Il dramma del cacciatorpediniere Carlo Alberto Racchia

(di Mario Veronesi)
21/11/23

Questa storia iniziò sui fronti della Galizia, è proseguì nei campi di prigionia dell’Austria-Ungheria che, in base al trattato di Versailles, divennero competenza dell'Esercito Italiano.

Durante l'attacco all'Austria-Ungheria, le truppe italiane catturarono molti cittadini russi: già fatti prigionieri dagli austriaci in Galizia vennero utilizzati come operai nelle retrovie del fronte italiano.

Questi prigionieri di guerra furono poi raccolti sull'isola dell'Asinara e vi rimasero per due anni, dato che il governo italiano non sapeva a chi darli: ai rossi o ai bianchi (al nuovo governo sovietico o alle formazioni di Denikin, che erano rimaste fedeli al Imperatore).

Questa vicenda si concluse nel 1920 a Odessa. Il 6 febbraio 1920 i "bianchi" persero Odessa, e alla fine di marzo Novorossijsk.

Nel caso intervenne il Partito Socialista d'Italia, creando il “Comitato per il rimpatrio dei prigionieri russi”, che convinse il governo a inviarli a Odessa, occupata dai sovietici, in cambio del ritorno a casa di cittadini italiani.

A metà luglio del 1920, tutti i prigionieri russi dell’Asinara partirono su tre piroscafi il Pietro Calvi, il Melpomene e il Thalia (foto). Il 19 luglio, nel Bosforo, furono presi sotto la protezione del Carlo Alberto Racchia. Giungendo nei pressi di Odessa il 22 luglio. Assieme ai prigionieri giunse anche una delegazione italiana per il commercio.

Alle 6 di sera i tre piroscafi si avvicinarono al molo Platonovskij. L’esploratore Racchia che aveva accompagnato, durante il percorso, i piroscafi con i prigionieri, quasi giunto a Odessa, colpì una mina e affondò. Dell’equipaggio morirono 5 uomini e 20 furono i feriti (dal giornale "Morjak" del 26.07.1920).

C'è un'altra versione dei fatti, basata anche sulla stampa del tempo: “il 22 luglio sera, al molo Platonovskij, uno dopo l’altro si sono avvicinati tre piroscafi italiani il Melpomene, Talia e il Pietro Calvi, i quali portavano circa 4500 prigionieri di guerra e 50 immigrati. Tuttavia, l’evento già familiare agli abitanti di Odessa, ha guadagnato un'ampia risonanza internazionale. Al traverso del faro di Bolšoj Fontan è stato fatto saltare in aria da una mina ed è affondato l’esploratore italiano Carlo Alberto Racchia, che accompagnava le imbarcazioni da trasporto con i prigionieri di guerra. Nel salvataggio dei marinai hanno partecipato attivamente i pescatori di Odessa. Sono morti 9 marinai italiani, tra cui 5 fuochisti, che si trovavano nel vano motore e 20 sono rimasti feriti”. (Monahov, Stepanenko 2008. pag. 43).

I corpi degli italiani furono portati a Odessa e la città si operò per la loro sepoltura, dopo aver chiesto al comandante della squadra di inviare truppe di marinai per rendere gli ultimi onori. Tutta Odessa visse l’evento. Insieme al comando italiano era stato deciso di seppellire, con tutti gli onori, i marinai italiani sul campo di Kulikovo. Il funerale ebbe luogo il 24 luglio intorno alle 5 di pomeriggio.

Dal molo Platonovskij i lavoratori portuali con l'orchestra e gli equipaggi di tutti e tre le imbarcazioni da trasporto italiane, con corone e bandiere rosse, si diressero verso il vicolo Valihovskij, dove in quel momento si erano riunite unità militari, i rappresentanti delle organizzazioni dei lavoratori, dell’autorità sovietica e dei partiti politici. Due bare di legno con i corpi dei marinai Vincenzo Re (foto) e Domenico Pellegrino, rivestite con le bandiere italiane, furono collocate nella cappella. Nel corteo funebre dietro alle bare sfilarono i marinai, i rappresentanti dello stato maggiore dell'Esercito, del “gubrevkom” (comitato rivoluzionario provinciale) e dei socialisti italiani. Seguì una salva di cannone dalle navi e si unì una salva di fucile sul campo di Kulikovo.

