Il Savoia Cavalleria in terra di Russia

(di Mario Veronesi)
13/04/21

In ricordo di mio padre Angelo, deceduto nel 2009 poco prima che nascesse mio nipote, e a tutti gli uomini del Savoia Cavalleria.

A partire dalla primavera del 1941, il Savoia Cavalleria venne impiegato per l'occupazione della Croazia e, nell'estate del medesimo anno, veniva destinato al fronte russo, nell'ambito della 3a divisione Celere Principe Amedeo Duca d'Aosta, del Corpo di spedizione italiano in Russia (CSIR).

Il Savoia partì dall'Italia il 22 luglio 1941 in ferrovia, suddiviso in scaglioni, nei giorni 24 e 25, passò il Brennero. Attraversò l'Austria giunse in Ungheria alla stazione di Borsa ad 80 chilometri dal confine rumeno. Raggiunse poi Frasin dove lasciato il treno proseguì in autocarro per 150 chilometri fino a Botosani in Romania. Da questa località il reggimento proseguì a cavallo. Il cammino verso il fronte fu intrapreso per tappe successive attraverso i Carpazi lungo le strade di Moldavia, Bessarabia ed Ucraina, seguendo l'itinerario Trusesti-Nikoreny, arrivando il 10 agosto a Soroki dove il reggimento sostò per un giorno.

L’Ucraina li accolse con i suoi ampi panorami, campi di grano, di segale, d’avena, di girasoli, accompagnato da un gran caldo. Per chilometri e chilometri, si susseguono boschi a boschi, campi a campi, sparse le macchie scure delle case, senza un campanile, una torre che ne delinei l’esistenza. Poche anche le strisce di strade, mentre quelle di terra o di fango si rendono visibili, per l’allineamento come militari, dei pali di legno del telegrafo, e della luce che le corrono affianco. Un paesaggio antico, scorci di vita medioevale che appaiono e scompaiono nell’immensità della pianura. Squadre di prigionieri russi intenti al lavoro muti testimoni di un passaggio d’ogni tipo di mezzi, mossi da una frenetica corsa verso l’est. Ai lati della strada, i segni della guerra passata da poco, resti di carri armati da cui spunta una stella rossa, cannoni, autoveicoli fracassati e già ruggini, resti evidenti dei fulminei scontri che i tedeschi, avevano avuto nella loro veloce corsa verso oriente.

29 agosto, il Savoia proseguì per Ositeski, Novo Alexandrovka, Novo Ukrainka, Adzamka.

Ai primi di settembre il reggimento raggiunge il fiume Dnepr, mentre i tedeschi preparavano la campagna su Kiev e il mar d’Azov.

Il 5 settembre tutto il reggimento si trova a Jodssjolk Oulj. Dal giorno dopo sino al 25 rimase schierato sulla riva destra del Dnepr.

26 settembre, la Torino, la Celere e le Camicie Nere del Tagliamento iniziano l’avanzata dalla testa di ponte di Dnepropetrowsk. Quattro giorni dopo tutto il corpo di spedizione italiano, passava alle dipendenze dell’armata di von Kleist. Negli stessi giorni il Savoia fu impegnato per la prima volta nei dintorni di Dnepropetwosk, strenuamente difesa dai russi.

Iniziò così quel compito che avrebbe eseguito con coraggio e abnegazione: la perlustrazione ed il controllo di un vasto territorio fra Auly e Romanocovo.

Nella notte tra il 1 e il 2 d’ottobre, il reggimento passò il fiume Dnjepr su di un ponte gettato dal Genio.

18 ottobre, la divisione iniziò il movimento verso la città di Stalino (oggi Donetsk) il Savoia marciava in testa precedendo il grosso di circa 30 chilometri. Ben presto la marcia divenne faticosa a causa del fango e del freddo.

1 novembre il Savoia arriva a Korssunj e vi sostò fino al 3, il giorno successivo si portò a Sofyeva, rimanendo per cinque giorni schierato a piedi, poi un reparto della Pasubio diede il cambio al reggimento che rientrò a Korssunj. Dopo qualche giorno si portò a Gorlovka.

5 novembre il contingente italiano occupa Nikitovka, il contrattacco sovietico dura sei giorni e costringe gli italiani a ripiegare con centinaia di morti e feriti.

