Due miseri, grami penny

(di Gino Lanzara)
16/03/23

Il fallimento della Silicon Valley Bank e della Signature Bank, riapre gli scenari che la paura aveva tentato di spingere nell’oblio dal 2008. Quel che a molti è apparso come un evento improvviso, per altri ha costituito una conferma di prospettive critiche nella molto probabile imminenza di un periodo recessivo determinato, tra gli altri, dal tasso di interesse individuato dalle banche centrali, necessario al rallentamento dell’inflazione.

Silicon, banca californiana fondata nel 1983 ed istituto di fiducia del mondo delle startup tech1, al 16° posto tra le banche USA, malgrado il recente rating positivo di Moody’s, si è trasformata nel secondo maggior fallimento della storia creditizia americana dopo Washington Mutual del 2008. La Silicon ha rappresentato di fatto il risultato del periodo del denaro a tassi zero e di una conseguente vulnerabilità.

Al netto della cabala che individua in Moody’s un attrattore di influssi astrali negativi, rimangono sul tavolo delle realtà su cui riflettere, rating compreso.

Qualche passo indietro. A lungo i flussi di capitali a marchio tech si sono riversati nelle casse delle banche; il problema è che, data l’inflazione, è seguita la stretta monetaria delle banche centrali che ha ridimensionato il quadro.

Attenzione però: in America i requisiti patrimoniali delle banche più grandi, non la Silicon, nella loro severità contemplano basi di deposito così ampie da non poter attrarre numeri significativi di clienti al dettaglio; a differenza di quanto fatto dalla Silicon, le autorità, differenziandola, hanno anche tentato di impedire agli istituti di credito di concentrarsi su un'unica attività, mantenendo peraltro la distanza da asset pericolosi come le criptovalute.

Last but not the least, grazie (sic!) alla politica gran parte del sistema bancario USA non è soggetto al Dodd-Frank Act, visto che nel 2018 il presidente Trump ha approvato la normativa sulla deregolamentazione atta ad esentare dalle disposizioni in questione le banche con attività inferiori a 250 miliardi. Risultato: la vigilanza Dodd-Frank si applica solo alle dodici maggiori banche statunitensi con attività superiori a $ 250 miliardi. E le altre?

Il dramma prende forma. Mentre i fondi calano, le startup continuano a bruciare risorse per investimenti e stipendi; i depositi bancari scemano e la SVB, per far fronte ai prelievi, si trova costretta a vendere parte dello stock di titoli a lunga scadenza, quelli che, con le obbligazioni garantite dal governo federale, ha acquistato per impiegare il capitale. Problemino: l’aumento dei tassi di interesse nel 2022 e nel 2023 ha causato il crollo di questi titoli, ed una caratteristica delle obbligazioni è che quando i rendimenti o i tassi di interesse aumentano, i prezzi scendono e viceversa.

Breve epilogo triste: carenza di capitale, startup2 che consigliano di prendere i soldi e scappare, tenendo al massimo i 250mila dollari coperti dall’assicurazione federale sui depositi. Qualcosa come i famosi due grami, miseri semplici penny di Mary Poppins, capaci di scatenare una bank run che, alla sera del 9 marzo, vede defluire 42 miliardi di dollari di depositi.

Nessun finale tipo La vita è meravigliosa, nessun cavaliere bianco, solo lo Stato che decide di fermare la banca a sportelli ancora aperti con l’intervento del FDIC3, secondo cui circa il 90% dei depositi non è coperto, il che significa che migliaia di società si troveranno con i fondi bloccati nella Silicon.

E gli investimenti? E, peggio ancora, gli stipendi? Si tratta di una storia a sé o del refrain Lehman Brothers, arrivato 6 mesi dopo il salvataggio della Bear Stearns4? A che punto è la notte? Il contagio è limitato alla California o è l’inizio del crollo del settore tecnologico? E gli altri settori? E se le crepe si stessero allargando dal fragile muro delle criptovalute, a loro volta in sofferenza?

Alcuni dei problemi scatenanti sono comuni a tutto il settore bancario, a cominciare dall’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Federal Reserve per combattere l’inflazione. Silicon ha iniziato ad avere problemi con l’accantonamento di depositi in titoli federali che all’improvviso valgono molto meno di quando sono stati acquistati5. Il fallimento porta i 175 miliardi di dollari di depositi sotto il controllo della FDIC, di fatto curatrice fallimentare, che riapre gli sportelli sotto la più beneaugurante targa National Bank of Santa Clara.

