Gatti, volpi e alberi degli zecchini

(di Gino Lanzara)
08/09/22

Mentre le elezioni si approssimano, si avvicina la scadenza dell’approvazione di una legge di bilancio quanto mai insidiosa. Pecunia non olet, anzi profuma intensamente per qualunque soggetto politico percepisca nella sua essenza la trama che lega scontro, economia e potere. A cominciare da Adam Smith, gli economisti che hanno concettualizzato la gestione dei conflitti sono stati diversi; non a caso la Teoria dei Giochi, applicata alla deterrenza nucleare, rientra negli impieghi dei modelli economici dedicati all'analisi strategica, malgrado la razionalità economistica tenda a scontrarsi con passioni ed emozioni che Clausewitz accoppia a caso e ragione.

Da dovunque lo si guardi l’aspetto economico è pervasivo: è di queste ultime settimane il caso Financial Times1 con la speculazione sul debito italiano e l’attacco ai Btp, motivato da una campagna elettorale che riverbera l’immagine di un Paese esposto al rischio di rialzo dei tassi Bce. Mentre gli hedge funds speculano viene messa in discussione la capacità di ripagare le pendenze, cosa che rende le obbligazioni italiane più costose per effetto sia dell’inflazione sia dei vacui intendimenti degli schieramenti circa il taglio del debito2.

Insomma, a fronte di un’economia che poche settimane fa festeggiava un PIL in crescita, i fondi scommettono sull’incertezza politica che sovrasta i rincari energetici, sulla dipendenza da Gazprom, sull’insufficienza delle alternative energetiche nordafricane, sul mancato intervento dello scudo anti spread della Bce, sull’impossibilità di emettere nuovo debito; intanto gli investitori puntano sull’affanno nel ripagare il debito, cosa che determinerà il calo della domanda di titoli3.

Fondamentale il ruolo delle agenzie di rating, che esercitano un’influenza geopolitica e geoeconomica su relazioni interne ed estere. L’eccesso di finanziarizzazione dell’ultimo ventennio, quindi di debito, pubblico o privato che sia, ha depresso gli investimenti, incentivato le speculazioni e reso fragili le società civili; il tasso di crescita del credito ha oltrepassato quello dell’economia reale, permettendo ai vari esecutivi di accendere prestiti per finanziare il deficit coinvolgendo famiglie ed imprese: è il mercato che decide il valore delle valute, mentre il potere economico globale guarda ad una Cina inflessibile quanto a ristrutturazione dei debiti e pagamento degli interessi.

In questo contesto variegato e mutante, entro dicembre, il Parlamento italiano prossimo venturo dovrà approvare disposizioni di bilancio inquadrate in un sistema finanziario sovraesposto e vulnerabile in quanto a capacità di rimborso, avendo sullo sfondo la tempesta perfetta che si sta abbattendo sui paesi in via di sviluppo4, con fuga di capitali, inflazione, tassi di interesse e debito in aumento.

Il quadro si completa con l’arrivo ormai certo di una recessione globale, difficilmente stimabile in termini di durata. Sicuramente non sarà breve; del resto stigmatizzare una recessione causerebbe imbarazzi a Pechino, dove la crisi induce i lavoratori ad accumulare risparmio e ad intraprendere un clamoroso sciopero dei mutui5: Xi ha chiuso i rubinetti del credito sperando di contenere un malcontento foriero di provvedimenti impopolari e drastici che sconfesserebbero la politica monetaria espansiva fin qui adottata, mentre si pensa alla transizione da paese esportatore a potenza economica con focus interno.

Le sanzioni conseguenti all’invasione dell’Ucraina stanno portando la Russia ad una recessione lunga e profonda che prospetta tre scenari: una contrazione in accelerata l’anno venturo, con il ritorno a livelli economici prebellici solo (e forse) per la fine del decennio; un quadro inerziale con l’economia a fondo (-8,3%) l’anno prossimo; un panorama stress per il 2024 con il 12% in meno rispetto ai livelli del 2021.