6 novembre, è caduta la prima neve, il freddo brucia la faccia e le mani si appiccicano sul metallo, il fiato si condensa, e il sole illumina e fa scintillare la neve, ma non riscalda. Con l’avanzare dell’inverno, la vita sembra sempre più irreale, le giornate anche per il fatto dell’allineamento dell’ora con Berlino, sono cortissime e già dal primo pomeriggio poco dopo le tre si fa buio. Gli uomini sono sprovvisti di copri orecchie, passamontagna giacche ovattate, né di guanti imbottiti. Si moltiplicò esponenzialmente il numero di uomini colpito da congelamento. Anche i cavalli soffrono il freddo e la fame. L’avena non arriva, la paglia congelata dei tetti delle casupole non placa la fame, ma in compenso li fa ammalare di morva, (malattia infettiva contagiosa che colpisce i cavalli e gli asini, danneggiando le loro mucose, la pelle e gli organi interni); le coliche prosperano, e i cavalli muoiono. I cavalli non sopportavano quel terribile clima con la stessa resistenza di quelli russi.

Nei successivi giorni di novembre il comando del C.S.I.R. ordinò che uno squadrone del Savoia agisse alle sue dipendenze, e per circa un mese, più o meno tra metà novembre e fine dicembre, operò su tutto il fronte della divisione, i russi lo definirono: Lo squadrone fantasma. Ebbe il compito di pattugliare il varco tra la Celere e alcuni reparti tedeschi e di mantenere i contatti fra loro.

27 novembre il reggimento ricevette l'ordine di arretrare e di portarsi ad Awdiewka per il riordino dei reparti e per un periodo di riposo. Il mese di dicembre fu particolarmente rigido e il reggimento fu bloccato dal freddo, mentre i rifornimenti si facevano più scarsi.

25 dicembre, il giorno di Natale, i russi scatenarono la loro offensiva contro le posizioni italiane, attaccarono a Nowaja Orlowa preceduti come sempre da un violentissimo fuoco d’artiglieria. L’urto maggiore lo sostennero i bersaglieri del 3º reggimento e le Camicie Nere del Tagliamento. Alle nove del mattino, tutta la zona era un girone infernale, i russi avanzavano premendo contro il centro del paese. Era la 296° divisione di fanteria russa. Verso sera il paese era già nelle mani delle truppe sovietiche. Per fortuna nelle vicinanze gravitavano formazioni di carri tedeschi, che intervennero, il giorno dopo i russi abbandonarono Nowaja Orlowka. I russi prima di ritirarsi distrussero sistematicamente porte e finestre di tutte le case, che non riuscirono ad abbattere completamente. Così anche quelle poche rimaste in piedi, sono inagibili e costituiscono un insignificante riparo contro il freddo.

Santo Stefano, il termometro segna 46 gradi sotto zero e tira un vento così forte, che non si riesce a camminare sulle strade ridotte ad una lastra di ghiaccio.

30 dicembre, termina la battaglia di Natale, le perdite italiane sono di 168 morti, 715 feriti, 305 congelati e 207 dispersi. I russi si proponevano con questa battaglia, di sfondare le linee tenute dal CSIR, e arrivare a Michailowka e da lì puntare sulla città di Stalino, se si fosse raggiunto questo scopo, avrebbe messo in crisi un fronte di oltre 100 chilometri, vale a dire l’intero schieramento tedesco fino al mare, che sarebbe stato minacciato d’accerchiamento.

21 marzo, primo giorno di primavera, con trenta gradi sotto zero e mezzo metro di neve. Alla fine di marzo nevicava ancora copiosamente, e di notte imperversavano le tormente primaverili che investono paludi e boschi, e congelano chiunque non ha trovato un buco in terra, o un ricovero improvvisato.

In aprile le condizioni del tempo mutarono definitivamente, la temperatura si porta a zero gradi, la neve e il ghiaccio si sciolgono. Con lo scopo di integrare i ranghi decimati del CSIR, arrivano anche gli Ustascià di Pavelich. Si tratta di un reparto croato addestrato in Italia che combatterà per alcuni mesi con gli italiani, per poi poi passare alle dirette dipendenze dei tedeschi. Moriranno quasi tutti nella sacca di Stalingrado.

