7 dicembre 1941: Attacco a Pearl Harbor

(di Davide Bartoccini)
07/12/15

Il 7 dicembre 1941 è domenica a Pearl Harbor. L'isola delle Hawaii che accoglie alla fonda la flotta della U.S. Navy al comando dell'ammiraglio Kimmel viene svegliata da un chiaro sole tropicale, in quella che potrebbe sembrare l'ennesima, pigra, giornata di servizio ai margini della guerra. Mancano cinque minuti alle 8.00 antimeridiane, ma qualcosa d'inatteso segna il manto celeste privo di nuvole. Sono aerei, e a guardarli bene hanno delle linee differenti da quelli che potrebbero essere in esercitazione sopra a Wheeler o Bellows Field: sono Nakajima B5N e Mitsubishi 'Zero'. Sono aerei giapponesi, sono decollati da 6 portaerei, 440 chilometri a nord di Oahu, le Akagi, Kaga, Sōryū, Hiryū, Shōkaku, Zuikaku, e hanno un solo obiettivo: annientare la flotta degli Stati Uniti per consacrare l'egemonia dell'Impero giapponese sul Pacifico.

352 tra aerosiluranti, bombardieri, e caccia colpiscono in due ondate, tra bombardamenti in picchiata, accostate, voli a pelo d'acqua e mitragliamenti a bassa quota. 18 tra corazzate e incrociatori della Marina americana vengono presi totalmente alla sprovvista. È l'Operazione Z, è stata pianificata dall'ammiraglio della Marina Imperiale Isoroku Yamamoto e ha ricevuto il benestare dell'Imperatore Hirohito cinque giorni prima, il 2 dicembre.

In poche ore la spedizione giapponese distrugge 200 tra bombardieri B-17, idrovolanti PBY Catalina e caccia al suolo. Gli aerei giapponesi mettono a segno 3 siluri sulle corazzate USS Nevada e USS California, sventrano la USS Arizona centrando la sua "santa barbara", fanno rovesciare in pieno porto la corazzata USS Oklahoma, mettendo fuori combattimento la New Orleans e i due cacciatorpediniere Cassin e Downes. Sono rasi al suolo hangar ed istallazioni portuali, danneggiate parzialmente diverse altre navi da battaglia.

La terza ondata non può essere effettuata per motivi logistici, ma l'effetto è ugualmente devastante: 8 corazzate, 3 incrociatori, 3 cacciatorpediniere inservibili, 2.459 morti e 1.282 feriti. Le uniche a salvarsi sono le portaerei USS Lexintong e USS Enterprise, fuori per delle manovre con i loro incrociatori di scorta.

Nel discorso che farà alla nazione: il 7 dicembre, secondo il presidente Franklin D.Roosevelt rimarrà per sempre "una data segnata dall'infamia"; il massacro di 2.400 soldati americani, colpiti di sorpresa da una paese non ancora dichiaratosi belligerante trascinerà nel conflitto più sanguinoso della storia dell'uomo, e "fino alla vittoria assoluta", il paese che ne uscirà come la potenza militare più influente della storia contemporanea.

Il casus belli, che per gli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale fu l'affondamento da parte del sottomarino tedesco U-20 dell'HMS Lusitania ( con 123 passeggeri americani a bordo), in transito verso l'Inghilterra nonostante l'embargo comunicato dall'ambasciatore tedesco presso gli USA Franz von Pepen, questa volta era una chiara aggressione di carattere militare, se pur vile, che veniva sferrata premeditatamente durante una parallela contrattazione diplomatica tra i due paesi.

L'espansionismo perseguito dall'Impero giapponese in Oriente, che aveva portato l'America (e appresso a se la Gran Bretagna) ad imporre nei suoi confronti diverse contromisure che culminarono nell'embargo di tutti i prodotti petroliferi, metalli e altre merci strategiche, nonché il congelamento di tutti i beni giapponesi nei propri territori oltre al divieto per le navi mercantili giapponesi di attraversare il Canale di Panama, portò il Giappone, impegnato nelle sue avanzate militari in Cina e Indocina, da prima a contrattare con gli Stati Uniti (attraverso la cosiddetta diplomazia della "porta di servizio") una posizione nell'Estremo Oriente paragonabile alla "Dottrina Monroe" esercitata dagli USA nell'America continentale, per poi concludersi, dopo il rifiuto della cosiddetta "Clausola A" da parte degli Stati Uniti, con un atto di guerra non posteriore ma solo contemporaneo alla sua dichiarazione.

