La regione Artica e le preoccupazioni USA

(di Germana Tappero Merlo)
10/01/24

Non costituirà l’alternativa marittima a Suez e Malacca, almeno per qualche anno ancora, ma certamente la Northern Sea Route artica (NRS, 6000 miglia, dal mare di Barents a quello estremo orientale di Bering), di presenza dominante russa (circa 22mila km di coste polari), sta assumendo sempre più interesse e spazio nei dibattiti strategici e di sicurezza di Stati Uniti, Canada ed Europa. Il suo ruolo alternativo alle tradizionali rotte calde, in particolare Suez, diventata ora incandescente con gli attacchi missilistici Houthi alle navi mercantili nel Mar Rosso, è tornato infatti alla ribalta anche in considerazione di enunciazioni dottrinali e azioni concrete che non lasciano dubbi sui piani futuri dei due protagonisti presenti e dominanti la regione, ossia Russia e Cina.

Da qui, le contromosse, soprattutto statunitensi, e il timore – già delineatosi, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, con la fine della neutralità di Paesi scandinavi e le ripercussioni sulla sicurezza dell’intero arco settentrionale europeo - che l’eccezionalismo dell’Artico, ossia l’essere immune da un conflitto aperto per il suo controllo, sia giunto alla fine.

“Non esiste Artico senza Russia e Russia senza Artico, e spaccheremo i denti a chiunque pensi di sfidare la nostra sovranità” sono state infatti le parole dello stesso Putin, nel giugno 2022, all’indomani di quelle di Biden secondo il quale “per il dominio dell’Artico potrebbe scoppiare una guerra”1. E a questi battibecchi, seppur di routine, sono seguiti i fatti: in linea con il Regaining Arctic Domination del 2021, Biden già allora aveva acconsentito allo stanziamento di un miliardo di dollari al fine di potenziare e consolidare nuove basi militari in Alaska, mentre per l’Artico europeo si punta all’allargamento Nato alla Svezia, dopo che la Finlandia è già entrata a farvi parte lo scorso anno.

La Russia ha svariati interessi economici nell’Artico fra petrolio e gas (stimati per 18 trilioni di dollari), pescato e minerali (30 trilioni)2. La protezione delle estrazioni, lavorazioni e per lo sviluppo economico della regione, valutando possibili rischi di incidenti marittimi, ambientali e nucleari, fanno sì che la presenza militare della Russia nell’Artico, e “in tempo di pace”, sia una priorità, su cui però ruotano almeno due interessi militari chiave.

Innanzitutto, risultano urgenti per Mosca lo sviluppo e la sicurezza della penisola di Kola, situata all'estremità nord-occidentale del territorio della Federazione, come parte dell’oblast' di Murmansk, la cui parte settentrionale è l’unica regione russa della Lapponia. Già da alcuni anni è sede di esercitazioni per attività di sorveglianza radar e comunicazioni, oltre che per la guerra sottomarina perché base di 7 dei suoi 11 sottomarini a propulsione nucleare (SSBN) e armati con missili ICBM. In pratica la spina dorsale del deterrente mobile nucleare russo. Per questo, da alcuni anni, Mosca ha avviato a Kola progetti di rilancio di basi aeroportuali, eredità dell’Urss, di cui 2 (Severomorsk-1 e Severomorsk-3) sono già ora le principali basi aeree della Flotta del Nord e utilizzati per UAV di piccole e medie dimensioni.

Nelle più ottimistiche previsioni del Cremlino, il piano di sviluppo per Kola include, entro il 2030, la costruzione di due nuovi aeroporti a Nagurskoye e Temp, per tutte le tipologie di aerei della flotta aerea e navale russa, come i bombardieri strategici e cargo essenziali al supporto logistico per merci e armi destinate ad altre isole dell’Artico russo. Inoltre, sono in programma nuove piste di atterraggio (Severomorsk-2, Severomorsk-3, Rogachevo, Talagi e Kipleovo), e l’ammodernamento dell’ex impianto di Safonovo, a Sud di Severomorsk, proprio nella baia di Kola3. Si tratta, quindi, di avamposti strategici che permettono di controllare il Passaggio a Nord-Est e il GIUK Gap (Groenlandia – Islanda – Regno Unito), l’area che vedrebbe rinnovata la sua valenza nel containment strategico di rivali commerciali russi ed ora anche cinesi ma che, in caso di guerra, potrebbe rivelarsi uno degli snodi più importanti per le marine militari della regione.

Segue poi l’interesse di Mosca, correlato al primo, di proteggere l’intero arco di proprie capacità operative nell’Atlantico settentrionale e nell’Artico europeo in caso di conflitto con la Nato: la sua flotta settentrionale, infatti, ha accesso diretto ai mari di Barents e norvegese, sino all’Oceano Atlantico. Ne deriva che le capacità operative di Mosca nelle acque artiche sono strategiche e determinanti l’esito di un possibile conflitto sul fianco orientale della Nato.

Ma, appunto, non c’è solo la Russia: perché le ambizioni marittime di Pechino - considerando che il 90% delle merci cinesi viaggia per mare e il commercio marittimo Cina-Europa è tre volte maggiore di quello aereo - si estendono oltre i mari caldi degli oceani e puntano ad avere accesso e influenza nell’Artico, in un controllo condiviso con Mosca.

