Il Dragone ha imparato veramente a nuotare?

(di Gian Carlo Poddighe)
16/05/23

La Cina vuole crescere, andare per mare e soprattutto dimostrare di poterlo fare.

Senza oscillare tra pessimismo ed ottimismi estremi occorre fare qualche riflessione, magari ricorrendo a qualche ricordo della guerra fredda.

Analogie storiche

Quando la Voenno-morskoj flot cominciò a cambiare ed a crescere (numericamente) sotto l’impulso dell’ammiraglio Gorškov l’Occidente entrò - se non in panico - in oscillazione al grido di: “L’orso ha imparato a nuotare”!

Si sopravalutarono molti fattori partendo proprio dai numeri delle unità e dall’influenza di una propaganda diretta ed indiretta. Quando, con il crollo dell’Unione Sovietica, si poté guardare meglio alla realtà, ci si accorse che a “quella” Marina mancava molto, pur essendo stata certamente una minaccia.

Gorškov (foto seguente), fu il comandante in capo della Marina sovietica per quasi trent'anni esercitando un'influenza decisiva sui programmi e le strategie navali dell’URSS, e nella sua lunga permanenza al vertice e grazie alla sua influenza politica (potere), un vero regno, poté pianificare, promuovere e sviluppare un enorme programma di sviluppo della Marina sovietica che - grazie a continue attività - divenne (numericamente) negli anni settanta la seconda del mondo, considerata in grado di competere su tutti i mari con la U.S. Navy e di supportare a livello globale l'influenza politico-militare dell'Unione Sovietica. Risultati impressionanti che sembrarono mettere in pericolo la superiorità navale delle potenze occidentali.

A posteriori: un'intelligente ed efficace azione di proiezione ed immagine che si tradusse anche in un’azione commerciale di esportazione di mezzi e di sistemi per il consolidamento di aree di influenza.

Per i risultati ottenuti e la sua attività a favore dell'innovazione, il potenziamento e l'addestramento delle forze navali sovietiche, Gorškov, promosso al massimo grado di ammiraglio della flotta dell'Unione Sovietica, è stato considerato uno degli uomini di mare più abili e preparati della storia russa.

Qualche parallelismo, con le dovute distanze di tempo e di mutevoli politiche estere e navali USA, si potrebbe ancora estrapolare per la montante e tambureggiante politica navale cinese

La proiezione cinese

Passiamo da grandi (ma costose ed inefficaci) dimostrazioni di forza quali la fortificazione delle isole Spratly alla contiguità delle operazioni globali sui porti ai reali compiti ed obbiettivi assegnati alla PLAN che più che la proiezione globale sembrano il controllo assoluto del Mar cinese e la preparazione alla conquista di Taiwan.

Una sfida alla supremazia USA in ogni campo, ma anche una sfida che la U.S. Navy ha recepito, cercando di adeguarsi, con navi, poche basi, nuova logistica ma soprattutto con nuova dottrina e cambi di strategia, come maggior beneficiaria di nuovi accordi ed alleanze che la politica estera USA sta moltiplicando. C’è da chiedersi quanto duratura possa essere questa svolta, dopo oltre due decenni di erratica politica, senza dottrine e strategie delle amministrazioni statunitensi, senza reali continuità, da quella disastrosa di Obama a quella più compiacente di Trump (Brown water Navy vs Blue water Navy, 326 unità vs 500 unità, tutto nel volgere di meno di un ventennio...).

Per la Marina dell'Esercito Popolare di Liberazione (PLAN), il 2022 viene “venduto” come un altro anno di grande successo, rivendicando la posizione (ma non certo il ruolo) di più grande Marina del pianeta; un anno in cui non sono state consegnata tante unità di superficie e subacquee quanto quello del 2021, ma si è continuato a vantare supremazia in numero totale di navi, persino in dislocamento (opinabile, per i metodi di calcolo e le attribuzioni) e in missili da crociera antinave supersonici.

La PLAN è in mare vantando un'espansione anche in termini di "operazioni nei mari lontani", contando sulla dislocazione delle portaerei al di fuori della prima catena di isole, oltre al supporto alle esercitazioni concentrate sulla “presa di Taiwan” e su operazioni combinate con la Russia e altri paesi.

Nel complesso, la PLAN ha voluto dimostrare di essere la forza navale dominante nel Pacifico occidentale e di essere in grado di rispondere pienamente alle aspettative ed agli ordini di Pechino, in primo luogo la priorità/probabilità di un'invasione di Taiwan. Ma la presenza globale è angora un traguardo lontano.