Se l'attacco di Pearl Harbor nelle sue dinamiche è storia scritta, la domanda che dopo più di 70 anni scuote ancora il dubbio di molti, storici e opinione pubblica, è: " Pearl Harbor poteva essere evitata?" e " La teoria del complotto secondo quale gli americani sarebbero stati al corrente dell'imminente attacco è plausibile?"

A 30 anni dalla declassificazione come top secret di tutti i documenti relativi all'accaduto, quello che appare evidente è che Pear Harbor è stato forse il più chiaro esempio di fallimento dell'intelligence nella storia. Prima del coinvolgimento nella Seconda Guerra mondiale, e dell'istituzione dell'OSS (Office of Strategic Services: il servizio segreto statunitense fondato nel 1942 e operante per tutta la durata nella guerra), i compiti di spionaggio, controspionaggio, monitoraggio e crittografia, erano in mano a due servizi divisi e non coadiuvati: l'OP-20-G che faceva capo all'Office of Naval Intelligence per la US Navy e il Signal Intelligence Service (SIS) per US Army. Le informazioni in possesso di uno, e le scoperte dell'altro, non potevano essere reciprocamente servibili e comparabili dunque.

Questa non basta però come giustificazione di fallimento. Sulla scrivania del presidente Roosvelt infatti, nonostante queste carenza logistica, un dossier di 26 pagine proveniente dall'intelligence della Marina attendeva di essere esaminato ben 3 giorni prima dell'attacco, il 4 dicembre. Il dossier rivelava una fitta rete di operazioni di spionaggio intente a verificare la potenza e il dislocamento delle forze armate statunitensi nelle Hawaii, lungo la West Coast e a Panama, l'esodo di cittadini giapponesi dal territorio americano e un insolito traffico radio e di telegrammi tra la Marina Imperiale e Tokyo. Il dossier rimase totalmente ignorato fino a dopo l'attacco nonostante le tensioni tra i due paesi dovessero prevederlo all'ordine del giorno.

A quel dossier si aggiunge la decifrazione del cosiddetto "Purple Code", il codice crittografato attraverso il quale gli emissari giapponesi comunicavano lo svolgimento della fallimentare via diplomatica. Tutto ciò poteva essere un chiaro spettro di quel che potevano essere le intenzioni del Giappone. Ma ciò che per i complottisti è una palese attesa del degenerare degli eventi per trarne il casus belli adatto a trascinare l'America in una guerra indesiderata dall'opinione pubblica, per gli strateghi è solo una totale assenza di lungimiranza e "mancanza d'immaginazione" da parte dei vertici degli Stati Uniti; che invece erano fermamente convinti che la mossa successiva dell'Impero Giapponese in Estremo Oriente sarebbe stata la conquista della Thailandia, ovviamente non l'attacco delle isole Hawaii.

Se non si verificò l'ombra di alcun complotto, nonostante aleggino anche le voci di un avvistamento da parte di una non meglio identificata forza aerea o navale australiana, che avrebbe comunicato di una "potente task force in rotta verso le Hawaii"; la fortuna volle che entrambe le portaerei americane dislocate nella zona, fondamentali armi strategiche nelle battaglie del Mar dei Coralli e nelle isole Midway, fossero entrambe al largo, e poterono, insieme a ciò che rimaneva della flotta dell'US Navy, sovvertire le sorti del controllo del Pacifico e della guerra intera.

Quello che nei tempi più recenti viene descritto come "la seconda Pearl Harbor", è l'attacco terroristico sferrato dall'organizzazione Al Qaeda al complesso del World Trade Center l'11 settembre 2001. L'ennesimo casus belli ai danni degli Stati Uniti d'America portò la leadership americana, con alla presidenza George W. Bush, all'Invasione dell'Afghanistan e al coinvolgimento della NATO nella lotta al terrorismo che in un certo qual modo è tuttora in auge.

Lungi dall'accomunare la condotta, se pur vile ripeto, dell'onorevole esercito dell'Impero del Sole Nascente con quella dei militanti che agiscono in nome del fondamentalismo islamico, mi permetto di affogare entrambe queste date, segnate dall'infamia, con il ricordo della guerra, se pur sempre deprecabile azione umana, dei tempi più distanti; quando il codice d'onore etico di un combattente faceva l'uomo, e la guerra che ne derivava, con le azioni che la componevano era si, degna degli uomini.