Il Reparto Alta Velocità della Regia Aeronautica, dalla sconfitta al record

01/11/14

Il 23 ottobre 1934, ottanta anni fa, il Macchi Mc.72 progettato dall’ingegner Castoldi e pilotato dal maresciallo Francesco Agello, realizzava una serie di passaggi presso l’idroscalo di Desenzano del Garda, segnando una media di 709,202 Km/h.

Fu record e successo assoluto del Reparto Alta Velocità, una scuola d'élite per velocisti, una “Top gun” di altri tempi, dove si insegnava a condurre gli idrovolanti a velocità, per l’epoca, da brividi.

Ma come si giunse a questo record, tutt'ora imbattuto, nella categoria idrovolanti con motore a pistoni?

Come ogni storia degna dei più gloriosi successi si parte da un fallimento e dalla necessità di rivalsa e di rivincita. Questa storia inizia nel 1912, quando fu istituita la Coppa Schneider: una competizione internazionale tra idrovolanti volta ad incentivare lo sviluppo aeronautico, specie in campo motoristico. Nell’animo dei piloti e dei costruttori questa competizione, però, assunse un significato diverso. Fu subito chiaro, fin dalle prime edizioni, che la Coppa Schneider sarebbe stata, prima di tutto, una corsa al record di velocità.

La prima edizione del 1913 disputata nelle acque del Principato di Monaco coinvolse tutti i paesi più avanzati tecnologicamente in campo aeronautico e fu vinta da un francese, Maurice Prevost, con una media di 73,56 Km/h. L’edizione successiva del 1914 fu aggiudicata, invece, all’inglese Howard Pixton, che a bordo del suo Sopwith Schneider raggiunse una velocità di 139,74 Km/h.

Con lo scoppio della prima guerra mondiale la coppa fu sospesa e riprese soltanto nel 1919 a Bournemouth in Inghilterra. L’italiano Guido Jannello alla guida di un Savoia S.13 è l’unico pilota che riesce a completare il percorso di 370km. La sua vittoria fu però annullata da un giudice di gara che contestò al pilota italiano di aver saltato una boa. Purtroppo a causa della nebbia fitta nessuno fu in grado di confutare tale decisione. Tuttavia come premio di consolazione venne affidata all’Italia la successiva edizione della coppa, che fu disputata a Venezia e che vide finalmente trionfare, per la prima volta un italiano, Luigi Bologna, che si aggiudicò il record a bordo del Savoia S.12 bis raggiungendo i 170,54 Km/h. L’anno successivo, sempre a Venezia, giunse un nuovo successo italiano, questa volta firmato da Giovanni De Briganti con il Macchi M.7 che batté il record con la velocità di 189,66 Km/h.

Il regolamento della Coppa Schneider prevedeva che il trofeo fosse aggiudicato, in maniera definitiva, al paese che avesse vinto la competizione per tre volte consecutive. Quindi l’Italia aveva davanti a sé l’opportunità di aggiudicarsi definitivamente il trofeo.

L’edizione del 1922 si svolse sulle acque del Golfo di Napoli. Tutti gli occhi erano puntati sui piloti italiani. Dopo le prime sessioni i francesi furono eliminati e la gara rimase circoscritta a tre italiani e all’inglese Henry Biard. Nonostante la superiorità numerica degli italiani, l’inglese risultò, alla fine, vincitore, facendo così sfumare il trionfo italiano e riaprendo la corsa al trofeo.

Le successive edizioni della coppa, cioè Cowes (Gran Bretagna) 1923 e Baltimora (USA) 1925 videro trionfare gli Stati uniti. L’ultimo trionfo italiano della competizione giunse nel 1926, bloccando la serie di successi a “stelle e strisce”, con il Macchi M.39 pilotato da Mario De Bernardi, il quale raggiunse i 396,69 Km/h a fronte del record precedente di 374,28 km/h.

L’edizione del 1927 si svolse nuovamente a Venezia, ma gli italiani furono tutti messi fuori gara da una serie di incidenti ai motori. L’inglese Sidney Webster sull’ idrocorsa Supermarine S.5 ebbe vita facile, e si aggiudicò la vittoria. La delusione italiana questa volta fu enorme.

Nell’opinione pubblica era forte l’interesse per la partecipazione italiana alla competizione ed in molti si aspettavano un nuovo eroico successo dell’Ala italiana. Inoltre l'aviazione era vista con grande attenzione dalla propaganda fascista, il regime era profondamente interessato a dimostrare al mondo l’eccellenza dell’industria aeronautica nazionale ed il trionfo della Coppa Schneider era una prerogativa assoluta per raggiungere tale scopo.

