Reportage Afghanistan: ambasciatore Cantone, “Pacificare l’Afghanistan è interesse di tutti…”

(di Giusy Federici)
06/10/18

Sono a Kabul da due anni e mezzo. Un periodo che mi ha consentito di approfondire ulteriormente la conoscenza di questo Paese, affascinante e complesso. Purtroppo l'attuale situazione di sicurezza non consente di poterlo girare liberamente e ciò costituisce un limite, ma le occasioni per potere approfondire le diverse problematiche non mancano e una permanenza che non sia troppo limitata nel tempo è senz'altro positiva".

S.E. Roberto Cantone è il nostro ambasciatore in Afghanistan. Lo abbiamo incontrato all’ambasciata italiana di Kabul che si trova all'interno della Green Zone e abbiamo approfittato per capire quali sono le relazioni dell’Italia con l’Afghanistan e con gli altri Paesi, sia quelli confinanti che quelli con cui condividiamo la missione NATO Resolute Support.

Ambasciatore Cantone, come sono i rapporti dell’Italia con l’Afghanistan?

I rapporti sono ottimi. L'Italia è stata tra primi Paesi ad avere instaurato relazioni diplomatiche con l’Afghanistan sin dall'inizio degli anni Venti del secolo scorso. Relazioni che nel corso dei diversi periodi storici hanno assunto valori e dimensioni diverse. A partire dal 2001, grazie alla nostra presenza militare nell’ambito della missione NATO, volta a sostenere la democratizzazione del Paese e a combattere il terrorismo, i legami si sono ulteriormente intensificati. A ciò ha anche contribuito l'importante azione qui svolta dalla cooperazione italiana allo sviluppo che considera l'Afghanistan un Paese prioritario.

Voi lavorate coordinandovi anche con le altre ambasciate?

Certamente. Soprattutto con quelle dei Paesi UE ed occidentali. L'aspetto multilaterale qui è molto importante. Ciò vale in particolare per quanto riguarda la gestione dei fondi internazionali utilizzati a sostegno delle forze armate e della polizia afghana. Si tratta di fondi che vengono versati per quanto riguarda l'esercito nell'Afghan National Army Trust Fund, che è gestito da una struttura all’interno della NATO, e per quanto concerne la polizia nel Law and Order Trust Fund utilizzato essenzialmente per il pagamento degli stipendi alle forze dell'ordine. Questi fondi vengono gestiti con la controparte afghana e sotto la supervisione di tutti i Paesi contributori. Il rapporto che esiste tra noi e le altre rappresentanze diplomatiche occidentali è pertanto strettissimo.

C’è lo stesso rapporto anche nell’ambito della veicolazione delle informazioni? L’argomento intelligence è sempre delicato, però è importante…

Questo genere di informazioni è essenziale in un contesto bellico come quello afghano. Ci consentono di prendere tutte le misure necessarie per garantire la protezione del personale e delle strutture italiane nel Paese. Anche qui la collaborazione con la NATO e le altre ambasciate occidentali è strettissima.

Herat, dove è il grosso della missione militare italiana, è la zona afghana tra le più pacificate. Avete un riscontro anche come ambasciata?

Sì, Herat è la parte dell’Afghanistan dove l’Italia è più presente, sia con la componente militare che con quella della cooperazione allo sviluppo. Sicuramente Herat resta una delle aree meno critiche in Afghanistan. Questo dipende anche dall’ottimo lavoro che l’Italia nelle sue diverse componenti, civile e militare, sta svolgendo da tempo in quell’area. Per quanto riguarda la componente militare che opera nell’ambito della missione Resolute Support, si tratta di attività di "training" e "advising" in favore dell'esercito afghano. Mentre, per quanto riguarda la cooperazione allo sviluppo Herat resta, insieme alla provincia di Bamiyan, l’area nella quale abbiamo concentrato il maggior numero di iniziative. Progetti che sono, per l’80%, mirati alla costruzione di infrastrutture e per il restante 20% al sostegno di altri settori, da quello agricolo all’educazione, alla sanità.