Checché se ne dica il sistema economico russo viaggia verso la paralisi, con limiti finanziari e tecnologici che incrementano la pressione evidenziando l’inesistenza di politiche economiche espansive unitamente ad una mancata differenziazione delle attività produttive energetiche. Il rublo, moneta di un’economia di fatto marginale, ha bisogno di tempo (e non solo) prima di poter aspirare a diventare valuta davvero stabile e resistente a shock esogeni e problemi strutturali riconducibili ad una perdurante stagnazione6 con calo dei redditi ed aumento delle spese militari.

Anche l’economia a stelle e strisce è in recessione tecnica7, con un secondo trimestre consecutivo in contrazione e caratterizzato da inflazione e (ancora!) forti sofferenze in ambito immobiliare con mutui troppo costosi; nell’Indo Pacifico ecco la decrescita al 4,2% determinata da aumento dei tassi di interesse americani e rallentamento degli investimenti cinesi. È utile ricordare come incertezza politico commerciale, sfibramento delle supply chain, inasprimento delle politiche fiscali ed inflazione ritarderanno la ripresa economica del continente asiatico ancora alle prese con la pandemia.

Ma è la guerra, con i suoi risvolti economici, che richiama ad un’attenzione più stringente. L’apparato sanzionatorio occidentale ha determinato la risposta strategica russa sulle forniture di gas e petrolio; ogni Paese dovrà adattare le proprie politiche in funzione dell'accumulo di shock causati dall’incertezza che coinvolge produttori e consumatori, includendo esportazioni limitate, stoccaggi più elevati, sostegno dell'aumento della produzione interna, razionamento; insomma, spese maggiorate, dove si impone la valutazione della possibile adozione dell’onshoring o del reshoring, con aumento dell’inflazione8, avendo di fronte la strategia di un Paese, la Russia, che autoprivatosi della sua picciola prosperità si balocca con missili e armi nucleari.

Facciamocene una ragione: l’Occidente, con i suoi ritardi ed i suoi innegabili e(o)rrori politici, solo ora colpevolmente presta credito ad una tassonomia energetica che ha riabilitato il nucleare, e che dona all’UE la poco invidiabile chance di scegliere quale sberla prendere prima, se quella della prossima ondata di Covid, o quella di un’epica randellata energetica che, solo in Italia, metterà in ginocchio non meno di 120.000 imprese9.

Sarebbe interessante sapere quando Confindustria ed esecutivo italiano hanno avuto reale cognizione di come e quanto le quotazioni del gas fossero fuori controllo al Dutch Market (gas) di Amsterdam. Un po’ tardi ora, ce n'est pas vrai?

La realtà è entrata a Palazzo, bisognerà farsene una ragione. State comodi però; mica è finita: torniamo alla legge di bilancio con tutte le sue articolazioni, Difesa compresa. Please, non dimenticate quanto letto finora: fa parte del gioco.

Tutto ha un costo, com’è ovvio, anche la produzione della sicurezza, prerogativa esclusiva dello Stato. L’accettabilità (pillola amarissima) di una spesa deriva da utilità e convenienza (dolce indoramento della pillola amarissima) del bene o servizio da acquisire; una leggenda mal diffusa da tempo vuole che le spese militari, keynesianamente, producano crescita economica. Cosa discutibilissima, visto che la prima vittima del trend è lo sviluppo e che la relazione tra i due fattori è inconsistente tranne alcuni sporadici casi. Che consumi ed investimenti militari confluiscano nel calcolo del PIL, ovvero nel military burden, è vero, ma è altrettanto vero che tasse e debito pubblico avrebbero potuto alimentare altri settori, come formazione del capitale umano dalla scuola primaria fino all’università (dove il Paese rimane indietro), e sanità.

Attribuendo a Keynes propositi che non ha mai espresso10, si è assunta creativamente l’idea che, per mezzo del suo moltiplicatore, per effetto dell’incremento della spesa militare, potessero generarsi ricadute positive sull’intera economia grazie ad una politica fiscale espansiva capace di incrementare il reddito nazionale: l’evidenza ha sconfessato che tale spesa agevoli lo sviluppo economico, visto che i fattori da considerare sono molteplici11, e non limitabili al PIL12 peraltro composto da elementi interagenti.