Nella primavera del 1942 veniva costituito il ragruppamento truppe a cavallo, comprendente i reggimenti: Savoia, Lancieri di Novara e Artiglieria a Cavallo. Costituendo una grande unità interamente montata a cavallo. Essa venne impiegata nel pattugliamento e nel controllo del territorio per ripulire il fronte, con compiti di esplorazione e, soprattutto nel controllo delle retrovie per tamponare le falle che si aprivano continuamente nel troppo ampio spiegamento italo-tedesco. Fu anche costituito il Gruppo Squadroni Cosacchi, meglio conosciuto come Gruppo Maggiore Campello, posto alle dipendenze dell'Ufficio Informazioni dell'8 armata (ARMIR), composto da circa trecento cosacchi, cavalieri abilissimi ed anti-comunisti convinti. I quadri dell'unità erano costituiti da ufficiali e sottufficiali a cui fu riconosciuto il grado ricoperto nell'Armata Rossa. Arrivarono dall’Italia nuove divisioni destinare a costituire assieme a veterani l’ARMIR, a cui fu affidato l’incarico di avanzare nella zona della grande ansa del Don, e di attestarsi sulle sponde del fiume nei pressi di Serafimovic. L'organico prevedeva, oltre ai gruppi già presenti sul suolo sovietico ed inquadrati nel XXXV° corpo d’armata (C.S.I.R.), le divisioni Sforzesca, Ravenna, Cosseria e il raggruppamento camicie nere 23 Marzo con i gruppi Leonessa e Valle Scrivia, inquadrati nel 2° corpo d’armata, e le divisioni Julia, Cuneense e Tridentina, costituenti il corpo d'armata Alpino. A queste forze si sarebbe poi aggiunta la divisione Vicenza, formata da due soli reggimenti di fanteria, con compiti di presidio nei territori occupati, e dai servizi d’armata, per complessivi 220.000 soldati e 7.000 ufficiali.

Aspri combattimenti, furono sostenuti dal 30 luglio al 13 agosto dalla Celere per la conquista della minuta testa di ponte sul Don di Serafimovic.

24 agosto avvenne la celebre carica di Izbusenskij (talvolta citato anche come "Isbuschenskij"), situata nel distretto di Serafimovicskij presso un'ansa del fiume Don. 650 cavalieri affrontarono circa 2.000 Sovietici. Le perdite, per il reggimento, ammontarono a 32 morti, 52 feriti e oltre 100 cavalli fuori combattimento. Per i Russi, invece, le perdite furono di 150 morti, 300 feriti e 500 prigionieri. Lasciarono sul campo, inoltre, 4 cannoni, 10 mortai, 50 mitragliatrici e centinaia di fucili. Questa giornata valse al reggimento 54 medaglie d'argento, la medaglia d'oro per il maggiore Litta, il capitano Abba e allo stendardo. Il cappellano don Lidio Passeri annotò i nomi dei caduti, vicino ad ogni nome disegnò una piccola croce, dovrà far pervenire alle famiglie il doloroso messaggio. Le salme dei 32 caduti furono composte amorevolmente dai commilitoni, e sepolti in un piccolo cimitero nei pressi di Bolschoi. Ogni caduto venne accompagnato nell’estrema dimora da una salva di fucileria del picchetto d’onore e dalle preghiere di don Lidio Passeri.

13 settembre, avviene il cambio con gli alpini, e il Savoia si ritira in seconda schiera a Duboskoj e poi a Papoff.

6 ottobre una troupe Film Luce arriva presso l'accampamento del Savoia e per una giornata intera filma il reggimento in ripetute cariche per la futura proiezione in Italia. Della vera carica ci sono solo pochi scatti non nitidi, fatti dal capitano Abba, prima di cadere ucciso.

19-20-21 dicembre, i sovietici completano l'attacco. Inizia la ritirata italiana con due colonne, la prima formata dalle divisioni Ravenna, Pasubio, e Torino; la seconda da aliquote della Pasubio, dalla Celere, e dalla Sforzesca.

24 dicembre, la prima colonna italiana, chiusa nella sacca d’Arbusovka, rompe l'accerchiamento, ma parte della Pasubio e della Torino restano accerchiate a Certcovo.

Nella notte del 28 dicembre, anche la seconda colonna italiana raggiunge le linee tedesche a Skassisrkaia. Il corpo d'armata alpino composto dalle divisioni: Cuneense, Julia e Tridentina sono ancora schierate sul fronte del Don.

Fine dicembre, una parte di cavalieri è stata appiedata e destinata a combattere con fanti ed alpini a Rossosk, ne torneranno indietro pochissimi.