Una crescita dunque, ma quanto preoccupante?

Le portaerei: simbolo della PLAN (e strumento di propaganda)

Nel 2022 l’evento principale è stato il varo della portaerei Type 003, Fujian (foto), da 80.000 tonnellate, la più grande nave da guerra mai costruita da una nazione asiatica, la massima espressione di tecnologia navale della Cina odierna. Ma in quando tempo questa unità sarà non solo consegnata ma veramente operativa, combat ready? Poco importa l’effettuazione di prove in mare entro l'anno, quando il traguardo è decennale.

La propaganda, anche nostrana, ha enfatizzato l’adozione di catapulte elettromagnetiche, rispetto alle Liaoning e Shandong da 50.000 tonnellate, dotate di trampolino, evoluzione che dovrebbe consentire alla Fujian di lanciare velivoli pesanti, piattaforma di allerta lontana e piattaforme ASW ad ala fissa.

Ma quali sono i tempi per l’effettiva integrazione di questi sistemi e la loro reale efficienza? Era la soluzione più efficace ed opportuna, non solo in termini tempo?

La loro adozione non significa automaticamente maggiore capacità di combattimento, maggiore efficienza, maggior deterrente.

La sfida delle portaerei non è sulla costruzione (e malgrado il potere e la capacità dei cantieri cinesi la distanza è tanta anche se non abissale), è in primo luogo di personale ed esperienza...

La U.S. Navy con una ventina di portaerei (tra superportaerei CATOBAR e da assalto anfibio, ndr) e di gruppi aerei che da decenni costituiscono il nerbo della flotta, dispone di una relativamente vasta scelta di personale esperto in servizio attivo da cui attingere nel caso in cui debba formare l’equipaggio di una nuova portaerei.

La PLAN ricorre di fatto al job training e spesso alla sperimentazione in corsa, "autogenerando" esperienza sull'aviazione imbarcata (piloti, procedure, personale di hangar e ponti di volo, protocolli antincendio, protezione ed anticorrosione problemi non secondari).

La propaganda, sempre con ampio risalto nostrano, ha parlato del 2022 come anno dell’inizio di proiezione “Blue Water” della PLAN e delle sue portaerei: un assurdo, peggio di una fake news!

“Blue water operations" significa condurre da portaerei operazioni di volo con velivoli ad ala fissa al di fuori del raggio d'azione di un campo d'aviazione amico, luogo dove atterrare se un aereo per avaria o prolungamento di missione non può tornare alla nave. Qualsiasi problema di manutenzione o danno all'aereo o alla portaerei potrebbe precludere un recupero sicuro.

Condurre vere e proprie operazioni in mare aperto è un'impresa ad alto rischio.

Gli unici risultati possibili sono un tasso di recupero a bordo del 100% o la perdita del velivolo.

Nella realtà nel dicembre 2021 nel Mare delle Filippine la Liaoning (foto) ha condotto operazioni di volo intorno a 700 miglia di distanza dalla terraferma cinese e nel maggio 2022, nuova e più consistente missione di addestramento, sempre nel Mare delle Filippine, la Liaoning ha condotto meno della metà delle operazioni di volo tra le 500 e le 600 miglia dalla Cina, mentre la maggior parte delle stesse sono state condotte in un'area a est di Taiwan, a una distanza più favorevole di 300-400 miglia da un aeroporto alternativo, sottolineando anche che le operazioni sono state condotte con aerei “puliti”, non a pieno carico di armamento e senza carichi esterni che generassero resistenze e maggiori consumi.

Altro dato rilevante, in merito all’operatività, riguarda il fatto che secondo l’intelligence giapponese la Liaoning ha condotto non più di 300 sortite aeree nei 12 giorni di dispiegamento del maggio 2022: ciò corrisponde, in media, a meno di 20 sortite di velivoli al giorno, combinate con decine di voli di elicotteri, evidenziate da molti analisti come "numero decente" di sortite per l'addestramento.

Peccato - ed il confronto numerico è d’obbligo con l’antagonista dichiarato - che la portaerei statunitense USS Gerald R. Ford (CVN-78), con dislocamento di 104.000T ed altro gruppo aereo, abbia recentemente completato 170 sortite in otto ore e mezza di operazioni, ancora in fase di addestramento (shake down).

