Stop all’export di armi all’Arabia Saudita. Un commento

(di Filippo Del Monte)
01/02/21

L’azienda RWM Italia S.p.A. ricorre contro la decisione del governo di sospendere l’export di armamenti verso l’Arabia Saudita. La decisione presa qualche giorno fa dall’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento (UAMA) del Ministero degli Esteri non è stata presa bene dalla dirigenza dell’azienda di Ghedi. L’amministratore delegato di RWM Fabio Sgarzi ha parlato di provvedimento “ad aziendam” e di un precedente grave con l’interruzione di contratti in vigore da anni che deve mettere in allarme l’intero comparto dell’industria della difesa.

Parole che si devono per forza condividere anche perché, se l’analisi dovesse essere di tipo meramente economico ed occupazionale, vietare le esportazioni ad una azienda che – come la gran parte del settore industriale militare – è proprio sul mercato estero che basa la sua sopravvivenza e per giunta in periodo di crisi economica dovuta alla pandemia (ma in sostanza strutturale) può apparire come un provvedimento profondamente lesivo.

Dal punto di vista politico la questione è ancora più grave perché porta alla luce ancora una volta le strambe commistioni tra politica interna, o meglio giochi di potere, e politica estera che hanno sempre minato gli interessi nazionali italiani. L’atto della UAMA, arrivato proprio in concomitanza della presenza di Matteo Renzi alla “Davos del deserto” in Arabia, potrà essere stato una semplice coincidenza. Eppure le parole del sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano (M5S) che ha evocato il conflitto d’interessi dei politici italiani, con accenni palesi alla carica ricoperta da Renzi nel board della Future Investment Initiative del principe saudita Mohammed Bin Salman, hanno avuto il sapore dell’imboscata condotta dai grillo-contiani contro i “dissidenti” di Italia Viva.

Attualmente il governo Conte è in carica solo per il disbrigo degli affari correnti, cioè per l’ordinaria amministrazione, ma il provvedimento della UAMA con il quale viene sospeso l’export – o meglio, viene ampliato il perimetro normativo di quanto era vietato esportare dopo l’atto emanato dal governo gialloverde nel 2019 – di armi all’Arabia Saudita è un atto d’indirizzo politico e dunque una decisione strategica che un esecutivo dimissionario non avrebbe dovuto prendere.

La “Rete per la Pace e il Disarmo” parla di "decisione storica" del governo italiano, condizionata dalla "pressione della società civile" ma queste sono dichiarazioni “pro forma”, che non leggono la scelta di Conte e Di Maio con le lenti della politica e della guerra per bande in corso nei palazzi romani, perché se la UAMA avesse agito per motivi etici e dunque per “punire” l’Arabia Saudita per la condotta nello Yemen, allora si potrebbero comprendere le parole dei pacifisti; ma il conflitto yemenita è la copertura del “conflitto” romano.

Per ragioni etiche e per la tutela dell’interesse nazionale sarebbe stato più utile (pur restando una scelta inutile sia chiaro) sospendere la vendita di sistemi d’arma ed armamenti all’Egitto che è un diretto concorrente dell’Italia nel Mediterraneo, basti pensare agli schieramenti nella contesa libica o alla condotta delle autorità egiziane nell’intricata vicenda di Giulio Regeni. Il paragone tra Egitto ed Arabia Saudita smaschera le reali ragioni che stanno dietro alla sospensione delle esportazioni di armi a Riyad.

Come già scritto da Difesa Online (v.articolo) esiste una sostanziale differenza tra la scelta del neopresidente statunitense Biden, che ha sospeso la vendita degli F-35 all’Arabia Saudita per “routine amministrativa” e per una inversione strategica “neo-obamiana” nel Golfo (v.articolo), e la presa di posizione di Roma che risponde alle esigenze non dell’interesse nazionale e nemmeno dell’inerzia burocratica ma solo ai propositi dei capiparte del governo dimissionario.

Per danneggiare Matteo Renzi inficiandone la credibilità dinanzi ai suoi contatti internazionali il governo ha finito per ledere, ancora una volta e seguendo un copione ormai conosciuto, gli interessi dello Stato italiano.