Food power: l’impero russo del grano non decolla ma affama

(di Andrea Forte)
04/04/22

Russia e Ucraina sono protagoniste mondiali della produzione di grano, che pertanto diventa una delle vie maestre per comprendere quanto pesa questo conflitto negli equilibri mondiali. Proprio scavando nella parola grano se ne individua la sostanza geopolitica, cioè la fame, la leva che trasforma il cibo in arma. Tutto il mondo ha fame, tutto il mondo deve mangiare. Più si possiede il grano, più si possiede la fame di alleati e rivali. Chi possiede il grano possiede potenza.

La partita del grano non nasce con questa guerra, che si “limita” ad accelerare dinamiche. Le collettività più capaci riescono a piegarle a proprio favore. È ciò che cerca di fare la Russia, che sembrerebbe voler trasformare una politica di sovranità alimentare in una di impero del grano. Un impero con un cuore russo e due gambe, ucraina e kazaka, su cui per motivi diversi non si regge, ma inciampa e non decolla.

La partita del grano si gioca in terra sì, ma anche in borsa, innescando una dinamica dei prezzi tale da condizionare gli altri soggetti. Oggi si è di fronte più a una crisi di distribuzione del grano e ad una crisi dei prezzi, causata da speculazione e incertezza, che a una crisi della produzione in sè. La produzione media annua mondiale di grano si attesta intorno a 750 milioni di tonnellate. Per quest'anno erano prospettate cifre simili, se non ci fosse stato il blocco del grano ucraino. Che si rischi la fame di alcune aree lo si può capire sottolineando che il World Food Program acquista il 50% del grano e il 20% del mais necessari per i Paesi poveri proprio in Ucraina. Ben 45 paesi africani importano 1/3 del loro grano da Russia e Ucraina, 18 di essi almeno il 50%. Tra questi ci sono Siria, Egitto, Libia… tutti i Paesi le cui primavere arabe del 2011 furono scatenate letteralmente dal pane.

Si aggiunga il riscaldamento globale, in atto dalla fine del XIX secolo. L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il dipartimento della Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, riporta che, anche mantenendo l’aumento della temperatura sotto i due gradi entro il 2100, l’8% dei terreni coltivabili nel mondo non saranno più tali, mentre i pesci migreranno ogni decennio di 59 km verso acque più fredde, a nord.

Per la Russia vuol dire che migreranno anche verso il “suo” Oceano Pacifico. Riscaldamento vuol dire anche disgelo, che aprirebbe nuovi orizzonti agricoli nelle regioni russe. Il cambiamento climatico offre dunque alcuni vantaggi, ma che necessitano di un progetto geopolitico a supporto. Già la Russia zarista era una potenza agricola, ma doveva lottare con cicliche siccità e terre gelide. La prima guerra mondiale, la guerra civile, la collettivizzazione e in Ucraina l’Holodomor, la fame artificiale, hanno reso la successiva produzione agricola sovietica debole. La Russia putiniana avvia invece un percorso di ricostruzione della produzione, tanto da ritornare ai livelli zaristi.

Nel duemila il quantitativo annuale di grano russo era di 34.5 milioni di tonnellate, ma già nel 2009 era di 61.7. Tuttavia il settore da solo non garantiva la sovranità alimentare totale, a cui Mosca puntava. Nel 2010 la Russia vara quindi la Dottrina di sicurezza alimentare (tuttora in vigore), ma fino al 2014 rimane un progetto precario (nel 2013 la Russia dipende ancora per il 40% dalle importazioni alimentari). Solo le sanzioni post annessione della Crimea incrementano e giustificano questo percorso, costringendo a creare alternative locali. Oggi la Russia produce grano pari mediamente a 75 /85 milioni di tonnellate annue, di cui circa la metà per l’export. La capacità della Russia in questo settore sta anche nel fatto che è il primo produttore mondiale di fertilizzanti, con circa 50 milioni di tonnellate annue. Proprio in risposta alle sanzioni occidentali, Mosca ha decretato il blocco fino ad aprile dell'export di fertilizzanti, privandone l'Unione Europea, ma in particolare il Sud America, essendo questo il giardino di casa degli Stati Uniti e un'alternativa agricola, almeno d’emergenza, al grano russo, se non fosse cronicamente dipendente proprio dai fertilizzanti per produrre quantitativi mondiali. Colpire questo continente significa colpire allora gli Stati Uniti, esternamente poiché attacca la loro capacità di “aiutare” il mondo, ed internamente perché, pur non importando molti fertilizzanti, con i blocchi vedono schizzare i prezzi, inducendo i coltivatori statunitensi a seminare di meno. La Russia è forte però non solo perché produce fertilizzanti, ma anche perché possiede numerose terre, dove non è così necessario utilizzarli. È una delle poche aree geografiche al mondo in possesso delle cosiddette terre nere, il Chernozem. Terre fertilissime nella Russia centrale e meridionale. È proprio sul possesso di queste che un impero russo del grano può nascere e consolidarsi.

