Il suicidio dell'Europa?

(di Gino Lanzara)
01/04/20

La corrente pandemia, accompagnata da un’infodemia1 che contribuisce ad aumentarne la paura o ad attribuirne la colpa della diffusione, ha suscitato ovunque una serie di reazioni variamente interpretabili, e che fanno apparire come di un’altra epoca storica lo strike contro il generale Soleimani. Come sempre cercheremo di darne un quadro analitico, avendo presente l’assunto di Carl Schmitt per cui era necessario che lo Stato fosse in grado di compiere atti eccezionali e non meramente ordinari, e nella flebile speranza che venga compreso al netto dei rigidi convincimenti ideologici. Una prima conseguenza è quella che riguarda la ricaduta politica nei vari teatri.

Si stanno delineando evoluzioni che, da un lato, potrebbero favorire stati di sorveglianza pervasiva, da altri potrebbero agevolare sia politiche nazionaliste sia la necessità di giungere ad una più sentita necessità di trasparenza verso quelli che vengono percepiti come dei fallimenti governativi nell’affrontare l’emergenza, specie (ma non solo) in aree di conflitto che vedono rischi ingigantiti dalla carenza di strutture sanitarie.

In Iraq, Tailandia, Hong Kong, Libano, Algeria, nonostante le restrizioni, le proteste hanno dilagato per poter ottenere una revisione degli accordi tra governo e parti sociali. La Cina, come accaduto per l’emergenza SARS del 2003, beneficerà molto probabilmente dell’appoggio delle classi medio-alte per maggiori controlli politico-pubblici; in Iran la pandemia ha ampliato la frattura tra popolo e governo, già messo alla prova dalla reticente omertà mostrata relativamente agli eventi che hanno portato all’abbattimento di un jet di linea ucraino ed alla mancata quarantena della città di Qom, e ha amplificato gli effetti delle sanzioni USA.

Gli elementi che hanno maggiormente colpito nell’evoluzione del contagio sono diversi: la dolosa carenza comunicativa cinese, e la labilità delle informazioni russo-turche, soggette ad un regime censorio difficilmente applicabile in occidente; la mancanza di un efficace coordinamento tra Paesi, ciascuno volto a forme di contenimento più o meno restrittive delle libertà personali; un’estrema debolezza delle istituzioni internazionali, comunque condizionate, come in Europa, dalla subordinazione all’esclusività delle competenze nazionali; l’incompatibilità dell’apertura dei confini con la pervasiva aggressività di un virus che non dà alcuna importanza alle necessità commerciali della libera circolazione; la prossima recessione economica mondiale che necessita di essere affrontata con misure affini a quelle del tempo di guerra, tralasciando gli aspetti liberisti per permettere un inevitabile aumento del debito pubblico, data la diminuzione dei consumi e la riduzione dell’offerta, ed auspicando maggiore flessibilità e disponibilità ad un reiterato Quantitative Easing, vista anche la contrazione dei traffici marittimi internazionali.

A ciò vanno aggiunte le aberrazioni politiche e religiose interne a diversi Paesi, che hanno condizionato i primi e fondamentali interventi di contenimento del contagio senza apparentemente indurre ad alcuna riflessione sulla tenuta di servizi sanitari già di per sé deficitari, che hanno permesso all’Ayatollah Khamenei di definire la pandemia come una benedizione di Allah volta a punire i Paesi antagonisti; basti pensare (e non solo) all’Iran, che ha giustificato il basso flusso elettorale con un intervento americano, e che teme che il virus lo possa privare dell’influenza conquistata in Iraq e Libano.

Inimmaginabile per il regime degli Ayatollah, già in crisi di credibilità, chiudere Qom, oggetto di pellegrinaggio a fine anno di studenti cinesi di teologia e sede di un santuario ritenuto miracoloso per le guarigioni, ma evidentemente non così tanto da consentire la preghiera del venerdì proibita in tutto il Paese; inaccettabile fermare attività economiche con la Cina gestite dai Pasdaran, anche dopo l’esplosione dell’epidemia.

