A clear and present danger: le mine degli Houthi, “la morte galleggiante”

(di Andrea Mucedola)
28/12/23

Se è vero che le tattiche servono per vincere le battaglie e la strategia per vincere la guerra, l’arma navale più strategica appare sempre essere la vecchia ma sempre costo-efficace mina.

Ricorderete il ritrovamento di mine navali posate dagli Houthi definite il 30 maggio 2022 da Al-Ain News come la “morte galleggiante“. Si trattava di un ordigno primitivo che si era “staccato” dal suo cavo di ormeggio ed era stato trasportato dal vento e dal mare su una spiaggia della provincia di Al-Hodeidah, ancora sotto il controllo del governo legittimo yemenita.

All’epoca fu stimato che centinaia di mine fossero, più o meno casualmente, alla deriva nelle acque meridionali del Mar Rosso, trasportate dalle correnti verso il golfo di Aden. Di fatto la notizia fece immediatamente scalpore e la guardia costiera yemenita richiese l’intervento dei genieri degli Emirati Arabi Uniti (EAU), appartenenti al Progetto saudita per lo sminamento nello Yemen (MASAM), che fecero esplodere in sicurezza l’ordigno.

Seguì immediatamente una richiesta alle Nazioni Unite per fare pressione sulle milizie Houthi, supportate dal Governo iraniano, affinché smettessero di posare mine e sostenessero gli sforzi di sminamento in quelle acque.

Dal luglio 2018, il MASAM, sponsorizzato dal centro di aiuto e soccorso umanitario king Salman (KSrelief), ha rimosso nello Yemen il 10% delle mine terrestri depositate dagli Houthi che, alla fine di gennaio 2019, era di oltre 127.400 mine. La scoperta di ordigni in mare si trasformò in breve, in un “clear and present danger” che avrebbe potuto allargare la fascia di pericolo anche al traffico internazionale. Il portavoce della coalizione araba Turki al-Maliki annunciò, il 7 febbraio scorso, che tre pescatori egiziani erano stati uccisi e altri tre feriti quando la loro barca aveva urtato un ordigno in acque internazionali nel Mar Rosso, sottolineando che “Il continuo dispiegamento e posa di mine navali da parte degli Houthi rappresenta una minaccia reale al flusso della navigazione marittima e al commercio internazionale nello stretto di Bab al-Mandeb e nel Mar Rosso meridionale“.

Purtroppo, nonostante gli sforzi della Guardia costiera, le vittime note tra i pescatori locali sono salite ad oltre 100. La pericolosità di queste armi ricade nel fatto che i possibili bersagli non sono definibili e chiunque può incorrere in una mina alla deriva; l’aumento della aggressività degli Houthi con attacchi alle navi in transito e boarding di mercantili considerati di proprietà o interesse di Israele, comporta che questa minaccia potrebbe essere intensificata con nuove pose, estendendosi sulle rotte interessate dal traffico marittimo internazionale che attraversa lo stretto verso e da Suez.

Nonostante i mezzi di intervento della coalizione araba abbiano ridotto la minaccia marittima con l’individuazione e distruzione di 137 delle mine posate dagli Houthi a Bab al-Mandeb e nel Mar Rosso meridionale, in particolare al largo delle isole a nord dei tre porti di al-Hodeidah, Saleef e Ras Issa, gli analisti ritengono che le armi subacquee in possesso dei ribelli siano ancora molte e diversificate, rappresentando un pericolo insidioso. Questo aggrava il pericolo per il traffico commerciale marittimo soggetto da attacchi con droni di diversa tipologia e missili.

Qual è la minaccia?

Tornando indietro nel tempo, l’attacco alla fregata saudita al Madinah nel Mar Rosso meridionale il 29 gennaio 2017 fu effettuato da un’imbarcazione esplosiva telecomandata (immagine seguente) che colpì la poppa della fregata, uccidendo due marinai e ferendone tre. Queste navi sono definite da alcune fonti come “ordigni esplosivi improvvisati a base acqua (water based)” (WBIED).

Ne furono catturati alcuni esemplari che risultarono essere dei droni di superficie di circa 10 metri di lunghezza realizzati da Al Fattan Ship Industry negli Emirati Arabi Uniti che erano stati donati allo Yemen prima dello scoppio della guerra e poi modificati in ruolo offensivo. Sebbene il rapporto di Al-Ain News cita che durante le operazioni di rimozione delle mine sono stati identificati nel Mar Rosso tre tipi diversi di ordigni subacquei, non è escluso che possano essere impiegate nuove armi, acquistate al mercato nero o sviluppate sulla base di altre già esistenti di provenienza iraniana o russa.