Erano gli anni d’oro dell’aviazione, la Regia Aeronautica stava dando il suo grande contributo alla scrittura della storia dell’aviazione mondiale attraverso i successi dei suoi aviatori. Basti pensare all’impresa del 1921 di Arturo Ferrarin che portò a termine il volo Roma-Tokyo e a quella del 1925 di Francesco De Pinedo, che insieme al motorista Ernesto Campanelli, con un idrovolante Savoia S.16 volò dall’Italia all’Australia circumnavigando quest’ultima, raggiunse Tokyo e ritornò in Patria. Un volo di 370 ore per oltre 55.000 km sorvolando ben 3 continenti. A questi successi, il regime, voleva e doveva aggiungere la Coppa Schneider ed è da questa consapevolezza che prende vita il progetto di una scuola di piloti, interna alla Regia Aeronautica, che in collaborazione con tutte le industrie aeronautiche nazionali ed insieme ai migliori ingegneri, potesse riuscire a conquistare, definitivamente, il tanto ambito trofeo.

Nel 1926 Italo Balbo era stato nominato ministro dell’Aeronautica e, dopo la sconfitta di Venezia, decise di istituire nel 1928 la Scuola Alta Velocità con sede presso l’idroscalo di Desenzano del Garda al comando del colonnello Bernasconi, un ufficiale dotato di spiccate doti organizzative. La scuola creò una squadra altamente specializzata nella quale collaboravano, in stretta cooperazione: piloti, ingegneri e industria.

Nonostante gli sforzi italiani andassero nella giusta direzione l’unico successo che mitigò le delusioni italiane fu quello di Mario Bernardi, che con il suo Macchi Mc.52 fu il primo al mondo a superare il limite dei 500 km/h, per l’esattezza 512,776, guadagnandosi la “V” rossa di velocista sulla propria Aquila di pilota militare, che veniva assegnata solo a coloro che superavano la velocità di 500 Km/h.

Quello di De Bernardi fu l’unico successo, infatti gli inglesi si aggiudicarono l’edizione del 1927 e la successiva edizione del 1929 della Coppa Schneider. Un ulteriore successo dei britannici avrebbe messo fine ai giochi e consegnato definitivamente il trionfo al Regno Unito. Bisognava reagire con un nuovo progetto, con un nuovo velivolo.

La Regia Aeronautica aveva davanti a sé una sfida alla quale non poteva assolutamente sottrarsi: interrompere il ciclo vittorioso inglese e rimettere in gara il trofeo Schneider.

L’edizione del 1931 rappresentava l’ultima occasione per raggiungere tale scopo. All’ingegner Mario Castoldi, padre degli ultimi idrocorsa Macchi Mc.39, Mc.52, Mc.67, fu affidato il nuovo progetto. Castoldi si rese subito conto che gli inglesi erano risultati vincenti in quanto avevano puntato molto sull’affidabilità del motore e sulla potenza che poteva generare. Così concentrò il suo lavoro sull’unità motrice. Come primo passo decise la formula, per l’epoca inconsueta, delle eliche controrotanti, poi accoppiò due motori Fiat A.S. 5 a 12 cilindri a V in un complesso da ben 51.256 litri di cilindrata con 3100 cv di potenza.

Questo motore garantiva un’enorme potenza ed una serie di ulteriori vantaggi. Un vantaggio era rappresentato dalle eliche controrotanti, che essendo di minor diametro comportavano benefici aerodinamici, inoltre, sempre per via del diametro minore, era possibile ottimizzare la grandezza dei galleggianti, in quanto il rischio di contatto con la superficie dell’acqua era minore, ottenendo così nuovi benefici in termini di aerodinamicità e quindi velocità.

Se da una parte il Macchi Mc.72 lasciava ben sperare, dall'altra mostrava dei grossi problemi proprio a causa del suo punto di forza: la potenza del motore. Tale motore necessitava di un sistema di raffreddamento molto complicato, ma soprattutto, era il sistema di alimentazione che diede i maggiori problemi, generando pericolosi ritorni di fiamma. Per risolvere tali problemi, il gruppo dovette prodigarsi in un lavoro lungo e complicato. Tutto ciò comportò la perdita di tempo prezioso per presentarsi all'imminente edizione del settembre 1931 della Coppa Schneider.