I dati parlano chiaro: dai 18 milioni di tonnellate di tutte le merci naviganti quelle gelide acque, nel 2018, si ipotizzano (fonti russe) salgano a 90 milioni nel 2024 sino ai 100 entro il 2030, mentre altri (fonti statunitensi) parlano di più modesti 35-40 milioni.

La Cina, cercando di posizionarsi competitivamente nel commercio mondiale, si sta concentrando sulla NRS, più breve (una stima di 13mila km contro i 21mila), e al momento più sicura delle rotte tradizionali a sud (Malacca e soprattutto Suez), ora accessibile anche per via del graduale scioglimento dei ghiacci. Da qui, l’intenzione di aumentare le proprie infrastrutture nella regione polare, rafforzandone di conseguenza anche le attività di difesa.

Il tutto rientra nella convinzione cinese del XXI secolo come il “secolo degli oceani”, riconoscendo l’importanza delle rotte marittime nella propria strategia di sviluppo, ed anche perché “nazione vicina all’Artico”4, da cui la loro difesa, secondo quanto già delineato nel Libro Bianco del 2018, che evidenziava le mire politiche di Pechino circa l'Artico, quali “proteggere, sviluppare e partecipare alla sua governance regionale”5. E proprio nell’ottica di difesa, “e nel rispetto del diritto internazionale”, si sono svolte le esercitazioni militari congiunte di Russia e Cina nelle acque e nei cieli artici dell’agosto 2023, con 11 navi da guerra che, salpate dal Mar del Giappone, attraversavano lo stretto di Bering e passavano al largo delle isole Aleutine, di fronte all’Alaska6. Un dispiegamento di forze che ha allertato l’ufficio Difesa dell’Artico del Dipartimento alla Difesa statunitense, che ha mostrato preoccupazioni circa “l’aumento dei livelli di investimento nelle capacità militari (russe e cinesi) nella regione artica”7.

Nelle ultime settimane questi timori stanno alimentando voci di un reset statunitense circa le politiche del DOD nella regione, compresi cambiamenti nel modo di addestrare ed equipaggiare le proprie forze, imponendosi di ripensare il tutto in un’ottica operativa nelle acque artiche. Elementi di cambiamento che saranno delineati, stando a fonti dell’ufficio Difesa dell’Artico statunitense, nella pubblicazione entro fine gennaio circa la strategia globale del DOD. Da qui il rinnovato interesse e l’allerta degli analisti militari di sicurezza. Non solo più maggiori esercitazioni, regolari e congiunte, con forze Nato, come quelle di novembre scorso nel Mar Baltico, guidate dalla Finlandia8, ma anche ulteriori aumenti di budget federali (già 200 milioni di dollari nel 2023) per un riammodernamento delle infrastrutture militari in Alaska (vecchie e fortemente corrose).

Ma nelle ultime settimane è stato deciso altro ancora negli Usa che ha agitato Mosca.

È di fine dicembre 2023 la dichiarazione del Dipartimento di Stato di nuove coordinate geografiche per definire i confini della piattaforma continentale degli Stati Uniti: in pratica, un milione di km quadrati distribuiti in sette regioni che, anni di ricerca, missioni scientifiche e mappatura dettagliata, hanno contribuito a comprovare come territorio statunitense9. Insomma, un’area, sopra e sotto la loro già estesa piattaforma continentale, anche artica, grande quanto due California, che gli Stati Uniti rivendicano come propria sulla base del diritto internazionale e della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (che peraltro gli Stati Uniti non hanno ancora ratificato), perché a protezione e gestione di risorse e habitat vitali. In questo modo, Washington cerca di preservare le riserve minerarie cruciali per lo sviluppo delle sue tecnologie future. Questa espansione, in particolare nella regione artica, ha tutto il potenziale per scatenare conflitti per il suo possesso e controllo, ed è sostenuta da una determinazione degli Stati Uniti, risoluta al pari di quella della Cina per il Mar Cinese Meridionale e non certo minore di quella russa per gran parte dei “suoi” fondali, dal mare di Bering all’Artico.

La risposta russa è stata, e non poteva essere altrimenti, secca ed immediata: oltre ad essere “inaccettabile”, è stato affermato che “abbiamo preso e continueremo a prendere tutte le misure necessarie per i nostri interessi nazionali in questa aerea geografica”10. Insomma, in attesa del nuovo documento DOD di fine mese, è già partita decisamente aperta, su tutti i fronti, anche quello gelido ed inospitale della grande distesa bianca del Polo Nord.

1 Sul ruolo dell’Artico nel pensiero politico e militare russo si veda G. Tappero Merlo, Nato-Russia, è scontro globale per l’Artico, “La Porta di Vetro” 29 gennaio 2023, https://www.laportadivetro.com/post/l-editoriale-della-domenica-nato-rus...è-scontro-globale-per-l-artico

10 https://www.aa.com.tr/en/americas/us-broadens-maritime-territories-into-...

Immagini: MoD Fed. Russa / U.S. DoD / MoD China / U.S. Army