Solo nel 1926 i corpi dei marinai italiani furono riesumati e sepolti nuovamente in patria.

Quasi immediatamente dopo l’affondamento gli italiani cercarono di negoziare con i bolscevichi per il recupero del Racchia e il cacciatorpediniere Alessandro Poerio era pronto per il recupero. Ma pochi mesi dopo i bolscevichi comunicarono che il recupero della nave sarebbe avvenuto a proprie spese. Tuttavia, secondo i dati sovietici, ancora il 9 agosto 1920 il comandante delle forze navali della Repubblica A.V. Nemitts telegrafò a Mosca: “comunicate all'ammiraglio italiano Degrassi che il cacciatorpediniere Racchia è esploso in una zona di campo minato, quindi l'approccio ad esso non è possibile fino alla fine del Guerra Civile” (Lukin 1925. - pag. 335).

È noto che alla fine del 1920 l’EPRON ("spedizione per i lavori subacquei per un fine particolare") cercò di sollevare il Racchia in superficie, ma il cacciatorpediniere si rivelò distrutto in tre tronconi e il suo restauro sarebbe costato più della costruzione di una nuova nave. Nel 1930 l’armamento venne tolto dall’esploratore e installato sulla nave scuola Amur, ormeggiata presso uno dei lungofiumi di Leningrado. (Корабли 1981 - pag. 56).

Dopo quasi mezzo secolo di oblio, i resti del Carlo Alberto Racchia sono stati riscoperti e identificati nel 1977 dai subacquei dello Sadko di Nikolaevsk. In seguito i subacquei di varie organizzazioni hanno visitato il posto dell’affondamento. Subacquei dell'associazione Prikordonnik hanno condotto, dal 2007 al 2015 studi più dettagliati, durante i quali sono state effettuate misurazioni e fotografie.

La nave Carlo Alberto Racchia, intitolata in onore del politico, senatore e ministro della Marina Militare C. A. Racchia (1833-1896), fu gemello degli esploratori tipo Carlo Mirabello. Costruito nel 1914-1916 presso il cantiere navale Ansaldo di Sestri Ponente, partecipò attivamente alle operazioni in Adriatico nella prima guerra mondiale.

Il 20 marzo 1920 lasciò Taranto per trasferirsi a Costantinopoli alle dipendenze del comando divisione navale del Levante, dove fu adibito al pattugliamento del Bosforo e del Mar Nero.

Bibliografia

1) Igor Sapozhnikov – Il ritorno in patria del 1920, il destino dei prigionieri dell’Asinara russi e la perdita dell’esploratore italiano Racchia - Odessa 2016

2) L. Bigi - Una vita in Marina - Dal primo al secondo dopo guerra. - Milano: Fondazione Italo Zetti, 2003. - 347p

3) Materiali della II Conferenza internazionale scientifico-pratica, dedicata al 95° anniversario dell'Archivio di Stato della regione di Odessa (1920- 2015) (Odessa, 3-4 settembre 2015) Serie: "Le opere dell'Archivio di Stato della regione di Odessa"

4) F. Favre - La Marina nella Grande Guerra. Le operazioni aeree, navali, subacquee e terrestri in Adriatico - Gaspari Editore, 2008.

5) Ufficio Storico della Marina Militare – Esploratori, fregate, corvette ed avvisi italiani – Roma 1969. (Questo volume riporta che i marinai morti furono 9 e altri 9 feriti)

Foto: collezione Bagnasco tratta dal volume 13 Cacciatorpediniere classe Navigatori di M. Brescia / collezione Sergio Sergas / web