Certamente la Fujian, con le catapulte (una volta messe a punto) segnerà un miglioramento ma... quanto e quando?

La Cina fa certamente leva sul “prestigio internazionale” delle portaerei ma il fulcro della strategia della PLAN, il suo livello di credibilità, almeno per il prossimo decennio, continuerà probabilmente a essere la capacità di attacco (e stranamente di dispersione) delle sue unità di superficie e dei suoi sottomarini (non scevri di molte delle problematiche di personale delle portaerei).

Le navi, tante, ma coerenti come caratteristiche e sviluppo con le aspirazioni?

Le portaerei sono il fulcro della propaganda ma non c’è competizione, né numerica né d’impiego.

È pertanto opportuno dare anche un’occhiata più generale alla produzione navale: i cantieri cinesi hanno risposto rapidamente per altre unità, quali le navi di assalto anfibio, con la consegna in soli 18 mesi della terza unità Type 075 LHA (foto seguente), l'Anhui da 45.000 tonnellate, insieme a due trasporti d’assalto (LPD) Type 071 da 25.000 tonnellate, ulteriore evidenza delle priorità della PLAN per le funzioni expeditionary (ESG).

Ma a quale dottrina di impiego, e quanto attuale, rispondono queste unità? Sono up to date?

Se il confronto è con la U.S. Navy, lo stesso non è neppure sul numero ma sugli anni di evoluzione, tecnologica e dottrinale.

Oltre alle tre unità citate , la Cina nel 2022 ha immesso in servizio otto unità di superficie e una sola subacquea:

  • tre incrociatori della classe Type 055/Renhai;

  • quattro caccia lanciamissili della classe Type 052D/Luyang III;

  • una fregata della classe Type 054A/Jiangkai II;

  • un sottomarino a propulsione AIP della classe Type 039C/Yuan1.

Numeri importanti se considerati in termini di tonnellate annue a livello globale, dell’ordine di quanto registrato almeno nell’ultimo quinquennio, con previsioni per il 2023 superiori a quelle del 2022, ma... quanto espressione di un programma attuale e coerente, dell’innovazione, dell’efficienza, di una struttura bilanciata? Quale strategia cinese che oltre la difesa degli stretti (analoga a quella del Giappone a fine anni ‘30) che sia diversa dallo “show the flag” nei confronti dei paesi minori, magari assoggettati con la “strategia del debito”, e diversa da quella ormai evidente della "geometria variabile"?

Se esaminiamo il mix di consegne qualche dubbio dovrebbe sorgere sulla rispondenza e congruità di totale proiezione “Blue waters” e di competizione diretta con la U.S. Navy, mentre si potrebbe dedurre che gli obiettivi a medio termine (10/20 anni) siano ancora quelli della dottrina che previlegia il numero delle navi e la frammentazione di gruppi e dislocazioni (da qui la definizione di “geometria variabile”) addirittura rispetto alla qualità ed innovazione dei sistemi.

In quanto a “numeri” i cantieri cinesi hanno ripreso la produzione in serie di una classe di unità di superficie per la quale si sarebbe dovuto pensare ad un’evoluzione, i caccia della classe Type 052D/Luyang III, dei quali venticinque già in servizio: cinque ulteriori unità risultano in costruzione presso il cantiere navale di Dalian, ed almeno un’altra presso il Jiangnan Changxing Shipyard di Shanghai, un cantiere che da solo offre una capacita (teorica) superiore al totale di tutti i cantieri USA (sette); tanto impegno per risultati non certo all’avanguardia né realmente consistenti.

Tanta esibizione e tanto rumore solo per i numeri?

I sottomarini

La PLAN dovrebbe colmare il divario con la forza sottomarina della Marina statunitense, ma in questo caso i numeri non aiutano.

Certamente queste costruzioni rientrano tra le priorità ma siamo appena oltre l’approntamento di infrastrutture adeguate: sono operativi scali coperti presso il cantiere navale Bohai di Huludao, l'unico impianto destinato alla costruzione di sottomarini nucleari per la PLAN.

Si stima che questi nuovi scali e le loro coperture siano abbastanza grandi da consentire la costruzione contemporanea di quattro o cinque sottomarini nucleari, dai sottomarini lanciamissili balistici (SSBN) ai sottomarini d'attacco (SSN).

