pax.

  • Per raggiungere l’abilità (da anno X a anno X+5):

  • Tempo richiesto: 5 anni, abilitando circa 20 pax all’anno;

  • risorse circa 9,5 M€ Milioni (acquisto equipaggiamenti (7,5 M€), corso iniziale (1,5M€) e mantenimento per quelli che hanno già completato il corso (0,5 M€))

  • lanci e decolli: mediamente 45 sortite/anno di tipo HALO/HAHO + mediamente 50 sortite/anno TCL;

  • per mantenere l’abilità dall’anno X+5:

  • risorse circa 2 M€/anno (revisione equipaggiamenti, mantenimento a numero, corso iniziale per sostituire il personale che progressivamente lascia la componente operativa ecc…)

  • lanci e decolli: mediamente 66 sortite/anno di tipo HALO/HAHO + 75 sortite/anno TCL

185° reggimento ricognizione ed acquisizione obiettivi. Unità d’impiego: il distaccamento operativo acquisitori; almeno 3 distaccamenti operativi acquisitori abilitati (totale circa 30 pax includendo gli Assistenti Direttori di Lancio con procedure ad Ossigeno) per esprimere l’abilità HALO/HAHO limitata a 1 distaccamento operativo acquisitori. Materiali ed equipaggiamenti almeno per 20 pax.

  • Per raggiungere l’abilità (da anno X a anno X+3):

  • Tempo richiesto: 3 anni, abilitando circa 10 pax all’anno;

  • risorse circa 3,75 M€ Milioni (acquisto equipaggiamenti (3 M€), corso iniziale (0,45 M€) e mantenimento per quelli che hanno già completato il corso (0,3 M€))

  • lanci e decolli: mediamente 20 sortite/anno di tipo HALO/HAHO + mediamente 15 sortite/anno TCL;

  • per mantenere l’abilità dall’anno X+3:

  • risorse circa 0,55 M€/anno (revisione equipaggiamenti, mantenimento a numero, corso iniziale per sostituire il personale che progressivamente lascia la componente operativa ecc…)

  • lanci e decolli: mediamente 20 sortite/anno di tipo HALO/HAHO + 25 sortite/anno TCL

Da questo semplice e approssimativo esercizio teorico di ampliamento dell’abilità, visto che non esiste alcun operational requirement espresso dalla Difesa, ci si rende immediatamente conto che tale teoria, oltre a cozzare con l’inesistenza di una necessità reale, si scontra inevitabilmente con la realtà dei costi esponenziali ma soprattutto con l’impossibilità, da parte dell’Aeronautica Militare, di sostenere tale sforzo.

Se anche l’Aeronautica Militare raddoppiasse (in termini di velivoli e di equipaggi abilitati) la propria capacità di trasporto aereo per l’effettuazione di lanci HALO/HAHO riuscirebbe a soddisfare, a malapena, le sole esigenze attuali del 9° reggimento.

Tenuto conto che tale programma di sviluppo non è incluso nelle priorità della Difesa20 che senso avrebbe abilitare operatori di altri reparti senza decuplicare la capacità dell’Aeronautica nel settore?

L’eventuale ampliamento a altri reparti non produrrebbe alcun incremento della capacità anzi, andrebbe ad erodere slot addestrativo a chi invece, quella capacità, la deve esprimere per compito istituzionale.

In estrema sintesi, la capacità di inserzione HALO/HAHO contribuisce significativamente alla “dimensione strategica” dell’assetto “incursori” dell’Esercito che, tramite le citate procedure, può essere proiettato con minimo preavviso, tempi contenuti, rilevante penetrazione ed a grandissima distanza preservando, qualora richiesto, la natura clandestina, occulta e/o riservata dell’operazione per l’esecuzione dei peculiari, sensibili ed esclusivi compiti recentemente ribaditi dal capo di Stato Maggiore della Difesa.

Per quanto la capacità sia inevitabilmente interforze e coinvolga assetti, unità e capacità di tutte le forze armate, l’Esercito, tramite il 9° reggimento Col Moschin, esprime la componente di nicchia di assoluta eccellenza che non trova riscontro in nessuna altra unità della Difesa nazionale e di cui dispongono solo i paesi più strutturati sotto il profilo militare.

