Ambiente marino. Implicazioni geopolitiche

(di Renato Scarfi)
29/06/23

A prima vista qualcuno potrà avere il dubbio che la questione della tutela dell’ambiente marino abbia poco a che vedere con la geopolitica. Si tratta di un errore che molti fanno, non riflettendo sufficientemente circa le significative implicazioni, per esempio, del riscaldamento globale sulla fauna ittica (peraltro messa in grave pericolo anche dalla pesca illegale), sulla salinità dei mari, sull’innalzamento del livello delle acque e sulla circolazione delle correnti marine che, se alterate in modo significativo, hanno significative ripercussioni sul clima globale. La salute dei mari e degli oceani ha, invece, considerevoli implicazioni geopolitiche ed economiche, influendo su questioni fondamentali che riguardano la conformazione delle coste, le risorse ittiche, le attività produttive e il benessere complessivo delle popolazioni, non solo quelle rivierasche.

In tale ambito va sottolineato come il 19 giugno sia stato un giorno storico per gli oceani del pianeta, dato che le Nazioni Unite hanno adottato ufficialmente il primo Accordo internazionale per la protezione dell’Alto mare, ovvero di quelle acque che non ricadono sotto la giurisdizione di alcuno Stato. In sostanza, le aree marine che si trovano oltre la Zona Economica Esclusiva (leggi articolo “Zona Economica Esclusiva e potere marittimo”).

Approvato definitivamente lo scorso marzo, dopo ben quindici anni di negoziati, l’Accordo rappresenta una tappa cruciale per la salute degli oceani e, aggiungo, nostra. Emozionante e ben augurante l’annuncio fatto dalla presidente della Conferenza, Rena Lee: la nave ha raggiunto il porto.

Difendere gli oceani e i loro ecosistemi situati in profondità e, di conseguenza, la sopravvivenza dell’uomo, questo è l’ambizioso obiettivo del documento, che fornirà la base giuridica per muovere i primi concreti passi per la conservazione e l’uso sostenibile della fauna ittica e la protezione dell’ambiente marino.

Il mare, una biosfera dinamica

Il mare è in continuo movimento, grazie alla presenza delle correnti marine, che mescolano e trasportano importanti masse d’acqua. Anche il Sole e la Luna, per effetto della loro massa, contribuiscono al movimento delle masse d’acqua oceaniche, causando le maree. Le radiazioni solari, infine, riscaldano sia la superficie del mare, generando masse d’acqua di diversa densità, sia la superficie terrestre, causando la formazione dei venti, che provocano onde e influiscono sulle correnti marinei.

In base alle cause che le generano, le correnti marine si possono classificare in correnti di gradiente, di deriva, di marea e geostrofiche. In base alla temperatura possono essere calde o fredde, a seconda della differenza di temperatura tra la massa d’acqua che si sposta e quella che la circonda, superficiali e profonde. Se, invece, teniamo conto della profondità alla quale le masse d’acqua scorrono parallelamente, o quasi, le une sulle altre possono essere classificate in superficiali (0-200 m) e profonde (interne, oltre i 200 m, e di fondo, in prossimità del fondale).

Le correnti superficiali sono determinate principalmente dai venti e dalla rotazione della Terra. I venti si muovono dalle aree di alta pressione verso quelle di bassa pressione e sono causati dalla risalita di aria relativamente calda e dalla discesa di aria relativamente fredda. Il movimento di rotazione terrestre, da occidente verso oriente, devia poi la direzione delle correnti d’aria nel momento della loro salita e della loro discesa nell’atmosfera. Anche le masse d’acqua superficiale (fino alla profondità di circa 100 m) risentono di questi spostamenti d’aria, essendo indotti dal vento per attrito degli strati superiori su quelli inferiori. Sotto l’azione della forza di Coriolisii (ma sarebbe meglio chiamarlo “effetto Coriolis”), la direzione del moto viene deviata in senso opposto a quello di rotazione della Terra e ha intensità variabile con la profondità, la latitudine e la velocità delle particelle in movimentoiii. A ciò si aggiunge anche il rimescolamento che avviene in senso verticale, quando masse d’acqua relativamente più calda arrivano ai poli e si raffreddano (ricordate la Corrente del Golfo?), inabissandosi e spostando verso l’equatore l’acqua profonda che, nel suo viaggio, subisce un riscaldamento e “riemerge” a latitudini più basse, ripartendo poi verso i poli, per un nuovo ciclo.

