Reportage Siria: la guerra negli ospedali. L’ipocrisia dell’Occidente

04/11/16

Per valutare la gravità di un conflitto spesso ci si ferma al numero delle vittime. Quello in Siria è arrivato ormai al sesto anno e ha già al suo attivo oltre mezzo milione di morti. Che sia il più sanguinoso del pianeta è “pacifico”.

Quello di cui spesso non si tiene conto è però il numero di feriti e mutilati che porteranno nel corpo e nell'anima i segni indelebili di questa guerra assurda e ingiusta. Parliamo di cifre impressionanti.

Da quattro anni quei segni li porta dentro di sé un ex ufficiale dell'esercito siriano. Si chiama Fadi, arruolato nel 2008 per amore verso il proprio Paese, come lui stesso tiene a precisare.

È seduto di fronte a noi. Non è il classico invalido lamentoso e sconfitto. È un leone a cui hanno spezzato la schiena ma che ci osserva con fierezza e dignità tali da metterci in soggezione; Fadi parla con voce bassa e tono gentile e spesso indulge al sorriso.

Il suo corpo è un fascio di dolore. Per attenuarlo deve indossare un busto e una fascia per le spalle.

Cicatrici che sembrano canyon corrono lungo il petto e sui fianchi. Le altre menomazioni, che per chiunque sarebbero gravi, sembrano nulla nel contesto generale.

Ventiquattro operazioni chirurgiche in quattro anni non sono servite a restituirgli una normalità che non ritroverà mai. Ne dovrà sostenere comunque altre quattro.

9 dicembre 2009. Siriani collusi inscenano manifestazioni di piazza cercando di coinvolgere cittadini inermi; “ribelli moderati e democratici” (come qualcuno ancora oggi continua a chiamarli!) cecchinano gente in strada o di fronte ai presidi dell'esercito per mettere zizzania e addossare la colpa ai militari. Si moltiplicano agitatori religiosi venuti da fuori con l’appoggio di Paesi occidentali (anche l'Italia ha la sua parte di responsabilità!) e la situazione diventa caotica. Per moltiplicare il numero delle vittime e sbarazzarsi dei soldati siriani che disturbano la mattanza, si passa ai mortai da 120. I morti e i feriti aumentano esponenzialmente.

Fadi è a capo di 30 uomini mandati ad Harasta (periferia nord-est di Damasco) per proteggere i presidi militari e i cittadini in fuga. Alcuni dei suoi soldati vengono investiti da un'esplosione. Sono momenti concitati: non arriva il medico e per rattoppare alla meglio i fiotti di sangue, finiscono in breve le bende. Stanno morendo ed esce allo scoperto: deve trovare materiale di pronto soccorso e provare a salvarli. Corre finché non incontra un altro militare. Riesce a rivolgergli una sola frase, poi il soldato che sta per rispondergli viene letteralmente dilaniato da una granata di mortaio da 120. Fadi è scaraventato a quindici metri di distanza.

L'uomo di fronte a noi ricorda ogni istante. Dice di non aver mai perso conoscenza.

Racconta di aver raccolto per terra le dita della mano tranciate dalle schegge e di aver camminato sventrato e ricoperto di sangue fino a raggiungere altri soldati che lo hanno portato in ospedale. Nelle due settimane successive è sottoposto a 14 interventi.

Per 25 giorni gli attacchi sono continui e ovunque. Tutti gli ospedali sono pieni e vengono al contempo presi d'assalto dai ribelli.

Oggi si fa tanto clamore per le bombe che battono su obiettivi civili. Senza nemmeno conferme, ci si agita per ogni morto, per ogni grido, per ogni lacrima che bagna le macerie di città famose come Aleppo.

Soldati come Fadi sono state le principli vittime di quel "doppio standard" con il quale i media internazionali hanno trattato la crisi siriana.
Persone invisibili, spesso ritratte ingiustamente come "massacratori del proprio popolo", ma che invece recano nel proprio corpo e nella propria mente i segni di uno dei conflitti più assurdi e sanguinosi della storia recente.

Il tono di voce di Fadi, la sua pacatezza, aumentano a dismisura il nostro senso di colpa nei confronti di uomini diffamati al punto da passare dal ruolo di vittime a quello di carnefici.

Le cronache odierne stanno quantomai testimoniando il ruolo complice dei media occidentali nel dipingere come "eroi" i ribelli jiihadisti e come "assassini" coloro i quali al contraio si sono battuti per anni per contrastarne l'avanzata, tacendo poi sulle complicità dei governi occidentali, o ad essi alleati (leggi gli stati del Golfo), nell'alimentare la loro potenza di fuoco, mediatica ed economica.

Per anni però il popolo siriano è stato massacrato deliberatamente senza che in Occidente si muovesse un dito: non una parola, non un articolo, non un gesto di sdegno. Ospedali modello per tutto il Medio Oriente (la Siria era famosa per le sue strutture) sono stati presi d’assalto secondo logiche di inciviltà programmate, volte a creare e moltiplicare dolore. Dopo l’eco dei mortai, c’è stato solo il silenzio di un’ipocrisia colpevole.

Ricordo che gente appena operata, per mancanza di spazio, finiva nei corridoi. Gli stessi da cui i soldati sparavano per difendere la struttura dagli attacchi. Era il caos.

Sono ancora vivo perché fra me e la bomba c'era il corpo di quel collega”.

Non c'è giorno (e notte!) che non ritorni alla mente di Fadi quell'evento.

È difficile credere che sia potuto sopravvivere al calibro di quella granata. Tuttavia le piaghe sulle carni che ci mostra hanno una firma chiarissima...

Tutti i soldi avuti al congedo, qualche migliaio di euro, sono stati spesi per le operazioni chirurgiche. Oggi sopravvive con una pensione di 55 euro al mese con la madre e un fratello, anch'esso invalido.

Ha solo trent'anni. Difficilmente potrà metter su famiglia, avere figli ma anche solo trovare un impiego.

Giorgio, il nostro fotoreporter, chiede se sapendo come è andata, oggi si arruolerebbe ancora.

Certo che lo rifarei. Nonostante le mie condizioni sono ancora vivo, moltissimi altri hanno perso la vita in quei giorni. Grazie al nostro sacrificio abbiamo salvato almeno 500 civili nell'area assegnata”.

Senza busto e fasce, fitte lancinanti di dolore lo attraversano in pochi minuti. Ce ne accorgiamo quando chiediamo di fotografarlo: pochi minuti di tolleranza e poi un’autentica agonia.

Gli chiediamo di guardare l'obiettivo come se avesse di fronte i suoi carnefici.

Nonostante le menomazioni Fadi è un leone. Le tremolanti dita della mano sinistra cercano di mettere in evidenza il dito medio...

Testo: Andrea Cucco, Giampiero Venturi, Giorgio Bianchi

Foto: Giorgio Bianchi