L’Europa rafforza il sistema di prevenzione e repressione degli atti di terrorismo internazionale

(di Giuseppe Paccione)
31/01/17

Ormai, anche la vecchia Europa non è più immune agli attacchi terroristici che sono stati perpetrati in questi ultimi tempi non solo da gruppi terroristici sorti dalla caduta di alcuni regimi mediorientali, ma anche dai c.d. combattenti terroristi stranieri – i foreign terrorist fighters.

Al fine di prevenire il terrorismo internazionale nel continente europeo, il Consiglio d’Europa ha deciso di adottare qualche anno fa un Protocollo addizionale da allegare alla Convenzione sulla prevenzione dal terrorismo con l’obiettivo di fronteggiare i combattenti terroristi stranieri, cioè combattenti della jihad ed espressione del c.d. terrorismo molecolare, considerato minaccia per l’imprevedibilità, che comprende sia la figura del lupo solitario, sia del combattente di ritorno dai fronti in cui operano i movimenti del terrorismo islamico. Questo genere di terrorismo è costituito dall’attuazione di determinate operazioni in alcune importanti zone dell’Iraq e della Siria di un movimento terroristico che, pur avendo subito una serie di duri colpi da parte della comunità internazionali attraverso attacchi di velivoli militari di un gruppo di Stati che hanno formato la coalizione a guida statunitense, da una parte, e dallo schieramento della Russia, Turchia e Iran, dall’altra, sta tentando di concretizzare il Califfato, dando vita come primo passo allo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS), che non è stato riconosciuto come soggetto di diritto internazionale da alcun Stato.

Nel contesto internazionale, grazie alla risoluzione n.2178 del 2014 adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, vengono determinati quelli che sono i vincoli giuridici rispetto alla criminalizzazione degli atti preparatori di questa forma di terrorismo. Al fine di fornire una soluzione a quest’importante evoluzione, il Comitato di esperti, strutturato all’interno del Consiglio d’Europa, ha costituito un Comitato che si è occupato di abbozzare un Protocollo da allegare alla Convenzione sulla prevenzione del terrorismo del 16 maggio 2005, che è stato portato al termine nel maggio 2015. Tale Protocollo entra in vigore dopo che sei Stati, di cui almeno quattro membri del Consiglio d’Europa, hanno depositato lo strumento di ratifica, accettazione o approvazione. Sulla medesima onda di frequenza, assieme alla Convenzione del 2005, l’apertura di tale Protocollo addizionale è consentita pure a quei determinati Stati che non sono membri del Consiglio d’Europa.

Composto da 14 articoli, questo Protocollo addizionale ha per primi articoli quelli che riguardano la partecipazione ad un’associazione o a un gruppo, l’atto di ricevere un addestramento, il viaggio all’estero, il finanziamento, l’organizzazione o l’agevolazione di viaggi all’estero - chiaramente intesi per scopi terroristici.

Ciascuno Stato è vincolato ad adottare le misure necessarie per qualificarli come reati nel proprio ordinamento interno e ad ogni Stato viene data la possibilità di stabilire le condizioni richieste, in base ai suoi principi costituzionali, di inibire viaggi all’estero di individui che siano aspiranti terroristi. Tale riferimento potrebbe essere interpretato come una raccomandazione di adottare le misure aggiuntive circa il diniego di entrare o viaggiare dal territorio degli Stati parti, in sintonia con la risoluzione n.2178/2014 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Oltre a mettere a punto questi esempi, nel Protocollo addizionale è stata statuita una rete di punti di contatto fra gli Stati al fine di rendere più saldo lo scambio tempestivo di ogni informazione relativa ai soggetti privati che effettuano viaggi verso l’estero per fini afferenti al terrorismo.

Vi sono infine due forme di tutela giuridica. La prima richiede che sia conforme al rispetto dei vincoli in materia dei diritti della persona, inclusi quelli sanciti nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 e del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1977, oltre agli altri obblighi contenuti nel diritto internazionale generale. La seconda opera nel rapporto tra le parole e le espressioni utilizzate nel Protocollo addizionale, che vengono interpretate ai sensi della Convenzione del 2005.

La necessità urgente di un Protocollo de quo, come strumento degli sforzi regionali per affrontare il fenomeno dei combattenti terroristi stranieri, non può essere ampliato. La Convenzione del 2005 aveva delineato forme diversificate di responsabilità terroristica in termini ampi ma, per casi specifici che sono il modus operandi dei combattenti terroristi stranieri, si potrebbe a malapena trovare un fondamento giuridico nel testo. Il Protocollo addizionale è ad un passo dall'essere accolto e colma le anzidette lacune.

L’impatto del Protocollo sulla cooperazione può essere circoscritto da due fattori. In primis, bisogna vedere in che modo il punto focale contribuisca a facilitare la condivisione dei servizi segreti o intelligence, dal momento che questo è il campo in cui una grande diffidenza resta fra gli Stati. In secundis, il rinvio alla Convenzione del 2005, contenuto nel Protocollo addizionale del 2015, comporta che vengano escluse le attività di forze armate durante un conflitto armato, nel senso dato da questi termini nel diritto internazionale dei conflitti armati o d’umanità dal suo scopo di applicazione. Il rapporto fra il terrorismo e il diritto internazionale dei conflitti armati è tutt’altro che chiaro. Sebbene non ci sia un solo approccio all’applicabilità del corpus delle disposizioni che regolano la condotta delle ostilità rispetto agli atti compiuti dal terrorismo internazionale, tuttavia, non può essere non considerato il fatto gli Stati seguano approcci diversi.

Un ultimo problema è inerente alla possibilità che la tematica sui diritti della persona risulti dalla vasta definizione degli atti preparatori di terrorismo fatti dal Protocollo addizionale. Facendo dipendere l'efficacia da come gli Stati implementano i reati penali nei rispettivi ordinamenti giuridici, la penalizzazione degli atti preparatori del terrorismo può essere in conflitto con le garanzie fondamentali tutelate dalla CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), come il diritto al rispetto della vita privata e familiare o la libertà di riunione e associazione.

Sebbene questa tensione fra giustizia e sicurezza non sia nuova nell’ambito della lotta al terrorismo internazionale, ci si attende che la negligenza politica-giudiziaria della condotta dello Stato contribuisca alla ricerca di un giusto diritto, in un momento in cui il pendulum sia spostato verso la sicurezza delle politiche che hanno come fine la lotta al terrorismo.

(foto: IDF)