Gli attuali requisiti operativi espressi dalla Difesa, le capacità espresse dall’Aeronautica in termini di trasporto aereo e di equipaggi abilitati nonché ulteriori (anche se non necessarie) considerazioni sugli elevatissimi costi a fronte di un incremento quasi nullo della capacità reale escludono, a priori, un possibile allargamento dell’abilitazione HALO/HAHO ad altre unità.

Compito della Difesa, e dell’Esercito in primo luogo, rimane quindi quello di preservare e potenziare questa nicchia di eccellenza nell’ambito del 9° reggimento Col Moschin. L’evoluzione della capacità dovrebbe infatti tendere verso una sempre più specializzata, elitaria e selezionata nicchia di eccellenza concentrata nell’unico reparto che da anni ne coltiva lo sviluppo e ne possiede l’esperienza piuttosto che verso il tentativo di distribuire, suddividere e, inevitabilmente, appiattire la capacità con l’immancabile conseguenza di perdita di efficacia, efficienza e di spreco di risorse.

Illustrazione di impiego combinato di JPADS e di team incursori in una inserzione/infiltrazione HALO/HAHO

Operatore che si prepara ad un lancio HALO/HAHO con arma contro obiettivi protetti

Uscita da velivolo C-130 di Sistema JPADS insieme a team incursori

Incursore a seguito di JPAD a YUMA (chiaramente visibile la striscia di atterraggio che rappresenta la landing zone)

Illustrazione di una pianificazione di navigazione sottovela

Incursori effettuano lancio HALO in tandem con equipaggiamento e armamento

   

1 “La Pianificazione Generale Interforze consegna alle Forze Armate e al Paese una nuova metodologia progettuale di accrescimento ed evoluzione capacitiva rigorosamente collimata sui principi di razionalità, economicità, efficienza, imparzialità, trasparenza suggellata dalla puntuale adozione di soluzioni connotate dal miglior rapporto in termini di costo/efficacia e di più ampio beneficio trasversale per le componenti dello Strumento”. Copertina_Cap.2 (difesa.it)

2 Vi ricordate i “Concetti che s’imparano in prima, massimo nella seconda elementare delle scuole degli addetti ai lavori e che, se non acquisti, comportano la bocciatura senza appello dagli istituti di formazione – quelli veri!” dell’articolo “Che cosa è un’operazione speciale”? Ecco, questo è un altro di quei concetti.

3 Nelle inserzioni anfibie i trasportatori si definiscono “primari” se non organici alle unità di incursori e se impiegati per le inserzioni (unità navali di superficie o subacquee) e “secondari” se organici alle unità di incursori e impiegati durante le infiltrazioni (battelli di superficie, natanti, o trascinatori subacquei).

4 Aerei come il PILATUS PORTER, il CESSNA Caravan C 208B o C 208, lo SC-7 SKYVAN o il CASA 212, che normalmente vengono usati presso aeroclub per attività aviolancistica sportiva, hanno già da tempo suscitato l’interesse delle FS occidentali che li impiegano in addestramento e anche in operazioni.

5 Sino al 2019 i lanci senza l’impiego di ossigeno sino a quote che superavano anche i 13.000 piedi si chiamavano TCL e sino agli anni 2000 erano normalmente eseguiti da tutte le unità paracadutisti, anche durante i corsi basici tenuti dalla Scuola Militare di Paracadutismo per l’abilitazione alla Tecnica della Caduta Libera, senza impiegare ossigeno né da parte de dell’equipaggio del velivolo né da parte dei paracadutisti.

6 A seconda delle intensità del vento e delle quote si sono coperte distanze in volo a paracadute aperto di oltre 50 km.

7 Tale quota è imposta dalle normative di sicurezza aeronautiche. In realtà, ci si può spingere sino alla quota di 13.000 piedi (circa 4.000 metri), senza fornire ossigeno ai paracadutisti ma impiegandolo solo per l’equipaggio del velivolo, solo se si assicura una permanenza massima a quote comprese tra i 10.000 e i 13.000 piedi inferiore ai 30 minuti.