Fino a poche settimane fa Silicon era solvente, poi in un solo giorno la corsa a ritirare i depositi le ha letteralmente tagliato le gambe, con la prospettiva che imprenditori e forza lavoro hi-tech della Silicon Valley ne paghino il prezzo con la perdita di centinaia di posti di lavoro. Consentendo il fallimento senza garantire un paracadute per tutti i depositanti, secondo Bill Ackman, investitore dell’hedge fund Pershing Square Capital Management, ci si è finalmente resi conto che un deposito non assicurato è come un credito senza liquidità non garantito su una banca fallita.

Altre banche californiane legate al mondo tech sono da tempo in sofferenza: Western Alliance ha perso in 30 giorni il 35% del valore di Borsa; First Republic Bank il 40%6. Silvergate Capital Corp, ha già chiuso la sua Silvergate Bank, liquidata dopo aver perso nell’ultimo anno il 96% del valore di Borsa. Silvergate ha un punto in comune con Silicon, opera con il mondo cripto, la giunzione tra il sistema finanziario consolidato e quello delle blockchain delle valute private. Il venir meno della fiducia nel settore, sempre più simile ad una bolla speculativa, ha piegato Silvergate dopo crollo e frodi della piattaforma di scambio Ftx.7 Proprio dopo una serie di ritiri seguiti al crack Silvergate, Silicon sarebbe incappata nelle difficoltà sulle liquidità8 malgrado avesse già venduto tutti gli asset utili a reperire contanti9. Il fallimento di Silicon, che non ha saputo (colpa imperdonabile) differenziare gli investimenti, ha già fatto crollare la USDC, una criptovaluta con la pretesa di essere più stabile delle altre perché garantita da denaro vero e non da algoritmi: 3,3 miliardi di dollari versati sui conti di Silicon ora non sono più disponibili. Se davvero c’è contagio, questo fa la spola dalla crisi del tech per arrivare alla finanza per poi tornare indietro come la risacca.

È stata la paura per l’affaire Silicon a colpire mercati già penalizzati da una politica monetaria aggressiva e caratterizzata dal rialzo dei tassi da parte della Fed. Anche se è ancora necessario analizzare attentamente la situazione, i rischi sistemici potrebbero esserci, anche se non riguardano specificamente Svb o il settore bancario; il pericolo arriva dal mondo economico reale, visto che molte startup devono negoziare nuove scadenze a tassi più elevati per i loro debiti, correndo il rischio di lasciare insolute le esposizioni verso le banche.

Mentre il fallimento della Silicon ha fatto segnare un negativo del 4,58% dei listini europei, il pericolo che si profila è quello dell’aumento del costo del denaro, e dell’incertezza del settore finanziario, con il crescente timore di perdite per banche impreparate per un’altra bank run.

Inevitabilmente Silicon ha destato più di una preoccupazione10 visto che in un giorno sono evaporati oltre 80 miliardi dal mercato azionario composto dall'indice delle banche S&P 500. Il crollo della Silicon arriva in un momento di calo delle contrattazioni, con decine di migliaia di prossimi licenziamenti e con gli investitori con i capitali a rischio.

Intanto la Bank of England, quella dei due grami, miseri semplici penny, non ha esitato nell’apertura della procedura di insolvenza per la controllata inglese, acquistata, a protezione dei depositi, per (udite! udite!) 1 sterlina, escludendo le attività e le passività della società madre. In ogni caso, con la Federal Bank pronta ad un nuovo aumento dei tassi di interesse, il rischio per la tenuta del sistema finanziario non può dirsi cessato; l’attimo di stasi non può far dimenticare come le borse siano andate in sofferenza presagendo pericoli maggiori e soprattutto sentendo pulsare ancora le ferite dell’ultima grande recessione.

In questo California nightmare (altro che dreamin’) c’è comunque chi ne trae vantaggio: i vuoti di qualsiasi genere non sono ammessi, e dunque le startup sono già partite in cerca di nuovi istituti.

Sullo sfondo le banche centrali che gestiscono la politica monetaria e l’entità delle riserve necessarie ad affrontare casi critici come questo, recuperando la credibilità nell’ambito del sistema internazionale e rafforzando la stabilità della moneta intervenendo sul mercato dei cambi.