Al movimento orizzontale delle masse d’acqua si aggiunge, quindi, anche un movimento verticale, il cui effetto complessivo descrive una spirale, conosciuta come spirale di Elkman, che contribuisce a mantenere attivo un grande sistema di circolazione di enormi masse d’acqua in continuo rimescolamento.

Importanza economica e geopolitica dell’ambiente marino

Gli spostamenti appena descritti sono indispensabili per la biodiversità e la sopravvivenza dell’uomo sul pianeta. La risalita e lo sprofondamento delle acque marine, per esempio, sono fenomeni fondamentali per il clima e per la biodiversità sulla Terra. Sono, inoltre, irrinunciabili per la vita nei mari e negli oceani, in quanto questi movimenti fungono da “nastro trasportatore” dei nutrienti che permettono lo sviluppo di plancton, che favorisce la produzione ittica. Un esempio per tutti sono le pescosissime coste del Cile e del Perù, dove la risalita delle acque profonde, ricche di nutrienti, appunto, permette la formazione di enormi banchi di acciughe e di grandi pelagici. Se ne sono accorti anche i cinesi, che battono quelle acque in maniera intensiva, creando anche non pochi problemi nei rapporti internazionali con i paesi rivieraschi sudamericani.

Le masse d’acqua, inoltre, hanno un fondamentale funzione termica, assorbendo più del 90% del calore in eccesso, che viene immagazzinato negli oceani e lentamente “restituito”, contribuendo alla stabilità climatica. Senza questa importante funzione il nostro pianeta sarebbe molto più freddo e la vita sarebbe impossibile. Tuttavia, per dirla in maniera semplice, il calore accumulato dagli oceani negli ultimi anni è molto superiore alle capacità di dissipazione e ciò sta causando una elevatissima mortalità degli organismi marini in tutti gli oceani, comprese importanti specie che formano gli habitat costieri, come coralli, spugne, gorgonie e alghe marine, che contribuiscono in modo determinante alla struttura e al funzionamento degli ecosistemi, fornendo cibo e riparo a molte specie che, altrimenti, non potrebbero sopravvivereiv.

Come abbiamo visto l’impatto di un mare “depresso” non è, quindi, solo biologico ma anche economico, in quanto la perdita di questi habitat favorevoli comporta la diminuzione del pescato.

La perdita di fauna ittica, inoltre, colpisce le popolazioni locali, in maniera più grave quelle che vivono in territori con problemi di siccità e di povertà. Per sopravvivere queste sono, quindi, costrette a rivolgersi verso altre fonti di sopravvivenza economica non sempre legali, come il contrabbando e la pirateria. Inoltre, le condizioni di disagio sociale favoriscono il fenomeno della migrazione clandestina, spingendo questi disperati verso aree ritenute più socialmente favorevoli. Si innesca, quindi, un circolo vizioso in cui i problemi ambientali creano problemi economici e politici che costringono altri paesi (da soli o inseriti in dispositivi multinazionali) a impegnarsi per rendere sicure le linee di comunicazione marittima, indispensabili per garantire ben il 90% del commercio mondiale. Impegno oneroso che, a sua volta, incide sui bilanci nazionali (leggi articolo “L’instabilità africana e le sue conseguenze geopolitiche”).

Sotto il profilo meteorologico, non trascurabile l’effetto che la crescente temperatura comporta a livello di maggiore evaporazione delle superfici marine. Ciò fa aumentare la quantità di energia e umidità in atmosfera, che causano fenomeni meteorologici più “aggressivi” e talvolta estremi, anche laddove fino a qualche decennio fa non esistevano. Il risultato è la comparsa di uragani e tifoni, con forti piogge e inondazioni, in aree impreparate a questi fenomeni, che causano morti e danni gravissimi su vaste aree del territorio colpito. Non è un caso, infatti, se da qualche anno nel Mediterraneo si stanno formando fenomeni finora inusuali di cicloni tropicali intensi, denominati “Medicane” (Mediterranean hurricane).

Coprendo una vastissima area della superficie terrestre, i mari custodiscono anche tesori di inestimabile valore. Non mi riferisco solamente alle enormi riserve di gas naturale e idrocarburi, con tutte le implicazioni economiche e politiche che il loro sfruttamento comporta. Mi riferisco anche al patrimonio storico-archeologico ancora custodito sui fondali marini, in particolare del Mediterraneo.