A ottobre 2022 sono state fatte filtrare foto di nuovi e più grandi scafi, attribuibili tanto al nuovo Type 095 (SSN) come al Type 096 (SSBN), che dovrebbero essere più grandi, più silenziosi e più capaci degli attuali sottomarini della PLAN.

L'attività a Huludao, osservata nel maggio 2022, ha rivelato un sottomarino in bacino di carenaggio che incorpora quello che si ritiene essere un sistema di lancio verticale.

Le immagini non mostrano chiaramente se si tratta di un refit di un SSN esistente o del primo della nuova classe, ma entrambe le possibilità segnalano una capacità preoccupante, ma ancora limitata.

Come già osservato, al di là del “prestigio” delle portaerei, la vera minaccia/deterrenza della PLAN, il suo livello di credibilità, almeno per il prossimo decennio, dovrebbe essere la capacità di attacco dei suoi sottomarini ma - anche in questo caso - si dovrebbe andare oltre la propaganda e le strumentalizzazioni.

La differenza numerica è abissale, parliamo di decine contro oltre un centinaio, di battelli entrati in servizio dopo un periodo di sviluppo durato decenni e minato da un'infinita serie di battute d'arresto e disastri progettuali, neppure una forsennata e teorica produzione di 5/6 battelli contemporanei, e gli inevitabili tempi di procurement e costruzione, riuscirebbe a colmare il divario ancora per molti decenni (e non c’è sintomo di decrescita da parte avversa, anzi il recente accordo AUKUS rafforza la posizione di contrasto).

Nel confronto tra potenziali avversari valgono considerazioni simili a quelle delle portaerei, non conta il numero ma l’operatività in questo caso ancor più dipendente dal personale: con alle spalle decenni di esperienza, un diverso background tecnologico, una consistente flotta si sottomarini nucleari e la pratica del doppio equipaggio, la U.S. Navy ha una relativa facilità di attingere personale esperto in servizio attivo per formare i quadri dell’equipaggio di nuove unità. La PLAN, pur con un esperienza maggiore in tempi e numeri rispetto alle "portaeromobili" (non siamo ancora alle "portaerei") ed un maggior numero di unità in servizio, si sta ancora confrontando con la carenza e problemi di autogenerazione simili, ma più gravi, di quelli delle portaerei.

Qualche maggiore incognita sulle armi, e la loro efficacia: a novembre 2022, il comandante della flotta statunitense del Pacifico, l'ammiraglio Samuel Paparo (foto seguente), ha ammesso che la PLAN ha cominciato a imbarcare il missile balistico (SLBM) JL-3 sui suoi sei SSBN operativi della classe Jin.

Il suo predecessore, il JL-2, aveva un raggio d'azione di circa 7.200 chilometri (4.464 miglia), ed obbligherebbe gli SSBN della PLAN ad operare a est delle Hawaii per colpire la costa orientale degli Stati Uniti. Se il JL-3 SLBM risultasse efficiente diventerebbe l’arma standard e, con una gittata stimata di 10.000 chilometri (6.200 miglia), consentirebbe ai boomers della PLAN di colpire tutti gli Stati Uniti continentali operando dai bastioni nel Mar Cinese Meridionale.

Operatività ed azioni dimostrative

La PLAN vuol far ricordare il 2022 come l'anno delle sue prime operazioni "blue-water" anche come task forces (una al momento) di portaerei.

Nell’arco di un decennio, con le prime portaeromobili, la PLAN ha cercato di formare i suoi gruppi d'assalto di portaerei (CSG) sulla falsariga di quelli della Marina statunitense, con un incrociatore lanciamissili Type 055 che funge da polo di difesa antiaerea, con schermi costituiti da caccia lanciamissili Type 052C e fregate Type 054 oltre una nave da rifornimento della classe Type 901/Fuyu.

Su questo schema la PLAN ha testato nel 2022 alcune operazioni CSG al di fuori della prima catena di isole, dopo aver condotto nel dicembre 2021 operazioni con velivoli ad ala fissa a più di 330 miglia nautiche a est di Okinawa.

Con il preteso della visita di Nancy Pelosi a Taiwan del 2 agosto 2022, il PLA ha condotto grandi esercitazioni aeronavali e missilistiche intorno a Taiwan dal 4 al 10 agosto, operazioni che hanno messo alla prova la cooperazione di tutte le componenti del PLA, impegnando contemporaneamente forze missilistiche, spaziali, informatiche, aeree, militari e navali, con l'obiettivo di isolare Taiwan e ridurre al minimo la resistenza costiera alle forze d'invasione.

