Lo scontro navale di Pantelleria, anche detto "battaglia di mezzo giugno": l’Operazione Vigorous

(di Virginio Trucco)
16/06/23

Le unità assegnate all’operazione Vigorous partirono scaglionate con l’intenzione di riunirsi poi in mare prima di procedere alla volta di Malta; la prima a muovere fu la sezione 11C, salpata da Porto Said l’11 giugno con quattro mercantili scortati dall’incrociatore HMS Coventry (foto seguente) e da otto cacciatorpediniere: il convoglio puntò ostentatamente verso ovest cercando di apparire come una missione di rifornimento diretta a Tobruch, con lo scopo di sviare gli avversari e di attirare la flotta italiana fuori dalle sue basi per sottoporla ad attacchi aerei e farle consumare inutilmente carburante.

Nel pomeriggio del 12 giugno la sezione fu individuata dai ricognitori dell’Asse, giusto poco dopo aver invertito la rotta per dirigere sulla zona di riunione con il resto del convoglio; quella sera una formazione di bombardieri Ju 88 tedeschi attaccò le unità britanniche intorno alle 21:00 e danneggiò gravemente il piroscafo City of Calcutta, costringendolo a rifugiarsi a Tobruch, sotto la scorta dei cacciatorpediniere HMS Exmoor e HMS Croome.

La sezione si ricongiunse poi al resto del convoglio la mattina del 13 giugno al largo di Alessandria, procedendo poi alla volta di Malta. Ancora nel corso del 13 giugno il convoglio subì attacchi aerei mentre imboccava la cosiddetta Bomb Alley (“Vicolo delle bombe”), il tratto di mare a sud di Creta posto entro il raggio dei bombardieri dell’Asse: il cargo Elizabeth Bakke subì danni non gravi ma, poiché non riusciva più a tenere la velocità del resto del convoglio, gli fu ordinato di rientrare ad Alessandria.

Durante la notte tra il 13 ed il 14 giugno le pessime condizioni meteorologiche obbligarono il contrammiraglio Vian a privarsi delle quattro motocannoniere aggregate al convoglio, che non riuscivano più a tenere il mare: tre di loro riuscirono a rifugiarsi ad Alessandria ma la quarta, la MTB 259, fece naufragio ed affondò; la corvetta Erica accusò problemi all’impianto propulsivo e ricevette quindi ordine di rientrare in porto a Marsa Matruh.

La mattina del 14 il convoglio subì ulteriori perdite: il piroscafo Aagtekirk si dimostrò incapace di mantenere il passo con le altre unità e ricevette ordine di dirigere su Tobruch sotto la scorta del cacciatorpediniere HMS Tetcott e della corvetta Primula, ma verso le 08:00 fu raggiunto dai bombardieri tedeschi ed incendiato, finendo infine arenato davanti Tobruch dove poi affondò; nel pomeriggio aerei dell’Asse colpirono il cargo Potaro che tuttavia fu in grado di proseguire mentre il Bhutan fu centrato dal CANT Z.1007 del capitano Mario Reghini e, gravemente danneggiato, affondò più tardi. Il suo equipaggio ed i passeggeri furono in seguito recuperati dalle unità di salvataggio Antwerp e Malines (due navi passeggeri della Great Eastern Railway da circa 3.000 t convertite in trasporti truppe), che poi diressero su Tobruch. Mentre ancora erano in corso gli attacchi aerei, verso le 18:45 Vian ricevette un’altra pessima notizia: ricognitori aerei segnalarono l’uscita in mare della flotta italiana da Taranto, diretta a tagliare la rotta del convoglio britannico.

L’affondamento del Trento

Con la posizione e la rotta del convoglio ormai chiara, nel tardo pomeriggio del 14 giugno Supermarina ordinò alla squadra da battaglia italiana di lasciare la base di Taranto con l’obiettivo di intercettare le unità britanniche la mattina seguente: agli ordini dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino salparono le navi da battaglia Littorio e Vittorio Veneto, gli incrociatori pesanti Trento (foto apertura) e Gorizia e gli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, scortati da dodici cacciatorpediniere.

