Le ali della Marina imperiale giapponese

(di Mario Veronesi)
20/09/23

L’aviazione giapponese non era una forza armata indipendente, sia l’Esercito che la Marina avevano una propria aviazione e le due spesso erano in conflitto tra loro, sia per quanto riguarda la strategia operativa che la priorità nei rifornimenti di mezzi e materiali.

La vera spina dorsale delle forze aeree nipponiche era l’aviazione imbarcata sulle grandi portaerei, oltre agli stormi da bombardamento, siluramento e ricognizione con basi a terra. A questi ultimi sono da ascrivere, per esempio, operazioni come l’affondamento delle navi inglesi Repulse e Prince of Wales e della portaerei Hermes. Con il progressivo affondamento delle portaerei da parte statunitense e la falcidia operata sui loro gruppi imbarcati, l’aviazione navale giocò un ruolo sempre più marginale, diventando da arma offensiva ad una semplice scorta ravvicinata (nel migliore dei casi) o un serbatoio di mezzi e piloti sempre più inesperti per quello che verso la fine della guerra fu l’ampio uso dei kamikaze.

Nel 1910, il Giappone acquisisce il suo primo aereo, un tipo analogo a quello progettato e pilotato dall’aviatore francese Henri Farman (1874-1958). Nel 1912, la Royal Navy aveva fondato la sua forza aerea imbarcata denominata: “Royal Naval Air Service”. La Marina giapponese aveva osservato gli sviluppi tecnici in altri paesi, prendendo atto che l’aereo aveva un notevole potenziale d’impiego.

L’anno seguente, nel 1913 una nave da trasporto della Marina Imperiale, il Wakamiya fu trasformato in nave appoggio idrovolanti, e fu acquistata una serie di aeromobili.

Il Wakamiya (foto seguente) era originariamente la nave da carico inglese Lethington, costruita dai cantieri Duncan di Port Glasgow per la W R Rea Shipping di Belfast, e varato il 21 settembre 1900. Noleggiata dai russi durante la guerra Russo-Giapponese, il 14 febbraio 1905 mentre era in viaggio da Hong Kong a Vladivostok fu catturato da una torpediniera giapponese al largo delle isole Oki (Okinoshima). Dietro compensazioni alla società armatrice, entrò ufficialmente in servizio nella Marina mercantile giapponese nel settembre 1905 con il nome Wakamiya Maru.

Nel 1913 l'unità venne acquistata dalla Marina imperiale e convertita in nave porta idrovolanti e ribattezzata semplicemente Wakamiya.

Nell’aprile 1920, subì ulteriori modifiche e gli fu cambiato il nome in Wakamiya-kan, e nel giugno dello stesso anno compì il primo decollo giapponese da un elemento portante. Ulteriori prove di decollo e appontaggio vennero effettuate nel 1924. Nel 1925 passa in riserva presso il Distretto Navale di Sasebo. Radiata nel 1926, venduta per la demolizione avvenuta nel 1932.

Il 23 agosto 1914, il Giappone dichiarò guerra alla Germania. I giapponesi posero l’assedio alla colonia tedesca di Kiaochow e alla sua capitale amministrativa Tsingtao sulla penisola di Shandong. Durante l’assedio, a partire dal settembre, idrovolanti Maurice Farman un biplano biposto da ricognizione e bombardamento (due effettivi e due di riserva) basati sul Wakamiya condussero ricognizioni e bombardamenti sulle posizioni tedesche. Il 30 settembre il Wakamiya fu danneggiato da una mina, ma gli idrovolanti sbarcati, continuarono nelle loro incursioni, fino alla resa tedesca avvenuta il 7 novembre 1914.

Nella storia militare il Wakamiya fu la prima nave al mondo a lanciare raid aerei. Entro la fine dell’assedio le forze aeree giapponesi aveva condotto 50 incursioni e sganciate 200 bombe, anche se i danni alle difese tedesche furono irrilevanti.