I contributi della PLAN a quella che alcuni hanno descritto come una prova generale di invasione di Taiwan comprendevano una media di 13-14 unità navali al giorno, tra cui incrociatori Type 055, cacciatorpediniere Type 052D, fregate Type 054, corvette Type 056A e forse una SSN.

Grande battage, esibizione consistente, ma alla fine... “quanta” PLAN?

Ombreggiamenti e disturbi, operazioni reali ma anche mostrar bandiera

Le operazioni della PLAN nelle acque giapponesi e in quelle circostanti sono aumentate, molte in collaborazione con la Marina russa. In aprile e dicembre, soprattutto in ogni mare le unità della PLAN hanno costantemente esercitato quelle operazioni di libero transito che negano alle altre nazioni: sono transitate nello Stretto di Osumi, dirigendosi verso il Mar delle Filippine (nonostante la Cina protesti quando unità straniere transitano nelle acque internazionali dello Stretto di Taiwan o del Mar Cinese Meridionale) ed il Ministero della Difesa giapponese ha riferito che due navi da guerra della PLAN sono entrate nelle acque territoriali giapponesi al largo dell'isola di Kuchinoerabu, a sud di Kyushu.

Operazioni continue di libero transito e di provocazione, certamente in misura maggiore e costante di quelle esercitate dalle marine occidentali o allineate all’occidente, azioni ormai coordinate con la marina russa: a dicembre, quando la 41^ Task Force di scorta della PLAN, composta da tre navi, rientrava nel Mar Cinese Orientale attraverso lo Stretto di Miyako, altre due unità della PLAN passavano ad est attraverso lo Stretto di Osumi nel Mar delle Filippine, tre unità della Marina russa attraversavano contemporaneamente le stesse acque.

L'incrociatore Lhasa e un caccia della PLAN hanno attraversato tre degli stretti strategici del Giappone - Tsushima, Soya e Tsugaru - circumnavigando completamente il Giappone, come aveva già fatto una formazione russo-cinese nell'ottobre 2021.

Va sottolineato come molte di queste operazioni siano avvenute ben all'interno della zona economica esclusiva del Giappone, cosa di cui la Cina si lamenta ogni volta che unità straniere entrano nel Mar Cinese Meridionale o nello Stretto di Taiwan.

Nel corso del 2022 unità russe e cinesi hanno effettuato pattugliamenti congiunti, e nell’agosto 2022 il PLA ha distaccato unità di tutte le forze per partecipare all'esercitazione del comando strategico russo Vostok 2022.

In forma aperta ed evidente sono state poi condotte azioni di ombreggiamento nell’area delle Hawaii durante l’annuale esercitazione multinazionale Rim of the Pacific (RIMPAC), a luglio la PLAN ha distaccato una nave per la raccolta di informazioni (AGI) nelle acque circostanti le Hawaii, punto di concentrazione finale delle operazioni.

Un chiaro messaggio alle 26 nazioni partecipanti, con la PLAN che ha sottolineato ancora una volta il suo doppio standard, di condanna delle operazioni di passaggio e di raccolta dati da parte di unità straniere all'interno della Prima Catena Insulare mentre evidenza le proprie operazioni di raccolta in acque statunitensi e alleate.

Una crescita, ma quanto preoccupante?

Strategia(e), obiettivi e percezione dello strumento navale

Stranamente anche in questo caso bisognerebbe ricorrere alla storia ed alle analogie che segnarono gli anni precedenti la 2^ GM: la crescita e l’atteggiamento del Giappone imperiale.

Il messaggio che lancia Pechino è duplice: quello di pace (e del tutto improbabile e insostenibile al riguardo della via della Seta) e quello dell’approntamento alla guerra.

Già al secondo anno della devastante invasione dell'Ucraina da parte della Russia, la Cina sottolinea che potrebbe invadere Taiwan, show sul campo ma anche show e prese di posizioni formali, come quelle del Congresso Nazionale del Popolo e della Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese del marzo 2023 - note come le "due sessioni" – durante le quali Xi Jinping ha pronunciato quattro discorsi in cui ha annunciato di prepararsi alla guerra.

Data la produzione e le attività della PLAN nel 2022, se Xi sta chiedendo ai leader della Commissione Militare Centrale se il PLA è pronto a invadere Taiwan, la risposta che si è voluta proiettare e stata sì e presto.

