Reportage Siria: Homs, la città dell'orologio

30/10/16

Homs è la città dell’orologio.
Dopo essere restato fermo a lungo, quasi a non volerne sapere di scandire il tempo della guerra, dal 10 maggio del 2015, alle 12 in punto ha ripreso il suo incessante lavoro.
Sta lì, in alto, e di cose ne ha viste molte anche se in silenzio per un certo periodo.
Ha visto le proteste, gli scontri, la furia della guerra... Ora sta assistendo al tentativo della popolazione di tornare alla normalità.

La città vecchia di Homs, non abbiamo il timore di dirlo a costo di apparire cinici, è affascinante e suggestiva….Evoca scenari post-apocalittici, rimanda ad un’immagine della terra 1000 anni dopo l’estinzione del genere umano…

Ecco forse è proprio questo il punto; Homs è una sorta di monito, ti suggerisce, bisbigliando tra le vie deserte della città vecchia dove il fruscio del vento la fa da padrone, che l’orrore è sempre dietro l’angolo e che le nostre certezze sono fragili come le mura delle sue case.

Alcuni edifici appaiono come quadri di Esher con corpi scala che non conducono da nessuna parte, mentre altri sembrano letteralmente dissolti.

Le serrande dei negozi, quelle che non sono state divelte dalle esplosioni, sono accartocciate come stagnola, il suq è deserto ed il vociare di negozianti e clienti è sostituito dallo sbattere delle lamiere arrugginite al vento.

Tuttavia in tutta questa desolazione non è infrequente incrociare viandanti, persone affaccendate tra i vicoli della città vecchia, intenti a rimuovere macerie o a ricostruire la propria casa o la loro attività. Tra questi c’è Ammar.

Aveva un buon lavoro, un'auto ed una grande casa su più piani in cui viveva con tutta la famiglia (genitori e fratelli).

Tutto è cambiato quasi cinque anni addietro quando sono arrivate due auto con otto uomini armati a bordo, gente sconosciuta che sfoggiava minacciosa armi da fuoco: hanno gettato per strada un cadavere con evidenti segni di sevizie.

“Polizia ed esercito non mostravano mai armi in pubblico”, precisa.

Poi l'ammonimento: “Gli infedeli faranno la stessa fine!”

Tempo dopo toccherà ad otto donne. La colpa per la maggior parte di loro era di essere cristiane. Completamente denudate e picchiate sotto la sua casa, fatte camminare fino ad una piazza, vengono trucidate. Alcune erano incinte. Il video su YouTube con i “ribelli moderati” che giocano a calcio con i feti appena estratti dal ventre ancora caldo delle madri girerà per mesi prima di essere rimosso. 

Per proteggere la popolazione nella via dove era il negozio in cui lavorava come panettiere l'esercito manda un BMP (veicolo da combattimento). I terroristi lo fanno saltare (foto).

L'effetto voluto è raggiunto: gli abitanti fuggono terrorizzati.

Tra loro Ammar.

“Erano le sei del mattino del 14 marzo 2012”, ricorda.

Oggi abita poco distante dalla casa d'origine. Prima, in cinque anni, ha traslocato cinque volte. Paga un affitto basso perché ha ricostruito l'appartamento lesionato che occupa con la famiglia: il padre, la moglie e due figli.

L'appartamento è come quello di milioni di suoi connazionali: spartano, povero ma dignitoso.

La moglie ci porta del tè che il padre è andato poco prima ad acquistare per l'occasione.

“Avevo tutto. Ora vivo in affitto in mezzo all'incertezza. Devo però andare avanti, per i miei figli”.

Sopravvive di impieghi saltuari e malpagati. Ha anche lavorato come operaio per un'agenzia delle Nazioni Unite. Quando si è assentato per dieci giorni, per stare vicino alla figlioletta di un anno gravemente ammalata, sarebbe stato licenziato.

Sogna di ricostruire la casa in cui abitava. Il forno in cui lavorava è distrutto irrimediabilmente.

Mai pensato di fuggire all'estero?

Mai. È il nostro Paese, dove dovrei andare?

Ho molto lavoro di fronte, devo ricostruire la mia vita.

Purtroppo per noi è diventato normale vivere in mezzo a questa distruzione.

È anche difficile il non sapere cosa è accaduto a tanti amici o conoscenti...

Ammar ci fissa per qualche secondo con uno sguardo strano e tira l'ennesima boccata di sigaretta.

Non mi fate la domanda che mi fanno tutti i giornalisti stranieri che incontro?

Quale?

Quella sulle differenti religioni in Siria! Credete tutti che il conflitto in corso sia stato e sia dovuto al credo.

Nel mio Paese non è mai stata un problema la confessione! Anzi, era una cosa socialmente riprovevole parlarne in termini discriminatori. Prima della guerra...

Testo: Andrea Cucco, Giorgio Bianchi

Foto: Giorgio Bianchi