Qatar: un Paese controverso in bilico tra benessere e giochi politici

(di Sara Catalini)
16/03/17

Non sono pochi gli arabi orgogliosi del ruolo che il Qatar ha rivestito nell’ambito del risveglio nazionale degli ultimi anni, consolidandosi come superpotenza finanziaria mondiale e centro di potere in Medio Oriente. Data l’esponenziale crescita dell’emirato e il generale livello di benessere sarebbe dunque perdonabile lo sperpero di denaro pubblico da parte dell'emiro al-Thani che ha spesso foraggiato avventure estere col solo scopo di mantenersi in bilico tra i poteri forti con cui è compromesso il Paese.

Cosa ha ottenuto realmente la popolazione dall’investimento di miliardi di dollari nel conflitto siriano? Il Qatar ha fallito nel tentativo di destituire Assad e ha impunemente lasciato senza casa più di quattro milioni di siriani. Questo è solo uno degli interrogativi che alimentano l’ambiguità dell’élite al potere nel Paese, senza contare un altro quesito: l’equilibrio tra la visione wahabita puritana dell'Islam a lungo coccolata dall’emirato e la Fratellanza Musulmani è un gioco pericoloso?

Borbottii simili si accendono per i più grandi progetti pubblici o investimenti stranieri che il Qatar promuove. Dopo che il governo ha annunciato l’investimento di 220 miliardi di dollari in previsione dei Mondiali di calcio del 2022, sembra palese che la cifra stratosferica poteva essere ridimensionata con scelte più oculate e magari condivise con la popolazione. È impressionante lo scialacquamento di somme ingenti per opere monumentali che ricordano più cattedrali nel deserto che reali opportunità di crescita.

La famiglia Al-Thani, che governa il Paese dal 1971, anno della raggiunta indipendenza nazionale, fa il bello e il cattivo tempo; non stupisce perciò che disfi e ricostruisca a suo piacimento l’impalcatura statale, infrastrutturale ed economica della nazione senza incontrare ostacoli di sorta. I partiti politici sono vietati in Qatar, così come lo sono le manifestazioni, i sindacati e le associazioni che si occupano di affari pubblici.

Nel corso della sua evoluzione politica il piccolo Paese arabo ha posto le basi per svilupparsi attorno al principio di giustizia indipendente, garantendo la libertà di culto e l’istituzione di un’assemblea consultiva, organo legislativo della monarchia eletto per due terzi dal popolo e per un terzo dall’Emiro. Una mera rappresentanza di forma. Si è parlato a lungo delle elezioni del Consiglio consultivo nazionale che avrebbero dovuto avere luogo dopo il referendum del 2003, ma a tutt’ora sembra che nessuno in Qatar suggerisca modifiche sostanziali utili a spostare la concentrazione del potere politico, di fatto appannaggio  esclusivo della famiglia regnante.

La popolazione non esprime mai apertamente il proprio dissenso in merito alle politiche interne; di tanto in tanto interviene il canale televisivo Al Jazeera di proprietà dello Stato, che incoraggia ed esorta le coscienze in modo non sempre imparziale.

Per fare un esempio di quanto non esista un dibattito politico in Qatar basti pensare che il libro "La gente vuole una riforma anche in Qatar" scritto dall’accademico Ali Khalifa al-Kuwari, edito nel 2011, è stato vietato in quanto giudicato pericoloso per la sicurezza nazionale. Il testo era pensato per promuovere la visione di una federazione del Golfo autenticamente democratica, sostenendo la necessità di un cambiamento che garantisse una partecipazione popolare diversa. Di tutta risposta, dopo aver censurato l’opera, il suo autore è stato anche condannato a 15 anni di prigione per aver tentato di diffondere idee sovversive.

Altro elemento preoccupante è la sperequazione sociale che colpisce in negativo solo la popolazione straniera di origine prevalentemente indo-pakistana, bengalese e nepalese, che costituisce la vera forza lavoro della nazione.

Pochi i progetti di integrazione, anzi, molte sono state le manovre mirate ad accentuare la distanza tra qatarini e non. Al fine di controllare il grande afflusso di lavoratori espatriati, il Qatar ha introdotto il programma "Qatarization" nel 2000, per cui i dipartimenti governativi e le industrie in joint venture sono stati incoraggiati a riservare ai cittadini del Qatar posizioni di alto livello all'interno dell'organizzazione aziendale. Di conseguenza, un numero crescente di nativi sono tornati ad assumere posizioni chiave precedentemente occupate da cittadini stranieri, danneggiando inevitabilmente quest’ultimi e creando squilibri ancora più gravi.