Un’economia caratterizzata da significative spese militari, sul lungo periodo rischia di non essere sostenibile dal punto di vista fiscale, data la necessità di ricorrere ad un forte indebitamento. In termini di ricerca un ipotizzabile vantaggio militare si riduce laddove il pregio degli asset risulta qualitativamente inferiore rispetto ai beni che, sviluppati in ambito privatistico, beneficiano di una domanda più estesa.

In sintesi, le attività produttive aumentano il benessere generando ricchezza, quelle improduttive bruciano solo risorse. Il keynesismo militare, dunque, non innesca effetti moltiplicativi della crescita del reddito: il warfare è una cosa, il welfare un’altra, come la valenza di sanità ed istruzione rimane incomparabile specie sul lungo periodo.

Ad esempio la R&S militare non permette l’individuazione della ricaduta economica delle conoscenze acquisite, vista la concorrenza limitata a poche imprese indirizzate su un unico acquirente che gestisce le forze competitive. Di fatto, i prodotti venduti raramente trovano utilizzo in forma non modificata in ambito civile, non contribuendo quindi ai miglioramenti della produttività; tutto questo a meno che non si passi all’effettiva (e finora carente) comprensione dello spin-off13 indirizzato a un dual use che produca tecnologie con applicazioni sia per usi civili che militari. Rubacchiando a Dante, si può dire che la R&S richiede tanta virtute e molta canoscenza, una mina vagante ed innescata.

Il problema in America è stato avvertito già da tempo, tant’è che per l’ambito militare è stata coniata la specifica espressione di complesso militare industriale, amplificata nel 1961 dal discorso di commiato del presidente Eisenhower che, pur evidenziando i rischi insiti nell’espansione di tale complesso, non ha tuttavia potuto evitare il sistema della porta girevole tra industria ed organismi governativi14.

Che l’impresa sia privata o a partecipazione statale poco importa: i profitti vanno massimizzati sia in patria che con le esportazioni; il problema si pone laddove gli interessi strategico-politici dello Stato e quelli finanziari imprenditoriali confliggano. Ma è così rilevante che, come in Italia, la proprietà pubblica delle società di armamenti permanga? Sembra proprio di sì, se si considera il golden power invocato ultimamente dal governo a tutela di interessi tecnologici nazionali assurti al ruolo di oscuri oggetti dei desideri cinesi.

Il problema va magari posto in altri termini, ovvero: lo stesso sistema d’arma prodotto da A, è più o meno costo-efficace rispetto a quello prodotto in casa da B? Se così fosse, forse si sdoganerebbero fondi utili per altre funzioni prettamente welfare.

Posto comunque che la sicurezza è imprescindibile, e che studi recenti confermano l’effetto negativo delle spese militari sulla crescita, il compito di ogni Stato dovrebbe consistere nel bilanciare la spesa stessa provvedendo agli investimenti del welfare; estremizzando, si ripropongono i consueti refrain che impongono o la scelta tra burro (beni produttivi civili) e cannoni (risorse improduttive), o l’opzione tra il comportamento da free riding, che sfrutta l’aumento delle spese alleate come utile coperta per le proprie necessità altrimenti insolute, e la dinamica leader/follower.

Tanto per intendersi: la mancata partecipazione al pagamento delle quote NATO pari al 2% del PIL richiama alla memoria la tecnica del rigatino15 in Amici Miei. Secondo il 5° corollario della Legge di Murphy, lasciate a sé stesse le cose tendono ad andare di male in peggio, ed è in quest’ottica che, guardando alla legge di bilancio ancora in mente legislatoris, non possiamo non tenere conto di diversi elementi; il primo riguarda nel 2020 il drammatico salto indietro del livello del PIL, indicativo sia della più grave contrazione in tempo di pace dal 1861, sia dell’attestazione di una crisi che si trascina dagli anni ’90.

Tenuto conto che la politica economica è quell’insieme di precetti e piani d’azione sulla base dei quali il governo cerca di conseguire i suoi principali obiettivi, ovvero: efficienza, equità, stabilità, crescita, sembra evidente che qualcosa sia andata storta.