Per la prima volta nella sua storia la flotta italiana prese il mare potendo contare sul supporto di un sistema radar: il cacciatorpediniere Legionario (foto) infatti imbarcava un apparecchio tedesco Fu.Mo. 24/40Ggl "De.Te." (Dezimetre Telegraphie) che, sebbene utile per coordinare le manovre notturne della squadra ed avvistare con un certo anticipo gli attacchi aerei nemici, fornì un rendimento relativo in quanto disturbato dagli echi generati dalle molte imbarcazioni vicine e perché, installato come era su una sola unità, le sue segnalazioni arrivavano in ritardo alle altre navi.

La squadra italiana fu avvistata dai ricognitori aerei britannici poco dopo la sua partenza, e costantemente seguita per tutto il suo tragitto. Poco prima dell’alba del 15 giugno arrivò il primo attacco dei velivoli di base a Malta: nove aerosiluranti Bristol Beaufort attaccarono verso le 05:15 la squadra degli incrociatori italiani, che navigava in testa alla formazione; gli incrociatori Gorizia e Garibaldi evitarono i siluri a loro diretti con una serie di violente accostate, ma l’incrociatore Trento fu colpito in pieno sul lato di dritta da un aerosilurante che era riuscito a portarsi a soli 200 metri dallo scafo. Il siluro incassato dal Trento aprì un vasto squarcio nello scafo provocando l’allagamento del locale caldaie di prua ed un incendio a bordo, mentre le infiltrazioni di acqua di mare raggiunsero anche il locale caldaie di poppa provocandone lo spegnimento; completamente immobilizzato il Trento fu quindi lasciato indietro da Iachino con la scorta dei tre cacciatorpediniere Antonio PigafettaSaetta e Camicia Nera.

Intorno alle 09:00 l’incendio a bordo fu domato ed iniziarono le operazioni perché l’incrociatore potesse essere preso a rimorchio dal cacciatorpediniere Pigafetta (foto), mentre un rimorchiatore di salvataggio dirigeva sulla zona per portare aiuto.

L’alta colonna di fumo sollevata dall’incendio aveva però richiamato l’attenzione di tre sommergibili britannici che incrociavano nello Ionio: il primo a giungere sul luogo del siluramento fu l’HMS P35, reduce poche ore prima da un fallito attacco contro la corazzata Littorio; alle 09:10 il battello britannico lanciò due siluri contro l’incrociatore immobile, colpendolo a prua sotto la seconda torre dei cannoni e provocando l’esplosione di un deposito delle munizioni. La nave si inclinò a sinistra ed affondò rapidamente di prua, mentre i tre cacciatorpediniere cercavano inutilmente di attaccare il sommergibile britannico; dei 1.151 membri dell’equipaggio, 602 furono recuperati dalle unità italiane, molti dei quali feriti. Il comandante del Trento capitano di vascello Stanislao Esposito e il comandante in 2º capitano di fregata Carlo Cacherano d’Osasco, periti entrambi nell’affondamento, furono decorati rispettivamente con una medaglia d’oro al valor militare alla memoria il primo e una croce di guerra al valor militare il secondo.

Informato dell’uscita in mare della flotta italiana, intorno alle 01:45 del 15 giugno, Vian decise di invertire temporaneamente la rotta del convoglio in modo da ritardare l’incontro con le unità nemiche, permettendo così agli attacchi aerei ed ai sommergibili di ridurne il numero e forse di indurle a ritirarsi; il convoglio era stato costantemente seguito dai ricognitori notturni dell’Asse che ne segnalavano la posizione tramite razzi luminosi, e mentre procedevano con l’inversione di rotta alcune unità si ritrovarono isolate, venendo subito attaccate da un gruppo di motosiluranti tedesche circa 90 miglia a nord-est di Derna: la motosilurante S 56 riuscì a piazzare un siluro sull’incrociatore leggero HMS Newcastle che riportò un largo squarcio sul lato di dritta con numerosi danni strutturali ed alle macchine, ma senza accusare perdite tra l’equipaggio. Due ore dopo un secondo gruppo di motosiluranti attaccò le unità di scorta che attorniavano il danneggiato Newcastle ed il cacciatorpediniere HMS Hasty fu colpito da un siluro della S 55 sul lato di dritta, riportando tredici morti tra l’equipaggio oltre a gravi danni alla chiglia ed un vasto incendio a bordo; il relitto dell’unità fu poi affondato dal cacciatorpediniere HMS Hotspur.

