Quando la disciplina era una cosa… seria (1 parte)

(di Guglielmo Evangelista*)
20/10/23

Ovviamente il titolo è ironico. Ancora oggi nelle forze armate certe norme mantengono l’inflessibilità di sempre, ma al tempo della marina velica di due secoli fa solo un equipaggio piegato da una feroce disciplina, quasi disumana, riusciva a sopportare la vita sacrificata di bordo, costellata di pericoli, fatiche e scomodità. E oltre a questo non va dimenticato che gli equipaggi provenivano dagli strati più bassi della società ed erano per natura composti da persone rozze, violente e rissose.

Forse qualche considerazione differente poteva farsi per gli ufficiali, ma solo marginale rispetto al discorso generale perché la qualità della vita di bordo e le regole valevano anche per loro, con in più la grave responsabilità di mantenere la disciplina fra i marinai.

Sulle navi italiane, nella prima metà del XIX secolo, un’ulteriore potenziale pericolo per l’ordinata vita di bordo erano le idee politiche: molti ufficiali si erano formati in epoca napoleonica e nel loro intimo erano insofferenti nei confronti dei rigidissimi ma sorpassati riti e prescrizioni che la Restaurazione del 1815 aveva riportato in vita e non mancava fra il personale di ogni grado chi aveva aderito alle sette segrete o era diventato un seguace di Mazzini (1).

Le caute aperture verso le idee egualitarie, l’unità nazionale e governi costituzionali si sarebbero sviluppate in Piemonte solo poco prima del 1848.

In conclusione, all’epoca (per quanto inumana) la dura disciplina in tutte le sue forme era essenziale per tenere a bada le teste calde, sempre pericolose sia che mettessero mano al coltello sia che sobillassero le menti con discorsi proibiti. 

Le “Istruzioni provvisorie per il servizio dei bastimenti da guerra della Marina di S.M.” fatte compilare e pubblicare a Genova nel 1826 dall’ammiraglio Des Geneys generale delle regie armate, ammiraglio, comandante in capo la marina e in parte riecheggianti le normative della Royal Navy britannica, fra i tanti argomenti affrontati si occupano anche delle norme disciplinari elencando dettagliatamente in 40 articoli le infrazioni con ben 29 tipi diversi di punizioni la cui natura e durata variava in relazione al grado ricoperto.

Per gli ufficiali erano previsti:

– Rimprovero in privato o in presenza dell’equipaggio.

– Arresti semplici a bordo.

– Arresti semplici in camerino o nella propria stanza, se a terra.

– Arresti di rigore.

– Sospensione

I guardiamarina che, almeno sotto certi aspetti non erano considerati veri e propri ufficiali, ricevevano punizioni diverse quali gli arresti sul ponte, sulle crocette, sulle gabbie o sui pennoni. In considerazione del fatto che alloggiavano in un locale comune con tutti i parigrado e che quindi non era possibile un completo isolamento, per le mancanze più gravi era stata escogitata la "Fossa dei leoni", cioè …il luogo che sarà destinato a bordo d’ogni bastimento per castigo degli Guardia Marina ed Allievi, e nel quale non vi sarà mai detenuto più di un individuo alla volta. Il castigo poteva essere aggravato dalla relegazione a pane ed acqua.

Alla porta veniva messo un guardiano per evitare indebite visite che, per cameratismo giovanile, si prevedeva che non sarebbero mancate.

Ad ogni modo poteva andare peggio: fino al secolo precedente i guardiamarina potevano venire frustati o bastonati mentre, lontano dall’Europa, analogo castigo subì in Cina, addirittura negli ultimi anni dell‘800, il comandante di una cannoniera colpevole di averla fatta incagliare sugli scogli.

Per i bassi ufficiali e i marinai le punizioni erano più fantasiose e spesso era previsto che certe sanzioni venissero aggravate con l’obbligo di servizi maggiormente pesanti o prolungamento dei turni.