Quali sono le infrastrutture che stiamo costruendo noi italiani in Afghanistan?

Per citarle alcuni progetti, nell’agosto 2016 abbiamo inaugurato una strada che collega Kabul a Bamiyan. Un'arteria che consente oggi di effettuare questo tragitto in circa due ore e mezza mentre prima ci voleva un’intera giornata. Ad Herat stiamo lavorando su varie iniziative, tra i quali l’ampliamento dell’aeroporto, la costruzione dell’ultima tratta della ferrovia che collegherà Herat all’Iran, una tangenziale che unirà la stazione ferroviaria all'aeroporto dove è previsto un hub commerciale e la costruzione di circa 200km di strada tra Herat e Chest-i-Sharif. Seguiamo anche altri progetti: a Bamiyan, sempre per quel che riguarda le infrastrutture, è prevista la costruzione di una tangenziale che consentirà di far transitare il traffico pesante lontano dalla zona archeologica dove si trovavano i famosi Buddha distrutti dai talebani, per il cui restauro si sta discutendo con giapponesi e tedeschi. Ci sembra infatti importante riportare in vita questo prezioso sito archeologico che è patrimonio dell’Unesco.

Si dice Bamiyan e si pensa ai talebani che, in gran parte, parrebbero orientati a rientrare nella legalità, come ha dimostrato il cessate il fuoco rispettato a fine Ramadan. L’ambasciata italiana si muove anche in questo senso, insieme alla missione RS?

La comunità internazionale, nel suo complesso, ha tutto l’interesse che l’Afghanistan ritrovi la sua stabilità. Le recenti proposte per un cessate il fuoco fatte dal presidente Ashraf Ghani hanno ricevuto il nostro totale sostegno. C’è stata la prima, quella in coincidenza con la fine del Ramadan all’inizio di giugno, che è stata accettata dai talebani. È stato un segnale importante perché si è trattato del primo cessate il fuoco, seppur temporaneo, dopo 17 anni di conflitto. Una seconda simile proposta ha ottenuto invece minore successo. Alcuni ritengono che il motivo sia imputabile al fatto che durante il primo cessate il fuoco vi sia stata un’ampia fraternizzazione tra popolazione, forze di sicurezza afghane e molti militanti talebani. Ripetere tale esperienza, nell’ottica dei leader talebani, avrebbe potuto significare una perdita di controllo su un'ampia base di loro militanti. Questa prolungata situazione di conflitto sta stancando un po' tutti.

E per le future elezioni?

Sono state stabilite due date, il prossimo 20 Ottobre sono previste le elezioni legislative, mentre il 20 Aprile del prossimo anno dovrebbero avvenire quelle presidenziali. È importante che entrambe siano credibili e trasparenti. Ci sono tuttavia alcune difficoltà oggettive di cui occorre tenere conto, in quanto non tutte le aree del Paese sono sotto il controllo del governo e, inevitabilmente, in alcuni località difficilmente le elezioni potranno avere luogo. Ci sono inoltre alcune criticità. L'Indipendent Electoral Commission, organo deputato ad organizzarle, ha accumulato alcuni ritardi e il suo operato è criticato da alcuni partiti dell'opposizione. Che le elezioni abbiano luogo resta un fattore importante per la democratizzazione del Paese per la quale noi tutti abbiamo molto investito.

Noi stiamo aiutando a pacificare l’Afghanistan e i risultati ci sono. E stiamo costruendo tante infrastrutture. Abbiamo anche imprenditori italiani che investono in loco?

Al momento la situazione di sicurezza non lo consente. Ci sono alcune imprese italiane che stanno effettuando studi di fattibilità per alcuni progetti infrastrutturali, ma sono realtà molto limitate, come è molto limitata la presenza di società occidentali. Ci sono società iraniane, turche, indiane, cinesi, ma le condizioni di sicurezza non suggeriscono per il momento la presenza di compagnie o società italiane che lavorino sul terreno.