8 Per efficienza di un paracadute a profilo alare s’intende la sua capacità di spostarsi orizzontalmente rispetto al suo spostamento verticale. Un paracadute che ha efficienza 3:1 percorre 3 metri in orizzontale per ogni metro in verticale che scende. Quindi, in una atmosfera in totale quiete, ipotizzando un inizio di navigazione a 8.000 metri di quota, il paracadutista potrebbe navigare orizzontalmente per circa 24.000 metri (8.000 x 3 (efficienza)). Se si ipotizza un vento medio a favore di 10 m/s per tutta la durata della discesa (che per un paracadute che ha un rateo di discesa di 3 metri/sec. dura 2666 secondi (circa 45 minuti) ai 24.000 metri di avanzamento teorico se ne aggiungono circa 26.000 dovuti al vento per un totale di 50 km di possibile navigazione sottovela. Questi sono dati medi. Esistono paracadute che hanno efficienze che superano i 4:1 e, a seconda delle condizioni meteo, si possono avere venti a favore di intensità ben superiore, soprattutto alle alte quote. Ma si possono avere anche venti contrari. Per cui è sempre difficile pianificare in anticipo e con precisione la distanza che si potrà effettuare a paracadute aperto soprattutto perché, in situazioni reali, oltre alle mai precisissime previsioni del vento alle alte quote si deve aggiungere il dilemma che la scelta del punto di uscita dal velivolo non può essere fatta considerando solo le condizioni meteo ma deve tenere conto anche, e soprattutto, della presenza del nemico.

9 Basi che potevano essere collocate anche al di fuori del territorio afghano o Iracheno.

10 Qualora non lo fosse, ad ogni lancio in acqua, anche addestrativo, il congegno andrebbe inesorabilmente cambiato con ulteriore aggravio economico e fermo del complesso paracadute.

11 Zaino, armamento (individuale, di reparto, contro obiettivi protetti ecc…), giberne, munizioni, strumenti per la visione notturna e per la navigazione, equipaggiamento tecnico per la condotta della missione.

12 Non ci sono stati forniti numeri al riguardo ma dalle nostre stime si tratterebbe di richieste per circa un centinaio di sortite negli ultimi due anni.

13 Il quale, non ha caso, consegue l’abilitazione, istituita nel 1991, “per incursore abilitato ai lanci operativi da alta quota con l’impiego di apparecchiature ad ossigeno” connessa con il relativo distintivo. Altra abilitazione che il 9° reggimento conferisce è quella di Assistente Direttore di Lancio con procedure ad Ossigeno (ADLO).

14 Il sistema JPADS permette di aviolanciare carichi a quote comprese fra i 5.000 i 24.500 piedi per raggiungere le zone di atterraggio, fino ad una distanza di 25 chilometri dal punto di lancio, con una accuratezza di meno di 150 metri di errore dal punto di impatto desiderato, impiegando un sistema autonomo di guida GPS ed un paracadute a profilo alare.

15 Solo ai reparti incursori (Tier 1) del comparto Operazioni Speciali nazionale sono assegnate le missioni di Hostage Release Operations, Ricognizione Strategica e altre 2 missioni assolutamente riservate.

16 Aliquota della Forza di Aviosbarco che viene immessa sul terreno a premessa dello Scaglione Assalto.

17 I team di incursori annoverano al loro interno variegate professionalità quali snipers, esperti in esplosivi e demolizioni, JTAC, esperti in comunicazioni e conoscitori di lingue oltre a essere specificatamente addestrati a muovere in ogni ambiente naturale (montagna, mare, media pianura, deserto, climi artici).

18 Per ragioni organizzative, logistiche e di disponibilità di assetti, il corso di abilitazione HALO/HAHO può essere svolto per un massimo di 10 militari alla volta e non è ragionevole pensare di poter svolgere più di 2 corsi all’anno;

19 Nell’anno X+1 bisognerà effettuare i 10 lanci HALO/uomo + i 30 lanci TCL/uomo di mantenimento per i 20 paracadutisti già abilitati nell’anno X ed effettuare il corso per gli ulteriori 20. Nell’anno X+2 bisognerà effettuare i 10 lanci HALO/uomo + i 30 lanci TCL/uomo per i 40 paracadutisti già abilitati negli anni X e X+1 ed effettuare il corso per gli ulteriori 20 paracadutisti, ecc…

20 Copertina_Cap.2 (difesa.it) “Documento Programmatico Pluriennale Della Difesa Per Il Triennio 2021-2023” .

Foto: Esercito Italiano / U.S. Marine Corps / autore