Dopo essere stato informato del siluramento del Trento, verso le 07:00 il contrammiraglio Vian diede ordine al convoglio di tornare sui suoi passi e di dirigere su Malta, pensando che la squadra italiana non si sarebbe esposta ulteriormente; invece Iachino continuò a condurre le sue navi da battaglia incontro alle unità britanniche.

Intorno alle 09:00 la flotta italiana fu attaccata per tre volte dagli aerosiluranti britannici, che tentavano in tutti i modi di rallentarla; mentre tutta la contraerea era impegnata per respingere gli aerosiluranti, le unità italiane furono attaccate da una squadriglia di bombardieri B-24 statunitensi (foto) che, del tutto inaspettatamente e grazie al sofisticato sistema di puntamento Norden, sganciarono i loro ordigni da alta quota: le bombe esplosero molto vicine alle navi italiane, ma solo la corazzata Littorio venne colpita da un ordigno sulla torre prodiera, senza riportare gravi danni ma accusando la morte di un marinaio ed il ferimento di altri dodici. I B-24 tentarono poi di raggiungere Malta, ma vennero intercettati da caccia tedeschi Messerschmitt Bf 109 che ne abbatterono due, spingendo i due velivoli superstiti a riparare in Africa. Informato dai ricognitori che la flotta italiana continuava a procedere verso le sue navi, alle 09:40 Vian diede nuovamente l’ordine al convoglio di invertire la rotta e di dirigere verso est, onde sottrarsi alle unità nemiche. Anche le unità britanniche finirono ben presto nel mirino degli aerei dell’Asse: gli incrociatori HMS Birmingham ed Arethusa furono danneggiati leggermente da colpi caduti nelle vicinanze ma furono in grado di continuare la navigazione.

Verso le 14:00 Iachino ricevette ordine da Supermarina di desistere dall’inseguimento delle unità britanniche, ormai troppo lontane; alle navi italiane fu comunque ordinato di rimanere ad incrociare al largo delle coste occidentali della Grecia, nell’eventualità che i britannici decidessero ancora una volta di invertire la rotta. Le unità di Vian erano in quel momento ancora ripetutamente attaccate dai velivoli dell’Asse: verso le 14:15 il cacciatorpediniere HMS Airedale fu preso di mira da una formazione di bombardieri in picchiata Junkers Ju 87 Stuka tedeschi, venendo colpito in pieno da due bombe che provocarono la detonazione di un deposito delle munizioni. Il relitto fu poi affondato dal cacciatorpediniere HMS Aldenham dopo aver evacuato i 133 superstiti dell’equipaggio.

Gli Stuka si accanirono ripetutamente anche contro la finta corazzata Centurion, scambiata per una vera unità da battaglia: la nave incassò una bomba ma fu in grado di proseguire; verso le 17:30 invece quattro S.M.79 italiani attaccarono il cacciatorpediniere australiano HMAS Nestor, causando gravi danni ed obbligando il caccia HMS Javelin a prenderlo a rimorchio. Poco dopo i quattro aerosiluranti, facenti parte del 41º stormo bombardamento terrestre, vennero intercettati da alcuni caccia Curtiss P-40 che ne abbatterono uno, con l’intero equipaggio disperso in mare.

Gli aerei dell’Asse lasciarono la formazione britannica verso le 19:00, e per quell’ora Vian ricevette dal viceammiraglio Harwood ad Alessandria la notizia che le unità italiane avevano rinunciato dall’inseguimento, e che il convoglio poteva riprendere la rotta per Malta; Vian tuttavia riferì che le sue unità erano a corto di carburante (in particolare i cacciatorpediniere) e soprattutto che le scorte di munizioni erano ridotte al 30% della dotazione: pertanto il comandante britannico decise di riportare le sue superstiti unità in porto.