La Marina giapponese aveva seguito da vicino i progressi dell’aviazione navale delle tre potenze alleate durante la prima guerra mondiale, e concluse che la Gran Bretagna aveva fatto i maggiori progressi in quel settore. Nel settembre 1921, con l’obiettivo di aiutare la Marina imperiale ha sviluppare le sue forze aeronavali, gli inglesi inviarono in Giappone la missione “Sempill” guidata dal capitano Sempill (1893-1965) un tecnico aeronavale. La missione consisteva in un gruppo di 29 istruttori, che rimase in Giappone per 18 mesi, fornendo alla Marina giapponese un supporto di qualità nel settore dell’aviazione, della formazione, e della tecnologia.

Con nuovi aerei Gloster Sparrowhawk, (foto - caccia biplano monoposto progettato dall’azienda britannica Gloster Aircraft Company e prodotto negli anni successivi inizialmente negli stabilimenti Gloster e successivamente in Giappone dal primo arsenale tecnico aeronavale di Yokosuka) i giapponesi appresero varie tecniche sul controllo di volo, sul siluramento e bombardamento.

Lo Sparrowhawk entrò in servizio nel 1921 e venne utilizzato per la formazione dei piloti e del personale sulle operazioni di decollo ed appontaggio, rimanendo in servizio come addestratore nelle basi navali fino al suo ritiro nel 1928.

La missione portò anche i piani delle recenti portaerei inglesi l’Argus e l’Hermes, che influenzarono le fasi finali dello sviluppo dell’Hosho (foto) che divenne la prima portaerei progettata e realizzata interamente in Giappone.

Con il debutto nel 1920 della prima portaerei giapponese, l’aviazione imbarcata aveva inizialmente compiti di ricognizione e di attacco ma - come l’U.S. Navy - la Marina imperiale aveva difficoltà ad integrare gli aerei nelle tattiche navali.

Nel corso degli anni 20 del secolo scorso si trovava in Giappone anche una seconda delegazione straniera per l’addestramento dell’esercito: quella tedesca. Come l’aviazione germanica nella prima guerra mondiale, il reparto aereo dell’esercito giapponese era strettamente legato ad esso ed i suoi movimenti.

Fino ai primi anni del 1930, i due servizi di trasporto aereo giapponesi, Esercito e Marina, erano principalmente dotati di obsoleti velivoli stranieri sia importati che costruiti su licenza. In questo periodo, i progettisti nipponici iniziarono a produrre in patria svariati aerei che risultarono più adatti alle loro esigenze operative.

A causa delle distanze e della segretezza generale del governo giapponese e della società costruttrice, questo importante cambiamento non fu recepito in Occidente e non pienamente apprezzato dagli americani.

Anche nel 1941 all’inizio della guerra del Pacifico, era opinione diffusa negli ambienti militari statunitensi che il Giappone avesse al massimo qualche centinaio di velivoli, soprattutto copie di vecchi inglesi, tedeschi, italiani e americani. Non sembrava esserci motivo di supporre che i giapponesi avessero aerei e piloti, in particolare, molto ben addestrati. Paragonavano la forza aerea giapponese a quella polacca del 1939.

Nel 1937 dall’inizio delle ostilità, fino al 1941, l’aviazione della Marina imperiale giocò un ruolo chiave nelle operazioni militari nel continente cinese, poi nel 1941 le sue forze furono dirottate per combattere gli americani.

Nonostante la forte rivalità tra i rami militari, nell’autunno del 1937 il generale dell’esercito al comando del teatro di guerra cinese Iwane Matsui (1878-1948), ammise la superiorità degli aerei della Marina. Aerei che attaccarono le posizioni cinesi a Shanghai e dintorni, bombardieri navali come i G3M e G4M (foto) furono usati per bombardare le città cinesi. Aerei da combattimento giapponesi, in particolare il Mitsubishi Zero, acquisita la superiorità tattica aerea, padroneggiava in cielo.