In tale ambito la Marina Militare conduce, in concorso con il Ministero dei beni archeologici culturali e del turismo (MIBACT), specifiche campagne per la ricerca archeologica subacquea e la conservazione dei reperti sommersi. Si tratta di attività altamente specialistiche volte a localizzare e ispezionare i siti archeologici subacquei e i relitti di interesse storico. È una collaborazione estremamente importante che dura da decenni, proprio grazie alla capacità di esplorazione dei fondali marini offerte da unità estremamente sofisticate e specializzate quali Cacciamine e Navi Idrografiche della Marina Militare. Una componente specialistica che, sotto il profilo militare, è importante per assicurare, in concorso con le altre componenti della Marina, la vigilanza e la protezione delle indispensabili linee di approvvigionamento di gas naturale e delle linee subacquee di comunicazione informatica (leggi articolo “Mediterraneo, un mare di crescenti opportunità e tensioni”).

Conclusioni

L’area ricoperta dai mari e dagli oceani rappresenta oltre il 70% della superficie terrestre. Si tratta di una sottile “pellicola” di rivestimento, se pensiamo che ha una profondità massima di poco oltre gli 11 km, lo 0,17% del raggio terrestre medio (6.371 km). Tuttavia, questo strato d’acqua liquida superficiale ha una enorme importanza economica, sociale e strategica. I rilevanti rischi ambientali, non solo correlati al surriscaldamento del pianeta ma anche al suo livello di inquinamento, hanno importanti conseguenze, come ricordato, in termini di biodiversità e innalzamento del livello dei mari.

In tale ambito, l’Alto mare rappresenta quasi i due terzi degli oceani. Per molto tempo è stato messo in secondo piano nelle battaglie ambientali, a vantaggio delle zone costiere. Tuttavia gli oceani, minati da crisi climatica, inquinamento e pesca indiscriminata, producono la maggior parte dell’ossigeno che si respira, limitano il cambiamento climatico assorbendo la CO2 e ospitano ricche aree di biodiversità addirittura ancora sconosciute. L’accordo delle Nazioni Unite prima citato dovrebbe finalmente consentire di proteggere tutto questo, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Rimane, infatti, ancora da vedere quali e quanti Stati ratificheranno il Trattato.

La tutela dell’ambiente marino, come abbiamo visto, ha enormi implicazioni geopolitiche per diverse ragioni. La prima di queste è la presenza di rilevanti risorse naturali. Il mare è, infatti, un’importante fonte di approvvigionamento di pesce, petrolio e gas naturale per molti paesi. La protezione dell'ambiente marino è essenziale per lo sfruttamento sostenibile di queste risorse e per garantire la loro disponibilità per le future generazioni.

I mari del mondo sono poi l’autostrada lungo la quale si sviluppa il 90% del commercio internazionale. La protezione dell'ambiente marino è, quindi, essenziale anche per garantire la sicurezza dei trasporti marittimi ed evitare che alcune popolazioni rivierasche, per i motivi prima accennati, minaccino la continuità degli approvvigionamenti. È poi indubbio che gli sforzi che gli armatori stanno facendo comportano significativi impegni economici per il raggiungimento di standard più elevati per ridurre drasticamente l’impatto di questo “intenso” traffico commerciale globale. Ma ciò dovrà necessariamente essere fatto con un approccio concreto e pragmatico, tenendo in dovuto conto tutti i fattori coinvolti, non solo la volontà di avere meno emissioni complessive. Mi riferisco a un approccio intelligente ai combustibili per le navi, che affronti il problema dell’emissione di gas in modo pratico e realistico. Mi riferisco anche a sempre più efficaci regole e sistemi di sicurezza che permettano di ridurre al minimo il pericolo di incidenti con fuoriuscita di idrocarburi o altri materiali inquinanti.

La questione della protezione dell’ambiente marino coinvolge anche la politica internazionale, poiché le attività che avvengono in un paese possono avere effetti significativi su altri paesi. Per esempio, l’inquinamento prodotto o le emissioni di CO2 in un paese possono causare l'acidificazione delle acque (ZEE) dei paesi confinanti o anche oltre, con tutte le intuibili implicazioni.