Le unità italiane rimasero ad incrociare inutilmente al largo delle coste greche fino al tramonto, quando Iachino ordinò il rientro a Taranto: verso le 23:30, sfruttando la luce dei bengala, una formazione di aerosiluranti britannici lanciò un ultimo attacco contro le navi italiane, riuscendo a colpire la prua del Littorio con un siluro; la corazzata tuttavia riportò pochi danni, e poté rientrare a Taranto senza grossi problemi.

Il convoglio britannico subì ulteriori perdite quella notte: verso le 20:00 l’incrociatore leggero HMS Hermione fu colpito sul lato di tribordo da un siluro del sommergibile tedesco U-205 a nord di Sollum, affondando nel giro di venti minuti con la perdita di 87 membri dell’equipaggio.

L’ultima perdita britannica fu il cacciatorpediniere Nestor: ancora trainato dal Javelin e scortato da altri due cacciatorpediniere, era rimasto molto attardato rispetto al convoglio mentre cercava in tutti i modi di rientrare ad Alessandria, molto appruato a causa della gran quantità di acqua imbarcata; con l’approssimarsi dell’alba, e molte miglia ancora da percorrere sotto la minaccia di attacchi dall’aria, l’equipaggio fu evacuato ed alle 07:50 il cacciatorpediniere fu affondato con le cariche di profondità dal Javelin 115 miglia a nord-est di Tobruch.

Il convoglio raggiunse poi Alessandria la sera del 17 giugno, ponendo fine alla missione.

Conseguenze

Dei diciassette tra piroscafi e petroliere salpati alla volta di Malta, solo due riuscirono ad arrivare a destinazione, uno dei quali danneggiato: con l’aggiunta del carico arrivato sul posamine Welshman, i rifornimenti così trasportati furono considerati sufficienti ad estendere la resistenza dell’isola di sole otto settimane.

Questo risultato fu ottenuto a caro prezzo per le forze navali britanniche: le perdite comprendevano un incrociatore leggero (Hermione), cinque cacciatorpediniere (HastyNestorAiredaleBedouin e Kujawiak), cinque piroscafi carichi, una petroliera, una motocannoniera ed un drifter; gli incrociatori Liverpool e Newcastle ed i cacciatorpediniere Partridge, Badsworth e Matchless riportarono gravi danni che li obbligarono a rimanere fuori servizio per diversi mesi, mentre danni più leggeri furono riportati dagli incrociatori CairoArethusa e Birmingham, unitamente ad un dragamine ed a tre mercantili. Si aggiunse poi la perdita di trenta velivoli. La perdita della petroliera Kentucky (foto) e delle sue 10.000 t di carburante fu un grave problema per la forza aerea dell’isola, a corto di benzina avio e che aveva contato proprio su questo rifornimento, tanto che la situazione venne definita “disperata”.

La Regia Marina italiana riportò la perdita dell’incrociatore pesante Trento ed il grave danneggiamento del cacciatorpediniere Vivaldi, insieme ai danni più leggeri patiti dalla nave da battaglia Littorio; l’affondamento dell’incrociatore fu un duro colpo per la flotta italiana, compensato tuttavia dal totale fallimento dell’operazione Vigorous: i bollettini italiani emessi dopo lo scontro rimarcarono notevolmente la ritirata delle unità di Vian, dipingendola come una fuga davanti alle navi di Iachino. Il successo fu molto sfruttato dalla propaganda italiana, che diede molta risonanza allo scontro anche come forma di riscatto da precedenti insuccessi patiti nel Mediterraneo dalle forze dell’Asse.

Le perdite delle forze aeree dell’Asse ammontarono a ventotto velivoli italiani e quattordici o quindici tedeschi. L’esiguità dei rifornimenti recapitati, che di fatto alleviavano di poco la dura situazione nell’isola, obbligarono il comando britannico a progettare immediatamente una nuova consistente spedizione verso Malta; l’11 agosto 1942 venne quindi lanciata l’operazione Pedestal di cui parlerò in un prossimo articolo.

Leggi prima parte - Lo scontro navale di Pantelleria, anche detto "battaglia di mezzo giugno": premesse

Leggi seconda parte - Lo scontro navale di Pantelleria, anche detto "battaglia di mezzo giugno": l’Operazione Harpoon

Foto: web / IWM / U.S. Army Air Forces

(articolo originariamente pubblicato su https://www.ocean4future.org)