Parlando di terra nera si inizia a parlare di Ucraina, che da sola ne possiede il 25% del totale, e parlando di Ucraina si colgono i limiti della produzione russa e quindi uno dei motivi che potrebbero aver spinta l’invasione. In Russia, nonostante tutti i progressi, ci sono problemi come la siccità, che per il secondo anno di fila ha colpito aree fragili del fronte interno russo, come il Tatarstan. Nel Distretto federale centrale la resa del grano è calata del 24% e in quello del Volga addirittura del 45%. Stanti così le cose, la Russia vuole mantenere nel suo campo il fertile estero ucraino, non perché le serva per il consumo, ma come leva globale. Un’Ucraina “occidentale” rischia di privare Mosca di un bacino fondamentale per la gestione del grano mondiale, visto il rischio di calo della propria produzione. Inoltre il continuo assorbimento di quote cerealicole ucraine da parte cinese costituisce un altrettanto rischioso sbilanciamento nella partnership con la Cina.

Iniziamo dunque a capire quanto conta l’Ucraina, che proprio nel 2021 ha avuto uno degli anni agricoli migliori di sempre, con una produzione di circa 106 milioni di tonnellate tra cereali (di cui 32 milioni solo di grano), legumi, semi oleosi. Da sola l’Ucraina è in grado di garantire all’Unione Europea gli import del 57% di mais, del 42% di semi di colza e del 47% di semi di girasole.

Tutti i dati seguenti sono mondiali. L’Ucraina esporta il 12% del grano e il 16% del mais, mentre da sola produce il 50% dell'olio di girasole. Il peso dell'Ucraina sommato a quello russo rende ancora di più l'idea. Insieme producono l'80% dell'olio di girasole e costituiscono l’80% delle importazioni di questo nell'UE. Valgono il 29% dell’export di grano e il 20% di quello di mais.

Tuttavia l'invasione russa non sta andando secondo i piani. È bruciata la stima dei raccolti ucraini per il 2022 e sono bloccati i porti sul Mar Nero e dunque l’export. La seconda fase dell'invasione russa, tesa a concentrarsi nell'est dell'Ucraina, permetterebbe comunque di annettere completamente regioni, che da sole coprono quasi tutta la produzione di olio di girasole ucraino e che, se comprendesse anche tutta la fascia del Mar Nero, acquisirebbe il 62% della superficie coltivabile dell’Ucraina. Ammesso che la Russia stia rivedendo al ribasso la conquista, ciò non varrebbe per il grano e le altre colture, confermandone il valore strategico.

Un altro dei fattori fragili per la costruzione di un impero russo del grano è il Kazakistan, con il suo prezioso bottino di terre nere al nord. La gamba kazaka non ha tanto valore dal punto di vista agricolo in se stesso, ma perché gli effetti negativi del progetto russo in Ucraina la infragiliscono a tal punto a livello alimentare, da influenzare a sua volta negativamente la tenuta russa. La Russia ha infatti deciso di limitare, seppur temporaneamente, l’export di grano ai Paesi dell’Unione Economica Euroasiatica, tra cui il Kazakistan, per evitare esplosioni dei propri prezzi interni. Questo ha ulteriormente penalizzato il Paese, che a livello agricolo è già in difficoltà, con un pessimo raccolto nel 2021.

Si aggiunga che le esportazioni kazake di grano fino al ritiro degli americani dall'Afghanistan erano per 2/3 rivolte verso questo Paese, ma con gli USA, che hanno chiuso l'accesso ai talebani alle riserve della Banca centrale afghana, i pagamenti sono difficili. Quindi per Nur-Sultan Mosca chiude un rubinetto ad un suo partner perno nella regione centrasiatica proprio quando gli americani ne avevano già chiuso un altro. Le stesse alternative per il Kazakistan non sono pari al bacino afghano sia in Asia centrale sia per quanto riguarda l’Iran che, causa sanzioni, mantiene le stesse difficoltà afghane con i pagamenti.

Perché la Russia agisce così? È possibile che proprio i disordini di inizio anno in Kazakistan abbiano contribuito a far percepire precario il progetto imperiale agricolo alla Russia e dunque a far accelerare la “guerra per il grano” nella già fuoriuscita Ucraina. Infine se è vero che non è il grano a portare il Kazakistan fuori dall’orbita russa, la postura del Kazakistan è però frustrante per Mosca. Nur-Sultan infatti impronta la sua traiettoria sì sulla Russia, ma anche facendosi ponte fra Oriente e Occidente, fra Cina ed Europa, Cina e Turchia, generando la paura di uno scivolamento generale dell’estero russo.

A riprova che l’atteggiamento kazako sia multivettoriale, e per Mosca critico, sta il fatto che il Paese ha rifiutato di inviare truppe in aiuto di Mosca in Ucraina, non ha riconosciuto le Repubbliche del Donbass, ha sentito telefonicamente Zelensky e permette manifestazioni contro la guerra. A sua volta il Kazakistan fa tutto ciò perché, con una forte minoranza russa, tra cui nelle terre nere, teme la narrazione imperiale a cifra etno-linguistica della Russia e applicata in Ucraina… Già nel 2020 dalla Russia sono giunte le accuse di imitazioni di nazismo al ministro dell’istruzione e della cultura Ashkat Aymagambetov, colpevole di voler sostituire il kazako al russo.