Il secondo elemento riguarda il fatto che teorie e politiche della crescita fanno riferimento sia a fattori strettamente economici (osservabili e analizzabili), sia a elementi extra-economici e istituzionali (spesso di difficile comprensione logico-razionale); è inevitabile che l’Italia debba pagare il prezzo del ritardo rispetto ai principali paesi in termini di capacità di innovazione, capitale umano e frammentazione del sistema produttivo. Allora il problema è qui, posto che l'entità delle spese per la difesa è limitata dalle condizioni della finanza nazionale associate a percezioni culturali più o meno radicate e negative. Che il conflitto ucraino abbia reso comprensibile la necessità della deterrenza non è certo, viste le diatribe in corso; che a buon senso sia necessaria non v’è dubbio, tenendo tuttavia conto che l’incremento delle spese militari, in presenza di un debito così ingente, non può che essere graduale.

Il problema è tuttavia ancora politico, vista la disforia che nei mesi scorsi ha portato la Commissione Difesa a presentare un OdG al DL Ucraina volto ad impegnare il governo ad onorare gli impegni NATO nel corrispondere la quota del 2% (famous last words), salvo poi soccombere a seguito di polemiche interne alla Commissione stessa, promosse peraltro da rappresentanti della maggioranza.

Siamo onesti, a queste condizioni parlare di Keynes è surreale. Del resto, secondo Edward Aloysius Murphy, se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo.

Pensiamo positivo. Considerato che il pensiero keynesiano andrebbe contestualizzato a circa un secolo fa, il problema politico e non economico riguarda produttività ed organizzazione attuali non riferite ad un dopoguerra o ad un post terremoto caratterizzati da intense attività ricostruttive.

Visto che il guadagno politico viene dall’elettorato, la soluzione di fondo risiederebbe (il condizionale è d’obbligo) nello spendere meglio, con maggior logica, e tenendo conto del fatto che l’economia, pur crescendo, non sempre si sviluppa presentando diffuse diseguaglianze.

Del resto Flaiano diceva che in Italia la situazione politica è molto grave, purtuttavia non è seria. Se lo diceva lui...

1 Il FT ha pubblicato i dati raccolti da S&P Market Intelligence, in base ai quali nel mese di agosto i funds hanno preso in prestito debito italiano per no n meno di 39 miliardi di euro.

2 Circa 2.756 miliardi di euro

3 La previsione di un aumento dei rendimenti innalzerà i prezzi, inversamente proporzionali al ribasso e gli hedge funds potranno comprare titoli da restituire a un prezzo più basso, incassandone la differenza.

4 Vd. Sri Lanka

5 I cittadini rifiutano di pagare le rate dei mutui di alloggi che non vengono loro consegnati

6 La Russia ha un’economia equivalente a quella spagnola, con un reddito pro capite pari ad un terzo di quello tedesco

7 Limitarsi alla sola analisi del PIL potrebbe essere riduttivo; vanno considerati anche altri indicatori come occupazione, produzione industriale e vendite all’ingrosso e al dettaglio.

8 Offshoring, è il trasferimento da parte di un’impresa di un processo aziendale da un paese all’altro; l’onshoring prevede l’internalizzazione delle attività; Il reshoring è l’opposto dell’offshoring ed è un fenomeno economico che consiste nel rientro delle aziende che in precedenza avevano delocalizzato le attività.

9 Confindustria

10 Per quanto riguarda la guerra, in How to pay for the war, Keynes nel 1940 sostenne che per finanziare le spese militari si potesse ricorrere sia al prelievo fiscale che ad uno specifico sistema di differimento delle paghe

11 capitale umano, tecnologia, produttività, capacità pregio e funzionalità istituzionali

12 Il PIL è dato dalla somma di consumi, investimenti, acquisti pubblici ed esportazioni nette; la produzione di un paese deve quindi essere uguale alla spesa sostenuta per il suo acquisto.

13 Campo derivato-derivativo

14 manager che ottengono alternativamente contratti nell’amministrazione pubblica e nell’industria militare

15 Il Conte Mascetti in Amici Miei indossata una giacca da cameriere e fintosi tale fugge dall’albergo evitando di pagarne il conto.

Foto: web