16 gennaio nella notte con 35° sotto zero la colonna parte con i cavalli bianchi di brina e i soldati a piedi per evitare i facili congelamenti. La marcia nella neve è di oltre 1.000 km. Le nuove linee tedesche vengono raggiunte il 4 febbraio. Un treno ospedale parte per l'Italia con feriti ed ammalati. Gli altri proseguono la marcia a cavallo e raggiungono Kharkov e poi Gomel.

19 gennaio, ottanta minuti d’artiglieria concentrato suona l’inizio dell’attacco russo, poi le prime ondate russe avanzano nella fitta nebbia. È la fine e l’inizio di quella che la storia ricorderà come la tragica ritirata di Russia. Carri sovietici erano arrivati a Valujki sull’Oskol a 120 chilometri dal punto di partenza. Il dispositivo tedesco abbandona il Caucaso. Anche il corpo d'armata alpino è praticamente accerchiato. Alle 10.00 riceve l'ordine dal generale Gariboldi di ripiegare. Inizia un’altra tragedia. I russi lanciarono 21 divisioni di fanteria, 11 di cavalleria e 10 brigate corazzate, circa 650 carri, contro sette divisioni tedesche, l’obiettivo la ferrovia Dnepropetrovsk-Stalino, attraverso la quale passavano tutti i rinforzi della 17° armata.

26 gennaio, alle 12.00 inizia la battaglia di Nikolajewka, sarà una data che moltissimi soldati e molte famiglie non scorderanno più. A Nikolajevka (oggi non esiste più, essendo stata assorbita dalla città di Livenka), diversi plotoni e intere compagnie sono andate incontro alla morte. I carri russi avevano passato il Don, avevano aspettato che lo spessore del ghiaccio sul fiume fosse superiore al metro, coperto da un altro metro di neve, a quel punto avevano lanciato i loro carri T34 che dilagarono, nella steppa innevata. Dietro di loro come sempre migliaia di fanti provenienti dalla Siberia, e dalle repubbliche caucasiche, uomini dai tipici lineamenti asiatici e come i loro antenati, forti e crudeli. I soldati catturati erano disarmati e avviati in lunghe file verso oriente, e le colonne si assottigliavano sempre di più, ogni ora, ogni notte. Il cammino era segnato da una fila di cadaveri che la neve fresca pietosamente ricopriva. Qui la storia presentò il suo conto, la ritirata fu un dramma inenarrabile che costò decine e decine di migliaia morti, e la totale distruzione di tutta la nostra armata in terra di Russia, migliaia d’autocarri, di cannoni, di quadrupedi, e tutti i magazzini, sparirono nella neve della steppa.

9 marzo 1943, la marcia non si era fermata, il termometro segnalava tra i 27 e 10 gradi sottozero, dopo 17 giorni il Savoia Cavalleria arriva a Gomel. Il reggimento ha ancora la forza di entrare in Gomel in perfetto assetto, e sfilare in parata, stendardo al vento, fra la incredula ammirazione del presidio tedesco. Sono passati 50 interminabili giorni dalla partenza da Nikitowka, e sono stati fatti 1.068 km, con soli 13 giorni di sosta. Spirito e disciplina hanno fatto sì che le perdite in uomini siano state minime, sempre per congelamento.

26 marzo 1943 il Savoia rientra in Italia, li aspetta una tradotta, una breve marcia verso la stazione ferroviaria, o meglio verso i suoi ruderi, sotto un nevischio battente. Dalla Bielorussia scesero in Ucraina, giù fino a Winniza poi, attraversati i Carpazi, entrarono nuovamente nella puzsta ungherese.

2 aprile 1943 il reggimento arrivò in Italia, alla stazione di Osoppo, dove attese a tutte le operazioni previste per le truppe rientranti dal fronte, tutto il personale rimase per quindici giorni in un campo contumaciale, relegati in una grande caserma fuori città; era proibita la libera uscita, e non potevano avere nessun contatto con i civili.

Aprile, l'ARMIR rimpatria anche le divisioni Ravenna e Cosseria, arriveranno in Italia nel mese successivo. Termina così, con un tremendo disastro di uomini e di mezzi, l’avventura voluta da Mussolini in terra di Russia.

Bibliografia

Bibliografia Riccardo Balzarotti - Alessandro Bettoni Cazzago

Mario Veronesi – La mia Russia (diario di una guerra)

Maurizio Brignoli – La storia del Savoia Cavalleria

Foto: autore