E Stati Uniti e Cina?

Per comprendere il valore delle mosse russe sulla produzione mondiale del grano si devono anche conoscere le condizioni delle altre grandi potenze di cui la Russia ambisce essere pari.

Gli Stati Uniti producono circa 50 milioni di tonnellate di grano annue, dato che diventa qualitativo se confrontato con il fatto che nel 1981 erano 79 milioni. Considerando che la popolazione statunitense è da allora cresciuta di più di 100 milioni di abitanti, cioè di 1/3, mentre di 1/3 è calata la produzione, si può capire quanto la crisi del grano incida. Non solo, quello attuale è il secondo raccolto di fila che negli Stati Uniti viene rovinato dalla siccità. Quindi un primo confronto ci dice che la Russia, la cui popolazione è rimasta più o meno invariata nell’ultimo quarantennio, è riuscita a implementare un percorso di produzione inverso a quello statunitense.

Dunque se si osserva la guerra in Ucraina dal punto di vista del grano, è possibile pensare che Washington si sia fatta trovare impreparata da questa crisi. Tuttavia gli Usa sono un impero serio, ovvero non solo hanno un “granaio”, ne hanno diversi, dal Canada al Sudamerica all’Australia, disponibili entro certi limiti a soccorrere il campo occidentale. Non basta cioè colpiro in un punto per azzoppare un gigante.

La Cina ha una produzione media annua di 135 milioni di tonnellate, ma è destinata al consumo interno ed è pure insufficiente. Anch’essa poi subisce il cambio climatico. Quest'anno le piogge hanno ritardato la semina e si rischia un raccolto disastroso. Le mosse cinesi, a partire da queste condizioni, rendono plausibile pensare che la Cina sapesse della guerra in arrivo. Infatti, oltre all’obiettivo dichiarato da Xi Jinping di autosufficienza alimentare, la Cina sta perseguendo l’obiettivo di avere al massimo storico le riserve di grano ed avrà entro l’estate il 69% del mais mondiale, il 51% del grano e il 60% del riso, implementando una politica di acquisto che depaupera le collettività mondiali più esposte e fa crescere i prezzi aumentando per esse le difficoltà di acquisto. In coerenza con questa politica, dall’8 febbraio Russia e Cina hanno stilato un accordo, con cui, a sole due settimane dallo scoppio del conflitto, la Cina autorizza l’import di grano e orzo da tutta la Russia.

Fino al 2021 non c'era un accordo esteso, essendo la Cina convinta che il prodotto russo fosse contaminato. Successivamente, sulla spinta di siccità e cattivi raccolti, Pechino ha autorizzato il grano proveniente dal solo estremo oriente russo. Che le cose nell’ordine mondiale del grano si stessero muovendo da anni e che la Cina sapesse lo dimostra anche il fatto che la politica di autosufficienza alimentare cinese ha fatto sì che, se nel 2012 l’intero import di cereali della Repubblica popolare provenisse dagli Usa, in quello stesso anno un accordo con l’Ucraina porta in Cina tre milioni di tonnellate di mais. Nel 2021, appena un anno prima dell'invasione russa, la Cina era già diventato il primo importatore di prodotti agricoli ucraini. Forse sapeva e intanto cercava anche di scippare il grano ucraino ai russi. Paradossalmente la Russia potrebbe aver avvisato sì la Cina, ma anche accelerato proprio perché l’“alleato” esagerava.

Un bilancio

La Russia ha sì perseguito la sovranità alimentare, ma l'estensione di questo progetto ed un suo inglobamento in una cifra imperiale pare essere sorto per circostanze più tattiche che strategiche. Certo, rimane da capire se e quanto la Russia riesca a prendersi i campi dell’est e del sud ucraini. In ogni caso l’avere pregiudicata la produzione ucraina per il 2022 costituisce un grosso danno d’immagine. La Russia avrebbe potuto soddisfare (e dunque controllare) la fame di tanti possibili Paesi ben disposti, e rischia invece di averla generata. Parte di ogni cifra imperiale è creare dipendenza, non carenza.

L’azzardo russo rischia di consegnare definitivamente parte dell’Ucraina e del suo grano alla disponibilità occidentale e sta contribuendo ad affamare il Nord Africa e il Medio Oriente, ha inoltre irritato il Kazakistan e lei stessa scivola verso la Cina, senza neppure il contrappeso di un impero del grano, che controbilanci la preponderanza cinese nella partnership, preponderanza accentuata da un commercio del grano sino-ucraino che continuerà comunque a bypassarla, stante così l’andamento della guerra.

La credibilità della superpotenza russa, dal punto di vista del grano, rischia il default.