Al di là degli enunciati e degli show all’interno della catena delle isole (i bastioni), esistono fatti e fattori significativi, anche se sottovalutati, che limitano le capacità della PLAN: in primo luogo il personale, la sua formazione e l’esperienza.

Il personale: quanta vocazione marittima? 

Negli ultimi secoli il mare è stato visto dalla Cina come la fonte delle minacce e più recentemente è stato il limite della prima rivoluzione, la battuta di arresto della grande marcia; solo negli ultimi decenni, nella sua spinta alla crescita, nella sua nuova rivoluzione, la Cina ha acquisito la consapevolezza della sua dipendenza dal mare e del mare come opportunità. Questo non fa del colosso un nazione marittima.

"Necessità", non vocazione marittima, un forte esercizio della disciplina ed un buon livello di educazione hanno permesso alla Cina non solo di guardare al mare, ma di assumere alcuni ruoli da protagonista; li ha tuttavia assunti in un momento di confusione e di illusioni dell’economia globale e delle relazioni mondiali, di una pace irreversibile e di "autoregolazione economica" dei rapporti.

Grandi risultati, certo, ma la marittimità è anche tradizione e continuità, mentalità che deve fondare ed accompagnare ogni strategia.

Disciplina ed ordine non sono sufficienti: questo è probabilmente la spiegazione dei problemi di personale e, quindi, di crescita e piena rispondenza dello strumento navale... Dirigismo, pianificazione (con risorse e metodo) possono supportare ed accelerare la corsa al dominio dei traffici marittimi (favorita anche da molte disattenzioni occidentali) ma la corsa navale ha ben altri aspetti.

Il PLA (ma soprattutto la PLAN) non appare ancora in grado di aumentare ed adeguare le proprie risorse umane abbastanza velocemente da soddisfare i requisiti operativi emergenti.

Detto questo, il PLA sta facendo cauti progressi: le forze armate cinesi hanno recentemente avviato una serie di riforme del personale (quelle che chiamano "lavoro sui talenti") per affrontare le carenze riconosciute nel reclutamento, nell'addestramento e nel mantenimento delle risorse umane, tuttavia obbiettivi e risultati che, quando avvengono, in campo marittimo ed ancor più navale sono "generazionali".

Le sfide con uno sguardo al futuro

Man mano che le capacità operative miglioreranno la PLAN tenterà (?) di crescere operando lontano dalle acque nazionali, creando ulteriori sfide per gli Stati Uniti e Alleati.

In un potenziale conflitto, le forze statunitensi dovranno affrontare minacce più sofisticate e complesse da nuovi vettori. Il PLA cercherà parallelamente di aggirare la strategia di operazioni navali distribuite della U.S. Navy (e gli sforzi delle forze alleate) con una "manovra estesa": la strategia della “geometria variabile”.

Naturalmente, tale “geometria” ha un doppio filo, e la PLAN deve anche preoccuparsi di poter sopravvivere a un attacco coordinato e multiassiale.

La "questione" potrebbe essere se i vantaggi ottenuti e i rischi realizzati dalla mutevole geometria di queste nuove aree operative spingano una parte ad agire per prima in una crisi per mantenere il proprio vantaggio.

Certamente la U.S. Navy non è la marina delle 600 navi e della molteplicità di basi della guerra fredda ma è ancora “la” Marina da battere.

La sfida della geometria variabile contro la realtà di confrontarsi a tutti i livelli con la vera potenza navale (ancora) egemone, ricorda in qualche modo Davide e Golia, o Ulisse con il ciclope: tante unità, importanti per propaganda e disinformazione, puntando all’evento plateale ma anche fortunato. Ma se pragmaticamente si scende al confronto... uno vale uno e il risultato è ancora desolante per i cinesi. E la PLAN lo sa benissimo!

Questa diversa valutazione della reale forza della PLAN e della sfida in corso giustifica ampiamente la corsa al riequilibrio e la proiezione delle forze navali di TUTTE le nazioni occidentali verso l’indopacifico: significa rintuzzare la sfida e l’arrogante strumentalizzazione delle proprie forze da parte cinesi nei confronti di molti paesi della regione, dai maggiori ai minori, che possono in tal modo sentirsi sicuri e rimanere nell’area più favorevole di un mondo che si sta deglobalizzando e tornando ai blocchi, significa vanificare la strategia cinese della geometria variabile, della presenza più che della potenza.

