I marò e la coerenza del capo dello stato

02/04/14

Il 7 marzo 2012, appena 22 giorni dopo l’inizio della vicenda che ancora coinvolge i nostri fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, il presidente della repubblica e capo supremo delle forze armate come sancito dall’art. 87 della costituzione italiana, in un’intervista spiegava quanto al momento veniva fatto a livello istituzionale per una efficace conclusione della vicenda e sottolineava come fosse stato opportuno operare.

Il presidente ci informava della massima cordialità dei colloqui fra l’allora premier Monti e Singh, dei suoi contatti personali diretti e costanti con l’ex sottosegretario de Mistura che operava in India, della sua vicinanza con le famiglie dei marò.

Il capo dello stato raccomandava però anche la massima riservatezza nello gestire la vicenda e di mantenere aperto un rapporto cordiale fra Italia ed India in modo da non vanificare gli sforzi che il nostro Paese stava facendo a favore dei due militari italiani oggetto di una indagine giudiziaria da parte della giustizia indiana (indebita azione n.d.r.).

Da quel giorno molto tempo è passato. Il 22 marzo 2013 l’allora premier Monti decise di rimandare i due marò in India, ma non sembra di ricordare alcun pensiero espresso dal presidente della repubblica sull’opportunità che ciò avvenisse, in particolare nel dubbio che fosse applicata la pena di morte ai due militari.

Si rammenta invece che il senatore Monti ebbe contatti con il premier indiano Singh per aver confermata la garanzia della non applicabilità della pena di morte ai nostri due militari. Manmohan Singh non dette però alcuna garanzia che la pena di morte non sarebbe stata inflitta a due fucilieri di Marina imputati dell’uccisione di due pescatori del Kerala (http://www.thehindu.com/news/national/italian-pm-calls-manmohan-singh-over-marines-issue/article4598823.ece?homepage=true).

Anche in questo caso nessuna voce da colui al quale la costituzione ha affidato il delicato compito di essere al vertice delle forze armate.

Oggi sono trascorsi oltre due anni da quelle dichiarazioni. La riservatezza non sembra essere stata violata, piuttosto è stato, invece, spesso oltraggiato il diritto di informazione che gli italiani avrebbero preteso per la vicenda specifica.

Nuovi premier, nuovi ministri degli affari esteri, si sono succeduti. Un’unica continuità operativa, quella del dott. de Mistura commissario di governo per la specifica vicenda che continua ad andare e venire dall’India con risultati a tutti noti, forse a causa delle poco efficaci linee guida concordate con i massimi vertici istituzionali.

Una politica del compromesso che finora non ha dato risultati con l’India sempre vincente, caratterizzata dalla non volontà di attivare l’internazionalizzazione del caso attraverso l’arbitrato internazionale forse perché scomodo a Delhi ed per qualcuno in Italia.

Un risultato c’è però stato, non si è riusciti a riportare in Patria i nostri militari e consegnarli al giudice naturale, un tribunale italiano e non indiano.

I rapporti con l’India, però, apparentemente non sono stai compromessi. La massima cordialità auspicata dal presidente Napolitano è stata mantenuta ed anzi incrementata attraverso la visita dell’ambasciatore Mancini al leader nazionalista indiano Modi, che da sempre ha apertamente esplicitato una sua posizione intransigente sulla vicenda. Un leader  che attraverso recenti dichiarazioni non sembra più di tanto impressionato e ben disposto nei confronti dei due marò nonostante la cordialità italiana e sta costruendo, invece, sul caso uno dei suoi “manifesti elettorali”.

Una situazione abnorme, ancora lungi da essere risolta,  nonostante la “linee guida operative” esplicitate dal capo dello stato il 7 marzo 2012.

Solo un principio viene confermato, la “riservatezza” del capo delle forze armate, coerente con le sue convinzioni del primo momento. Fernando Termentini