Ed eccoci sul campo minato delle criptovalute. In questo momento pensare che una Tesla si possa acquistare con i bitcoin dà l’idea di un’economia spregiudicata dove l’arricchimento (lecito) passa per la speculazione (riprovevole) anziché per la riuscita (faticosa) di un’impresa11; insomma un’irragionevole euforia che giustifica il pagamento del profumo dell’arrosto con il tintinnio della moneta. Il futuro potrebbe anche essere questo, ma certo che l’immagine dei due grami, miseri semplici penny riporta inevitabilmente ad una realtà molto più spigolosa.

Se il valore cripto oscilla così tanto, chi correrebbe il rischio di vedere dimezzato il valore del bene acquistato in un devastante battito d’ali di farfalla? Una moneta instabile è solo un investimento, forse buono, ma non ragguardevole come quello azionario. Tuttavia, in un momento in cui le prospettive di guadagno appaiono come l’allettante profumo dell’arrosto, qualcuno disposto a cedere la moneta anziché il semplice tintinnio ci può essere, specialmente i piccoli risparmiatori, i primi che piangono quando inizia la bank run.

Abbandonare gli investimenti produttivi a favore delle puntate finanziarie non è certo un buon segno. Non sarebbe poi così male, passata l’euforia, ricordare la volatilità, la difficoltà di acquisizione, la carenza normativa e la limitata politica monetaria delle criptovalute, come ha dimostrato nel 2022 il crollo della stablecoin TerraUST e Luna, che ha bruciato quasi 45 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato in una settimana.

Si è trattato di una sorta di Catena di Sant’Antonio mal gestita? Forse. Basterebbe ricordare che le criptovalute, utili per l’aggiramento delle sanzioni e talvolta assurte a simbolo di emancipazione monetaria, non sono titoli, e anche se attraggono leader populisti12 di paesi dove la volatilità delle cripto si accompagna all’instabilità delle monete in corso legale13, conservano un’aura speculativa accompagnata da disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza.

Piccolo particolare: il ricorso a bitcoin et similia non è senza pericoli, primo fra tutti il rischio per la sovranità monetaria, visto che quanto più se ne diffonde l’uso per i pagamenti interni e internazionali, tanto meno si mantiene il controllo su autonomia e circolazione monetaria, facendo dipendere la quantità di moneta dalla bilancia dei pagamenti.

Che succede se il governo investe in cripto? Il rischio si estende alle finanze pubbliche che, in frangenti come quello californiano, potrebbero trovarsi in seria difficoltà; se i vantaggi delle criptovalute, sicurezza14 e mancanza di “intermediari” di fatto non sono garantiti, meglio ricorrere ancora una volta alla buona vecchia banca sistemica regolamentata, alla stregua del solido mattone di Antonio Capone, alias Totò, alle prese con Peppino e la malafemmina, a meno che i governi, in concorrenza tra loro, non inaugurino il proprio bitcoin.

Vedremo; nel frattempo il buon vecchio verdone continua ad essere la valuta più utilizzata sia come strumento di riserva sia come mezzo di pagamento. Che brutto mondo! verrebbe da dire... un mondo paradossale, come il fondatore della fallita piattaforma cripto FTX, a cominciare dal cognome Bankman-Fried. È ovviamente un tentativo di sdrammatizzare, ma chi avrebbe affidato i propri investimenti ad un italianissimo Samuele Banchiere Fritto? Al di là delle battute, per il liquidatore di FTX si tratta di una situazione senza precedenti che fa concorrenza alla Silicon.

In sintesi, oltre al denaro, è mancata improvvisamente la fiducia in un sistema in cui è dovuto entrare a gamba tesa il governo americano con la promessa di rimborsi a pioggia, a dimostrazione che forse è arrivato il momento di tornare all’impresa tradizionale, poco à la page, faticosa ma più sicura.

Alla luce delle rassicurazioni di circostanza, per cui Flaiano avrebbe detto che la situazione è grave ma non seria, e del contestuale crack di Credit Suisse, i rischi di crisi, pur diversi da banca a banca, rimangono.

In conclusione, ancora una volta le banche centrali stanno svolgendo un ruolo essenziale, che non dovrebbe stupire per la sua regolamentata natura istituzionale, ma che colpisce forse per le circostanze che, proprio ora, per un’evidente immaturità d’impresa, lo hanno determinato. Per similitudine, la pepita uovo d’anatra che nello Yukon consente a Paperone di cominciare la sua attività di impresa, alla fin fine non è certo garantita da attività azzardate o meramente elettroniche, ma da basi bancarie concrete, sicuramente meno psichedeliche ma certamente più sicure.

