Le sorti del Medio Oriente dipendono anche dalla salute di Ankara

(di Antonio Di Muro)
27/10/15

La situazione politica turca, degli ultimi mesi, rischia di aprire una nuova crisi in Medio Oriente. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, non avendo ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento con il partito Akp, ha convocato delle elezioni anticipate per il prossimo 1 novembre.

È possibile individuare una serie di elementi che formano un quadro critico della questione turca. Tre date sono caratteristiche di una strategia della tensione atta a destabilizzare Ankara: il 5 giugno 2015 una bomba esplode durante un comizio del partito filo curdo Hdp, uccidendo quattro persone; il 20 luglio 2015 un attentato suicida uccide trentadue militanti di sinistra nella città di Suruç; il 10 ottobre due bombe esplodono davanti alla stazione ferroviaria di Ankara, provocando 105 vittime, durante una manifestazione pacifista organizzata da gruppi di sinistra, sindacati e partiti dell’opposizione per chiedere che termini il conflitto tra le forze di sicurezza turche e il PKK. Ma il sistema di sicurezza nazionale viene messo a dura prova non solo dagli attacchi terroristici ma dalla presenza di membri dell’ISIL nei territori turchi.

Ultimamente il dipartimento antiterrorismo della Polizia di Istanbul ha arrestato 53 persone di nazionalità uzbeka e tagika. Tra gli arrestati ci sono 24 minori sospettati di essere indottrinati alle regole del gruppo Stato Islamico per essere mandati a combattere in Siria. Secondo i servizi di intelligence dell’Uzbekistan, un numero impressionante di circa 5000 foreign fighters uzbeki combattono sul suolo siriano.

Bisogna precisare che la penetrabilità dei confini turchi con la Siria consente un maggior spostamento delle forze dell’ISIL da e verso la Turchia. Inoltre lo scontro dei separatisti curdi nel sud est del Paese non consente di abbassare i livelli di rischio frammentazione della Turchia. In questo contesto la Turchia deve confrontarsi anche con la stagnazione economica e con la repentina uscita di capitali dal Paese. Siccome Ankara è un membro della NATO ed un alleato degli USA nella lotta all’ISIL, risulta essere non aderente alla strategia militare russa in Siria.

Secondo Ariel Cohen, senior fellow presso il think tank americano Center Global Energy del Consiglio Atlantico, l’accordo tra Russia e Turchia, per la creazione di un gasdotto, è attualmente bloccato. Ariel Cohen riconduce questa conseguenza a due cause: l’intervento russo in Siria e le violazioni dello spazio aereo turco da parte degli aerei di Mosca. È nota la dichiarazione del Presidente Erdogan di minacciare l’abbattimento di qualsiasi aereo non autorizzato nello spazio aereo turco. Un segnale della rottura diplomatica tra i russi e i turchi è riscontrabile dalle dichiarazioni del viceministro degli esteri turco Ali Kemal Aydin che ha ultimamente auspicato il ritorno alla cooperazione per entrambi i Paesi.

Ultimamente una delegazione curdo-siriana del Partito democratico del Kurdistan (Pyd), guidata dal co-presidente Asya Abdullah, è stata accolta a Mosca dai funzionari del ministero degli Esteri russo. Il Pyd rappresenta per Ankara un gruppo terroristico. Il riconoscimento, la collaborazione e l’apertura ufficiale di Mosca verso il Pyd, per combattere l’ISIL, indeboliscono l’alleanza tra la Turchia e gli Usa per la gestione della crisi in Siria. Ma l’avvicinamento dei russi ai curdi dimostra una nuova strategia di Mosca. Attraverso questa collaborazione russo-curda, nell’ipotesi che Erdogan perda le prossime elezioni, la Russia spera che il futuro leader della Turchia possa instaurare dei validi rapporti politici e commerciali con Mosca. Non va dimenticato che l’indebolimento della Turchia potrebbe indirettamente rendere fragile la NATO, che ha bisogno di un valido vigile ed osservatore del Mar Nero in piena crisi della Crimea.

La Turchia è un Paese di minoranze: cristiani (armeni, greci, assiro-caldei); ebrei; musulmani non turchi (curdi, lazi, arabi). Nel caso in cui lo Stato crolli nel caos, tali minoranze potrebbero chiedere rivendicazioni territoriali e la conseguente frammentazione renderebbe più difficile la messa in sicurezza di tutta l’area mediorientale. In questa eventualità le forze curdo-siriane e curdo-irachene, che controllano attualmente le vaste zone del Nord della Siria e del Nord dell’Iraq potrebbero riunirsi con le minoranze in Turchia, per creare una sola regione curda ed aspirare ad una propria autodeterminazione.

Qualunque sia il risultato delle prossime elezioni del 1 novembre, la Turchia avrà bisogno di un governo stabile, che abbia la piena fiducia del parlamento, capace di garantire un programma efficace per il Paese, ma soprattutto di creare un clima di distensione sul territorio nazionale. Le sorti del Medio Oriente dipendono anche dalla salute di Ankara.

(foto: Turkish Armed Forces)