Infatti nell'aprile 1931 la Scuola Alta Velocità era ancora impegnata in prove di collaudo del motore che tuttavia non riusciva a generare la potenza prevista di 3100 cv arrestandosi a 2200. Il primo volo fu effettuato solo il 22 giugno ed i problemi al motore continuarono a tener impegnato il gruppo. Il capitano Giovanni Monti, che ebbe l’onore di portare in volo per la prima volta il Macchi Mc.72, in un’occasione fu costretto ad un atterraggio di emergenza per la rottura del compressore. Il 2 Agosto, Monti, perse la vita precipitando in volo a causa di un guasto al sistema delle eliche controrotanti. I collaudi furono sospesi e successivamente portati avanti dai tenenti Neri e Bellini, ma fu ormai evidente che la partecipazione all’edizione del 1931, fissata al 12 settembre, fosse gravemente compromessa. Inoltre, il 10 settembre perse la vita in un volo di collaudo, con il suo Macchi Mc.72, anche il tenente Bellini, a causa dell’esplosione del velivolo.

L’Italia tentò, in tutti i modi, di chiedere un rinvio della data fissata per la Coppa Schneider del 1931, ma tale richiesta fu sempre respinta. In quell’edizione gli inglesi gareggiarono praticamente da soli e si aggiudicarono definitivamente il trofeo Schneider con la terza vittoria consecutiva.

Ma Italo Balbo era cosciente che grazie all’esperienza della Scuola Alta Velocità si erano raggiunte elevate conoscenze tecniche ed i velivoli avrebbero potuto conquistare altri successi, forse di gran lunga superiori a quelli della Coppa Schneider. C’era infatti ancora qualcosa da poter conquistare: il primato mondiale di velocità. La Scuola Alta Velocità fu ripensata, cambiò nome in Reparto Alta Velocità e si indirizzarono tutti gli sforzi alla messa a punto del Macchi Mc.72 eliminando anzitutto i problemi relativi ai pericolosi ritorni di fiamma. L’obiettivo era quello di battere il record stabilito dall’inglese George Stainforth nell’edizione del 1931 della Coppa Schneider, cioè battere i 655 km/h del suo Supermarine S.6 B.

Il 10 Aprile 1933, dopo due anni di intenso lavoro di tutto il reparto, il Macchi Mc.72 non era solo un aereo dalle linee accattivanti, eleganti ed un bellissimo velivolo vestito di un rosso fiammante, ma anche un concentrato di potenza e soprattutto affidabilità. Quell’affidabilità che era mancata due anni prima e che se fosse stata raggiunta in tempo avrebbe scritto tutt’altra storia. La macchina era pronta, bisognava, ora, scegliere l’uomo. La scelta cadde sul maresciallo Francesco Agello, pilota reduce della Scuola Alta Velocità ed esperto collaudatore dalle doti eccellenti di pilotaggio nonché dalla grande professionalità. Tutto era pronto. La mattina del 10 Aprile il colonnello Bernasconi decollò, personalmente, per verificare le condizioni meteo, in modo particolare la visibilità presente sul lago di Garda.

Agello poté così decollare con l’idrocorsa MM.177, effettuando cinque giri del lago ad una velocità media che gli ispettori della FAI (federazione aeronautica internazionale) calcolarono in 682,078 Km/h.

Il record inglese era stato battuto, il primato di velocità era italiano. Finalmente gli uomini del RAV venivano ripagati degli anni di sforzi e di sacrifici intrapresi per il raggiungimento di questo grande obiettivo, potevano così onorare i piloti che avevano dato la propria vita per rendere possibile questa impresa, come Monti e Bellini.

Ma al RAV il profumo della vittoria non spense le ambizioni. Il colonnello Bernasconi, era convinto che il Macchi Mc.72 potesse raggiungere velocità maggiori e superare i 700 Km/h. Così il 23 Ottobre del 1934, il maresciallo Agello fu chiamato a battere se stesso. A bordo dell’idrocorsa MM.181, compì sul lago di Garda quattro passaggi toccando la velocità massima di 711,462 Km/h e segnando una media di 709,202 Km/h.

Un’altra straordinaria pagina della storia dell’aviazione era stata scritta, una pagina destinata a durare nel tempo, una pagina che tutt’ora, dopo ottanta anni, resta imbattuta.

La storia di quest’impresa mi ha sempre generato una riflessione amara: è incredibile come nel 1934 l’ingegno aeronautico italiano sia stato in grado di sviluppare un velivolo che tutt’ora, per la sua categoria, resta il velivolo più veloce del mondo, ma poi, all'entrata in guerra del 1940, abbia equipaggiato la nostra Regia Aeronautica con gli agili, ma modesti biplani, Fiat Cr.42.

Carmine Savoia