Tra le informazioni presenti in rete vanno citati alcuni ordigni improvvisati scoperti ad Al Mukalla, Yemen, posati dalle forze di Al-Qaeda prima del loro ritiro. Apparentemente dei congegni primitivi ad attivazione remota furono scoperti da sommozzatori locali che allertarono subito la guardia costiera. Di maggior preoccupazione invece la scoperta di diversi congegni scoperti in prossimità della costa. Al momento sembrerebbe che gli Houthi abbiano utilizzato due tipi di mine navali di costruzione iraniane, Sadaf e Qaa, ed alcune (costruite in casa) di dimensioni variabili molto simili alle bombole di gas domestiche provviste di quattro urtanti esplosivi; per assurdo proprio queste si sono dimostrate le più insidiose per i pescatori.

Si tratterebbe di mine ancorate con un cavo ad una base metallica posta sul fondo, posizionate a circa due metri dalla superficie. Essendo sotto la superficie dell’acqua la loro scoperta non è sempre facile. Inoltre, il dispositivo di ormeggio sembrerebbe essere piuttosto fragile e rompersi con facilità … cosa che fa pensare in quanto in genere tutti gli ordigni ormeggiati sono in genere dotati nel loro lato inferiore di “scarica volte” che impediscono al cavo di andare in tensione durante la rotazione della mina causata dalle correnti o dal moto del mare. Ci si potrebbe quindi domandare se la rottura sia legata ad un difetto costruttivo o un fatto intenzionale.

La rimozione e distruzione di queste mine non è tecnicamente complessa ma la loro insidiosità maggiore deriva dalla difficoltà di identificarle. Inoltre, i sistemi di contromisure mine passivi in dotazione alle navi militari sono efficaci contro congegni di attivazione magnetico-acustici ma non hanno effetto su mine ad urtanti; sebbene esistano sistemi sonar di mine avoidance (atti a scoprire ed evitare mine in superficie o nei primi metri di acqua) la probabilità di scoperta non è elevata e devono essere scoperte otticamente (dalle vedette anti mina o da elicotteri in perlustrazione avanzata) o con sistemi sonar attivi come quelli in dotazione alle unità cacciamine.

Queste unità specialistiche sono in dotazione alle marine occidentali ma necessitano di basi sicure logistiche nei pressi delle aree di operazione e di supporto da parte di unità maggiori per proteggerle dall’attacco di unità combattenti di superficie, aeree e droni. Inoltre, una volta aperti canali di transito sicuri, si rende comunque necessario guidare il traffico marittimo da e verso aree sicure e libere da mine.

La task force internazionale che si sta formando nel mar Rosso potrà sicuramente contrastare eventuali attacchi con droni da parte degli Houthi ma si potrebbe trovare in una situazione complessa qualora la minaccia si trasformasse da bidimensionale (aria-superficie) a tridimensionale, includendo quindi il dominio subacqueo. Sarebbe quindi opportuno disporre per tempo un task group di unità di contromisure mine supportate da un’unità comando di livello adeguato sia dal punto di vista logistico che di comunicazione ed un forward logistic site dislocato in un’area prossima alle aree di operazione, con capacità manutentive e logistiche adeguate per un supporto di lungo termine. Va ben compreso che i tempi di trasferimento sono un fattore sensibile al fine di ottimizzare sia gli interventi in mare che le manutenzioni ed i rifornimenti di viveri e munizioni.

L’impiego da parte degli Houthi di armi subacquee di costruzione iraniana fa ipotizzare la possibilità che le mine possano essere posate in maniera più “intelligente” in quanto provviste anche di sensori acustici e magnetici (come le AMD 1-500, un tipo di mina sviluppato dalla Russia nel 1942 ed ancora presente sul mercato delle armi). In questo caso, essendoci una carenza di dragamine negli arsenali occidentali, i mezzi di contrasto più adeguati resterebbero i cacciamine che hanno provato la loro maggiore efficacia durante le passate operazioni in Golfo Persico e in Adriatico.

Va sottolineato che questa minaccia ha quindi un diretto impatto sul traffico mercantile internazionale e sul settore della pesca locale: di fatto circa mezzo milione di pescatori lavorano nelle acque al largo della costa occidentale dello Yemen, sostenendo circa 1,7 milioni di persone con il loro pescato. Fin ora la presenza di mine navali ha causato la morte di circa un centinaio di loro e sta mettendo a rischio la loro unica fonte di reddito che va ad aggravare la terribile e spesso dimenticata crisi umanitaria dello Yemen, sottolineata dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres come la “peggiore del mondo”.

Per i suoi importanti risvolti sulla sicurezza marittima continueremo a seguire la situazione di Bab el Mandab, il nome in arabo che sta per "porta delle lacrime" (o del lamento funebre), un appellativo purtroppo appropriato che da sempre i pescatori (o meglio le loro mogli) attribuiscono a quella perigliosa via di mare.

Foto: web / HI Sutton

(articolo originariamente pubblicato su https://www.ocean4future.org)