Nella "fase di competizione" al di sotto del livello di conflitto armato, la mutata geometria delle operazioni della PLAN creerà anche nuove sfide e rischi.

Non è detto che la Cina cerchi attivamente un conflitto con gli Stati Uniti o i suoi alleati, ma continuerà a spingere la PLAN al limite, a punzecchiare gli Stati Uniti, a spingersi fino al punto di scontro, senza però oltrepassare la linea della guerra.

Un gioco pericoloso

Il personale “inesperto” (in termini di vocazione e tradizione marittima e navale) del potere centrale e del PLA che mira ed opera in aree sconosciute potrebbe spingersi troppo in là; non si sa come risponderà la PLAN e come reagirà in tal caso la U.S. Navy e/o la marina o le Marine di altre nazioni coinvolte.

I leader delle Marine proiettate nell’indopacifico, ovviamente U.S. Navy in testa, stanno prestando attenzione alla mutevole geometria delle operazioni della PLAN, e le recenti dislocazioni nonché quelle programmate ne sono la dimostrazione.

Indopacifico e non solo: la via della seta è stata (quanto mai opportuno parlarne al passato), l’espressione della proiezione navale cinese nell’era della globalizzazione. Una proiezione con i porti quali anelli di una catena logistica che ricorda la politica britannica delle stazioni di carbonamento (poli commerciali ed industriali, basi navali solo potenziali nella maggior parte dei casi) quali strumento e leva del proprio potere navale imperiale; la deglobalizzazione ha intaccato questa strategia…

Si impone una nuova politica globale, che per l’occidente è quella della ricomposizione di alleanze a blocchi, che per la Cina si è rapidamente evoluta in quella della tunica di facilitatore garante della “pace” (pax cinese però), già con più di un tentativo come nel caso del Golfo, dell’Iran, delle ambizioni in Siria ed Ucraina per essere più presente in Europa e nel Mediterraneo.

Un facilitatore e garante della pace che "offre" (ma sottilmente "impone") una propria presenza, soprattutto navale: una politica globale incipiente che si è però scontrata immediatamente con la ricomposizione delle alleanze e ha impattato l’emergente incrocio di alleanze gravitanti sull’India, il paese se non “avversario” certamente “naturale contrasto all’espansionismo cinese”... Non c’è stato scontro, ma certamente una immediata reazione economico/strategica che con la discesa in campo dello schieramento I2U2 (ossia il sistema minilaterale tra India, Israele, Usa, UAE) non è un semplice pizzino, ma l’attivazione di una solida alternativa alla strategia di espansionismo cinese, che agisce sullo stesso piano e con le stesse forme dei cinesi.

La Cina, con la sua Marina, la PLAN, ha bisogno di propaganda, di visibilità, di affermazione, ma non ha ancora la credibilità di prima marina globale.

La Cina dipende dal mare per il proprio sostentamento, dall’energia alle materie prime, alle necessità alimentari della popolazione compresa la razzia delle riserve ittiche, alle proprie esportazioni, ma non è (ancora) una nazione marittima, non ha (ancora) il dominio del mare e non è ineluttabile che riesca ad ottenerlo.

La globalizzazione, come è stata interpretata, era per la Cina una transizione egemonica, intesa come fase senza ritorno; nella recente sovrapposizione di crisi (pandemica, energetica, bellica) non si è verificato il collasso del sistema occidentale né la radicale trasformazione per successivi adattamenti a vantaggio della Cina: la sicurezza energetica perseguita con la diversificazione delle fonti, la dipendenza e la debolezza delle catene logistiche, hanno evidenziato come la libertà dei mari e dei suoi traffici sia uno dei valori (e dei pilastri) del sistema occidentale, a cui non si può rinunciare. Si è ancora in tempo.

La difesa dei nostri valori (arrestando le velleità egemoniche cinesi e recuperando l’iniziativa) comincia dall’Indopacifico: la presenza di forze alleate - soprattutto in quell’area di massimo interesse (cinese) che è la fluidità tra indopacifico e mediterraneo allargato e comprende Golfo Persico e MENA - va vista anche come la risposta e l’adattamento occidentale alla strategia cinese della geometria variabile.

L’equilibrio del sistema è (ancora) l’obiettivo possibile, il dragone sa certamente nuotare ma non copre tutta la piscina con le sue fiamme e deve condividerne l’uso anche con ragazzini ed anziani.

Foto: China MoD / web / U.S. Navy / Xinhua