Intanto, in attesa di verificare portata e sistemicità del collasso SVB, le rassicurazioni da fornire ai correntisti comporteranno maggiori tassi sui depositi, insieme con una nuova governance dei titoli a lungo termine, insieme all’estensione a tutti gli istituti di credito americani, nessuno escluso, delle norme di regolamentazione e controllo. Alla luce del rischio recessivo e dell’inflazione già all’opera, anche se, e sottolineo se, il contagio dei fallimenti di SVB, Silvergate e Signature può essere controllato, i rischi per la stabilità finanziaria si sono accresciuti decisamente troppo. Mancati controlli, folle esenzione da regole, rating imprecisi, mancata considerazione delle dinamiche dei cicli economici specialmente se correlati al debito, imprenditoria balneare, riportano alla memoria un’affermazione sì classica ma quanto mai attuale: la gioventù invecchia, l'immaturità si perde via via, l'ignoranza può diventare istruzione e l'ubriachezza sobrietà, ma la stupidità dura per sempre.

Speriamo non sia così, ma le difficoltà dell’algida Credit Suisse fanno temere il contrario.

1 Nel 1986 Silicon si è fusa con National InterCity Bancorp; nel 1988 è riuscita a quotarsi in Borsa; nel 1991 si è internazionalizzata con il lancio delle società Pacific Rim e Trade Finance

2 Vd. Founders Fund di Peter Thiel

3 Federal Deposit Insurance Corporation

4 Banca di investimento

5 La svendita di titoli è arrivata dopo che i dati della FDIC hanno mostrato che le banche americane detengono circa 620 miliardi di dollari di perdite non realizzate nei loro portafogli.

6 Al momento anche la First Republic Bank è in preda al caos e, secondo Bloomberg, starebbe valutando anche la vendita. Il rating è stato declassato al livello "junk", spazzatura da S&P Global Ratings e Fitch Ratings.

7 La Circle ha dichiarato che 3,3 miliardi di dollari dei suoi 40 di riserve in criptovaluta Usd Coin sono custoditi presso la Silicon, cosa che ha fatto crollare il valore della sua cripto-valuta chiedendo un piano di salvataggio federale urgente per Silicon.

8 Secondo Bloomberg, poco prima del crack, erano già visibili crepe, visto che l’aumento dei tassi di interesse ha lasciato alle banche obbligazioni che non possono essere vendute senza perderci. Se troppi clienti prelevano contemporaneamente le banche sono costrette ad offrire interessi più elevati erodendo i guadagni. Le banche più piccole, dove i finanziamenti sono meno diversificati, possono subire, come accaduto, una maggiore pressione costringendole alla vendita di azioni.

9 Silicon Bank è di fatto cresciuta con Silicon Valley; i suoi depositi sono passati dai 44 miliardi del 2017 ai 189 miliardi di dollari alla fine del 2021. Secondo l’Economist “Mentre il suo portafoglio prestiti è cresciuto solo da 23 miliardi di dollari a 66 miliardi di dollari. Dal momento che le banche guadagnano sullo spread tra il tasso di interesse che pagano sui depositi (spesso nullo) e il tasso pagato dai mutuatari, avere una base di depositi molto più ampia rispetto al portafoglio prestiti è un problema”.

Da notare che Greg Becker, amministratore delegato della Silicon, meno di due settimane prima del crack, ha venduto azioni per 3,6 milioni di dollari.

10 Principali banche USA colpite: Wells Fargo & Co calo del 6%; JPMorgan Chase & Co calo del 5,4%; Bank of America Corp calo del 6%; Citigroup Inc calo del 4% in meno.

11 Ad elevare il prezzo dei bitcoin hanno contribuito diverse dichiarazioni di Elon Musk, per cui la società ha investito 1,5 miliardi di dollari in bitcoin accettandoli in pagamento per l’acquisto di automobili.

12 Vd. Hugo Chavez in Venezuela o Nayib Bukele nel Salvador

13 Dai primi mesi del 2022 la lira turca è più volatile dei bitcoin; le conversioni di rubli in bitcoin e in tether si sono intensificate a marzo 2022, nel momento in cui la moneta russa si è svalutata con l’inasprimento delle sanzioni a seguito dell’invasione dell’Ucraina.

14 Sono molte le piattaforme, piccole o grandi, che nascono e falliscono. Cryptowisser.com traccia quelle che muoiono, le Lehmann Brothers delle cripto, nella pagina Exchange graveyard, il cimitero degli exchange, a testimonianza degli utenti che, pagando, piangono la scomparsa degli investimenti magari grazie allo schema Ponzi usato da Madoff

Foto: Credit Suisse