Ultima, ma non ultima, la sicurezza nazionale. La protezione dell'ambiente marino è, infatti, anche essenziale per la sicurezza dei paesi. La pesca, per esempio, è un’importante fonte di cibo e reddito per molte comunità costiere. La protezione delle zone di pesca è, quindi, essenziale per garantire la sicurezza alimentare e la stabilità della propria popolazione. Inoltre, la protezione dell’ambiente marino é essenziale, come é stato ricordato, per la prevenzione del terrorismo marittimo e della pirateria. A ciò si aggiunge la capacità di proteggere le infrastrutture subacquee sensibili, che assicurano l’approvvigionamento di risorse energetiche o i collegamenti informatici, su cui “viaggiano” le transazioni internazionali (leggi articolo “Spazi marittimi e sicurezza internazionale”).

In tale ambito, la ricerca scientifica assume certamente un ruolo fondamentale per monitorare e studiare forme di adattamento e di contenimento del cambiamento climatico e delle sue ripercussioni globali. Ma anche per sensibilizzare, attraverso dati scientifici e non tramite squinternate ideologie, le popolazioni, gli imprenditori, gli armatori e i governi del mondo a fare quanto in loro potere per rendere meglio abitabile questo nostro pezzo di acqua e roccia in perenne navigazione nello spazio.

Con una situazione così complessa, va sottolineato con forza che l’Italia non sta a guardare, mettendo in campo le sue competenze tecnologiche e professionali, con la volontà di recitare la sua parte. In questo settore va riconosciuto che il nostro paese ha messo in atto concrete azioni la cui efficacia è riconosciuta a livello internazionale.

La tutela dell'ambiente marino e costiero deve essere, infatti, uno degli obiettivi strategici da perseguire con convinzione e costanza, sia per la ricchezza del patrimonio naturalistico e storico nazionale, sia per i rilevanti interessi sociali ed economici coinvolti nella valorizzazione e nella fruizione delle relative risorse. In tutto questo dobbiamo convincerci che la tutela dell’ambiente marino non è compito devoluto a pochi attori del settore, ma è un dovere che ci riguarda tutti, dai governanti (che ne hanno la responsabilità principale) ai cittadini.

A partire dalla tutela dell’ecosistema e delle specie ittiche, per arrivare alla protezione del patrimonio archeologico subacqueo. Sotto le acque del Mediterraneo giace, infatti, un vero e proprio museo sommerso che, ogni tanto, ci restituisce veri e propri tesori. E non si parla solo di relitti di navi, anfore, vasi, contenitori, monete antiche o suppellettili, ma anche di veri e propri tesori d’arte, come testimoniato per esempio dalle due statue ritrovate a Riace anni fa.

Le competenze maturate nel recupero di questi tesori non si fermano alle opere d’arte ma, come detto, si esprimono anche in capacità professionali e tecnologiche di protezione delle infrastrutture sensibili come i gasdotti, come le linee subacquee di comunicazione telematica.

La protezione dell’ambiente marino, quindi, va intesa a tutto tondo non solo come la protezione degli ecosistemi o delle nostre radici storiche, ma come la protezione delle nostre necessità più immediate, come l’alimentazione, e dei nostri interessi nazionali a più ampio spettro.

Unitamente alle iniziative di tutela del patrimonio marino è fondamentale, inoltre, la capacità di vigilanza e controllo. Ai politici spetta, di conseguenza, l’onere di non far mancare i necessari strumenti per l’assolvimento della missione da parte di chi opera sul mare.

L’Italia, non smetterò mai di scriverlo, è una nazione profondamente protesa verso il mare, anche se talvolta qualcuno lo dimentica, e il mare per noi deve essere sempre più al centro delle nostre riflessioni geopolitiche, economiche e strategiche, se veramente vogliamo tutelare adeguatamente la nostra economia e ambire a ricoprire un ruolo nella gestione delle enormi risorse naturali presenti in mare.

i Roberto Danovaro, Biologia marina. Biodiversità e funzionamento degli ecosistemi marini, Utet, 2019

ii La forza di Coriolis è una forza fittizia osservata nei sistemi non inerziali in rotazione, che agisce sui corpi in moto rispetto al sistema di riferimento non inerziale e che ha l’effetto di far deviare i corpi da una traiettoria rettilinea. È, in estrema sintesi, funzione della massa della particella, della velocità a cui si muove e della velocità angolare del sistema non inerziale, misurata rispetto a un sistema inerziale.

iii Roberto Danovaro, Biologia marina. Biodiversità e funzionamento degli ecosistemi marini, Utet, 2019

iv Andrea Mucedola su www.ocean4future.org

Foto: U.S. Navy