La Cina, invece, si sta muovendo ed espandendo molto in Afghanistan…

La Cina è particolarmente attiva su diversi fronti, specialmente su quelli economico e commerciale, anche per la sua vicinanza geografica. Ed ha anche un interesse geostrategico nei confronti dell’Afghanistan. Come altri Paesi della regione è preoccupata per la presenza di gruppi legati a Daesh che operano nella parte nord orientale del Paese, in particolare nella provincia del Badakshan. La Cina ha interesse, come la maggioranza dei Paesi, a vedere quanto prima un Afghanistan stabile dove ci sia un consenso nazionale tra il governo e i talebani e una sconfitta e marginalizzazione della componente islamica più radicale.

Però, la Cina sta costruendo tante infrastrutture, i turchi fanno altrettanto. Non rischiamo, un domani, che quello che abbiamo realizzato noi come italiani e occidentali venga in qualche modo inficiato?

In realtà si tratta di progetti complementari. Per l’attuale governo, e in particolare per il presidente Ghani, un cavallo di battaglia è proprio la connettività regionale, che implica l’esistenza di tutta una serie di infrastrutture. Oggi si sta lavorando per la costruzione di un gasdotto che unisca il Turkmenistan all'India attraversando Afghanistan e Pakistan, per il potenziamento delle linee elettriche, per la costruzione della linea ferrovia delle cinque Nazioni che dovrebbe unire Cina e Iran. I progetti finanziati dall'Italia si integrano perfettamente in questo piano di sviluppo regionale. Le infrastrutture servono al Paese, alla sua crescita economica, in definitiva al popolo afghano, ed è anche per questo che non sono osteggiate nemmeno da parte dei talebani.

Ambasciatore Cantone, per concludere: come mi descriverebbe l’Afghanistan?

La situazione rimane complessa, purtroppo lo si vede quotidianamente, dal numero degli attentati, degli scontri armati. Dal 2001 la presenza internazionale ha consentito al Paese di usufruire di un enorme sostegno, anche finanziario. Oggi è il momento di metterlo a frutto, sia attraverso la lotta efficace contro la corruzione, sia grazie ad un processo di riforme dell'apparato burocratico. Ma, in primis, avviando un negoziato di pace il più possibile inclusivo con l'insorgenza. Naturalmente le ambizioni e le speranze di tutti noi sono quelle che ciò possa avvenire il più presto possibile. Recentemente abbiamo assistito a numerose iniziative in questo senso, oltre che del governo afghano, anche da parte degli Stati Uniti, dei Paesi della regione, di quelli del Golfo. Importante è stato anche il ruolo svolto dalla componente religiosa, dagli Ulema, con conferenze svoltesi in Indonesia e in Arabia Saudita, proprio per cercare di creare quel clima positivo che consenta di avviare un processo di pace. Infine, occorre considerare che l’Afghanistan resta un Paese strategico un po’ per tutti. Lo è per gli Stati Uniti, per la Russia che teme una deriva del terrorismo dello Stato islamico nei Paesi con lei confinanti come il Turkmenistan, l’Uzbekistan e il Tagikistan. L’Afghanistan, inoltre, è un Paese importante per l’Iran, per il Pakistan, per la Cina. Storicamente, è sempre stato un crocevia. I greci, i persiani, Alessandro Magno, Gengis Khan, Tamerlano, inglesi, russi, tutti hanno lasciato un segno del loro passaggio. L’attualità geostrategica di questo Paese senz’altro resta.

Alla fine del secolo scorso e gli inizi di quello attuale, l’Afghanistan ha vissuto momenti particolarmente difficili: dopo l’invasione sovietica la guerra civile, poi il periodo talebano. In questi ultimi 20 anni anche l'Occidente è intervenuto al fine di aiutare il popolo afghano a ricostruire il proprio Paese e ritrovare pace e stabilità. La pace è il grande desiderio degli afghani, soprattutto delle nuove generazioni. E noi, come Italia, siamo qui per continuare a sostenere, insieme ai nostri partner, questo prioritario obiettivo.

(foto dell'autore)