A differenza di altre aviazioni navali, gli aerei della Marina furono responsabili dei bombardamenti che furono eseguiti in gran parte contro le grandi città cinesi, come Shanghai, Wuhan e Chongqing, con circa da febbraio 1938 ad agosto 1943, di oltre cinquemila incursioni.

Il bombardamento di Nanchino e Canton (foto), iniziato il 22 e proseguito il 23 settembre 1937, provocò proteste internazionali che si conclusero con una risoluzione del comitato consultivo della Società delle Nazioni contro il Giappone.

La Marina imperiale si vide assegnata una mole notevole di compiti e, con questi, le risorse (aerei, fabbriche, personale, depositi ecc.) necessarie per eseguirli.

Agli esordi della guerra del Pacifico la consistenza della Marina imperiale era costituita da cinque flotte. All’inizio delle ostilità i giapponesi avevano dieci portaerei, sei della flotta, tre vettori più piccoli e uno in allestimento.

Il 10 dicembre, bombardieri della Marina di base a terra appartenenti all’11° gruppo affondarono le navi Prince of Wales e Repulse. Furono eseguite anche incursioni sulle Filippine e a Darwin nel nord dell’Australia.

Dal 16 dicembre 1941, al 20 marzo 1945 l’aviazione di Marina ebbe 14.242 morti dei quali 1.579 ufficiali.

Nel 1941 la Marina Imperiale aveva circa 3.100 aerei e altri 370 per la formazione e l’addestramento dei piloti. 11.830 aerei di prima linea, tra cui:

  • 660 combattenti, per lo più Mitsubishi Zero,
  • 330 di base sulle portaerei,
  • 240 bombardieri basati a terra,
  • 520 idrovolanti (inclusi da combattimento e da ricognizione).

I migliori piloti furono i gruppi di base sulle portaerei denominati “kokutai”, e più tardi chiamati “Sentai koku”, la cui composizione variava dagli 80 ai 90 aerei.

Le navi della flotta avevano tre tipi di aeromobili: combattenti, aerosiluranti e bombardieri in picchiata. Le portaerei minori ne avevano solo due: caccia e bombardieri in picchiata.

La Marina imperiale mantenne un sistema basato su flotte aeree chiamate “Koku Kantai e kantai Homen” comprendenti per lo più aerei a due motori, bombardieri e idrovolanti, il comando era l’11a Flotta Aerea, comandata dal vice ammiraglio Nihizo Tsukuhuru. Ogni flotta dell’aria contemplava una o più flottiglie al comando di ufficiali di Marina, ciascuno con due o più gruppi di velivoli. Ogni gruppo consisteva in diversi “hikotai” (squadrone) composto da 9, 12, o 16 aerei. Ogni “hikotai” era comandato da un tenente di vascello (JG), mentre la maggior parte dei piloti erano sottufficiali. Di solito c’erano quattro sezioni in ogni “hikotai”, e ogni sezione (“shotai”) era composta da tre o quattro aerei.

All’inizio della guerra del Pacifico, ci furono oltre 90 gruppi ciascuno con un nome o un numero. I gruppi con un nome di solito erano legati ad un particolare comando aria Marina, o una base della Marina. Mentre i gruppi con un numero, di solito lo ricevevano quando lasciavano il Giappone.

Questa situazione di impiego delle forze aeree divise tra l’esercito e la Marina, portò al collasso aereo nipponico. Un incontro ad alto livello per risolvere queste discrepanze e per rendere al meglio le attività che ogni servizio aveva, sarebbe stato una ragionevole risposta alla situazione. Ma non avvenne mai.

Quando, un paio d’anni più tardi, l’impero giapponese barcollava verso il collasso totale, la preponderanza dei compiti e delle attività era ancora compito dell’aviazione di Marina.

Durante gli ultimi mesi della guerra del Pacifico, le unità superstiti erano prevalentemente isolate e impotenti, i loro aerei parcheggiati in prossimità delle piste d’atterraggio, senza alcuna prospettiva di fornitura di benzina avio, pezzi di ricambio e munizioni, in balia dell’efficiente forza aerea americana.

Foto: U.S. Navy / web