Com’è possibile allora che in questa intricata rete di oppressione, di politiche sociali denigratorie e di scelte diplomatiche discutibili lo Stato di Al-Thani goda di una forte stabilità? La calma in cui prospera non è frutto del successo di una struttura politica solida nella sua interezza, piuttosto è il risultato di intrecci ed equilibri di potere tra i diversi gruppi di famiglie e tribù, dove tutti puntano a trarre profitti soddisfacenti.

All'interno della famiglia Al-Thani, Tamim bin Hamad ha intrapreso una serie di cambiamenti significativi, non ultimo dei quali la creazione di nuovi istituti statali e uffici in tutto il Paese gestiti da sostenitori, fedeli e parenti. In questo modo le istituzioni di natura tribale-familiare si sono sviluppate intrecciando la propria storia alla struttura portante del sistema politico esistente.

Va detto che la centralizzazione del potere all'interno della famiglia Al-Thani da sola non spiega il peso che riveste nel Paese, ma ci sono altri elementi che contribuiscono ad alimentare il fenomeno. In primo luogo la giustapposizione tra i redditi della famiglia reale derivanti dalle risorse petrolifere e di gas da un lato, e l'assenza di centri significativi di resistenza sociale dall'altro. In un certo senso gli Al-Thani sono sempre stati un polo di attrazione, mancando anche un’istituzione religiosa davvero influente in Qatar.

Come si accennava, arriviamo al secondo nodo; l’aumento costante dei proventi del petrolio e del gas hanno permesso all’Emiro di accrescere il proprio potere rispetto alla società e di consolidare rapporti di fiducia con gruppi sociali potenzialmente capaci di mobilitare le risorse nelle casse statali. Ma l’aspetto politico più distintivo delle monarchie arabe del Golfo, tra cui il Qatar, è che i governi permettono alla popolazione di avere accesso a enormi ricchezze senza per questo dover necessariamente rincarare la tassazione di tali beni, cosa che costituisce un’anomalia nel panorama internazionale.

Non vi è alcuna imposta sul reddito pro capite personale e ciò significa che i dipendenti possono portare a casa i loro salari e stipendi, senza alcuna detrazione. Il tutto si traduce in un rapporto tra Stato e classi sociali tipico delle petromonarchie come il Qatar: l’autarchia si centra sul concetto definito dal termine dimukratiyyat al-Khubz (democrazia pane), un silenzioso accordo tra regime e popolo in cui si offre benessere in cambio di accondiscendenza politica.

Questa floridezza potenzia la solidità delle monarchie; i cittadini, non pagando a caro prezzo nessuno dei servizi di cui usufruiscono, sono inevitabilmente dipendenti e dominati dai reggenti, che si servono di una politica di benefit per rafforzare l’autoritarismo e la centralizzazione del potere.

La posizione prominente che il Qatar ha guadagnato nello scacchiere mondiale, conservando indipendenza e stabilità nell’ambito di un territorio lacerato in più punti, non è un risultato frutto di congiunture o casi fortuiti, ma deriva da una precisa strategia politica collaudata in regimi simili nella stessa area geografica. Sono chiari i reali obiettivi che si prefigge l’emirato, che punta in futuro ad un confronto con l’Arabia Saudita per conquistare l’egemonia del Golfo.

Il Paese continua a investire pesantemente nelle sue risorse di gas naturale, nonché in progetti di infrastrutture mastodontiche. Non mancano però le pesanti critiche al governo, che sebbene assicuri una fase di crescita, continua con scelte spesso discutibili: l’ingerenza della Qatar Holdings e della Qatar Investment Authority a livello pubblicitario è malvista nel mondo del calcio; i regimi della regione risentono troppo dell’ingerenza mediatica di Al Jazeera; la grande base aerea americana sita nei pressi della capitale Doha prova che il Qatar ha legami con Washington che non piacciono a tutti.

Il Qatar è un Paese proiettato nel futuro, ma rimane interessante vedere se la sua natura controversa segnerà il suo cammino di trappole letali.

(foto: Al jazeera)