In UK le reazioni sono state contraddittorie, mentre in USA si è immediatamente profilato il rischio concreto di una recessione in grado di inibire le chances elettorali repubblicane e di colpire di conseguenza la sicurezza di Israele, impossibilitato fin d’ora a dar seguito al programma pluriennale TNUFA2 per il supporto alle attività su più fronti di Tsahal; per Trump un altro uragano Katrina, sospinto dalle critiche elettorali democratiche avverse al liberismo dell’attuale amministrazione che punta al senso di coesione e di sostegno al Presidente, storicamente sempre presente nei momenti di crisi.

Da segnalare l’Arabia Saudita, in cui il virus non ha impedito a Bin Salman di accantonare dissidenti di alto rango, e di continuare ad ingaggiare il confronto con la Russia per quanto concerne la produzione petrolifera.

Che la pandemia abbia innescato una guerra cognitiva si è reso evidente nel corso della sua evoluzione, specialmente con i tentativi di scaricare responsabilità da un Paese all’altro, passando talvolta (perché no?) per il sempre presente complotto ebraico, e danneggiando sia la coesione interna che le relazioni tra Stati, grazie anche all’incolpevole aiuto offerto dai media, costretti a garantire frenetici flussi di informazioni che, tra l’altro, hanno amplificato il soft power dei vari egemoni, interessati a rendere più stabili i rapporti con Paesi che, in funzione di mutui interessi economici futuri, riescano a contenere il contagio.

La Cina, che dovrà ripensare sia ad una difficile riabilitazione internazionale ed alle interconnessioni internazionali e strategiche della BRI3, sia a sostenere le attività di livello piccolo e medio a fronte di un rallentamento economico, ha subito per prima pesanti ripercussioni sociali ed economiche che, globalmente, non hanno potuto non coinvolgere né l’area asiatico-pacifica, né tanto meno il resto dei mercati mondiali; l’importanza di alcuni settori ora sviluppati in Cina, come quello tecnologico e farmaceutico, hanno già indotto gli USA, per la prima volta non in prima linea nella gestione della crisi ma unicamente attenti al loro fronte interno, a rivedere la politica produttiva, ed a cercare di riportare in patria capacità ora più che mai necessarie. L’EU, intanto, rimane senza una soluzione politica condivisa e con profonde spaccature tra Paesi, cosa che pone seri dubbi sulla sua tenuta, viste anche le reazioni determinate dalle affermazioni della Presidente della BCE, che gettano ulteriori ombre su risvolti economico finanziari sempre più critici.

In Europa il virus ha attecchito, per poi propagarsi, non solo per effetto delle dinamiche biologiche, ma anche per l’evidente impossibilità di considerare il Vecchio Continente quale un’unica entità politica e sociale. I reportage da Bruxelles, in questo senso, colpiscono per la loro paradossalità, per un senso del grottesco che, a fronte delle posizioni dei Paesi del Nord, ignora colposamente i camion militari italiani che portano alla cremazione incolpevoli vittime, o che riaccende in Germania un sentimento anti americano fomentato da notizie infondate e cognitivamente utile a spostare l’attenzione dal teatro politico interno a quello più ampio internazionale.

In sintesi, l’evoluzione delle relazioni internazionali potrebbe portare ad una nuova forma di globalizzazione diretta dagli stessi attori ma con equilibri variati, evidenziando un’agghiacciante impreparazione delle classi dirigenti che, a prescindere dalla bandiera, hanno sottovalutato l’impatto devastante della pandemia, e che stanno ora ricorrendo a provvedimenti tampone, come sconti o sospensioni di pena detentiva, o limitazioni delle libertà personali che, tuttavia, non tengono conto dello stato di anossia in cui versa l’economia delle varie nazioni.

Se l’Occidente patisce queste condizioni, come si può ipotizzare una tenuta sanitaria accettabile nell’area MENA, in costanti e gravi difficoltà sociali?

L’Europa, così poco resiliente ed attenta unicamente al breve termine ed al controllo dei bilanci ed al contenimento degli investimenti nel settore pubblico, commetterà un nuovo tragico errore nel non prevedere il contenimento di nuove ondate di contagiati dal Sud, o di contagiati di ritorno?

Bruxelles, fino a questo momento così inadeguata, sarà cosciente dell’effetto domino degli eventi e di un suicidio politico ed economico sempre meno improbabile?

1 Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni

2 Momentum

3 Belt and Road Initiative

Foto: web / Xinhua / IRNA