Essi potevano incorrere in:

– Ritenzione del vino.

– Consegna a bordo, sulla coperta o in caserma.

– Sala di disciplina o prigione secondo il grado.

– Ritenzione della paga.

– Ai ferri (foto).

– Ai ceppi.

Queste due ultime punizioni potevano essere aggravate sia da ferri corti o incrociati sia da vitto a pane ed acqua.

– Sospensione dal grado.

E, solo per i marinai:

– Berretto di castigo.

– Esposizione sull’alberatura da due a quattro ore al giorno.

– Retrocessione di classe.

– Bretelle, da 20 a 60 colpi.

– Trenelle, da 5 a 15 colpi.

Le punizioni dei ferri e dei ceppi sono ben note a chi conosca la storia e consistono nel privare il colpevole della mobilità, pur con alcuni periodi di libertà nel corso della giornata e nella notte (2). 

Le bretelle e le trenelle sono termini per indicare la pena della fustigazione: nel primo caso la striscia di cuoio era semplice e nel secondo intrecciata: le bretelle erano previste anche per i giovanissimi mozzi arruolati in età compresa fra i dodici e i quindici anni, che però in tali casi dovevano essere applicate “sempre in modo moderato e paterno”.

La fustigazione poteva essere ordinata solo dal comandante che, nei casi in cui i colpi dovessero essere inflitti in misura particolarmente generosa, doveva interpellare il secondo di bordo ed eventualmente anche il pilota e il primo nocchiere.

La frusta era considerata anche pena accessoria data in sovrappiù alle altre in caso di circostanze aggravanti e che esigessero un’istantanea ed esemplare punizione; per l’indeterminatezza di questo enunciato potevano essere comminate per qualunque mancanza senza che si attenuassero gli altri castighi inflitti.

Gli ammiragli e gli ufficiali superiori comandanti di un’unità potevano aumentare il numero dei colpi fino a 180 di bretelle e 45 di trenelle.

L’ammiraglio Baldassarre Galli della Mantica (Cherasco 1815-1870) medaglia d’oro al valor militare guadagnata all’assedio di Ancona nel 1870, ma persona dal cattivo carattere, era noto nell’ambiente per la frequenza e la facilità con cui irrogava punizioni corporali.

Sembra che anche l’ammiraglio Napoleone Canevaro (Lima 1838-Venezia 1926) appartenesse alla linea più conservatrice, anche se visse in un’epoca più tarda e poté vedere una sostanziale attenuazione dei castighi.

Non è stato possibile appurare che cosa fosse il berretto di castigo, che forse era soprattutto umiliante e che fa solo venire in mente il copricapo con le orecchie d’asino con cui si punivano gli scolari di un tempo ormai lontano.

Naturalmente quanto detto finora sull’argomento riguardava solo gli atti non premeditati, dovuti a distrazione o stanchezza, mentre se il fatto lo richiedeva si passava al giudizio, che poteva essere ben più severo, del Consiglio di Guerra Marittimo (3).

Leggi "Quando la disciplina era una cosa… seria (2 parte): le punizioni dal XVIII° al XIX° secolo"

Note

  1. Anche Giuseppe Garibaldi, arruolatosi nella Marina Sarda nel 1833 ed imbarcato sulla fregata Euridice, confessa nelle sue memorie “la mia missione colà era di fare de’ proseliti alla rivoluzione ed io me ne era disimpegnato della miglior maniera”.
  2. La pena dei ferri sopravvisse a lungo anche dopo l’abolizione delle altre punizioni corporali che avvenne, almeno formalmente, in tutte le marine europee poco dopo la metà del XIX secolo. Il “Regolamento di disciplina per i militari indigeni dei Regi Corpi di truppe coloniali” del 1937 ancora prevedeva per costoro la pena dei ceppi.
  3. In base al Codice Penale militare i Consigli di guerra avevano il potere di condannare alla reclusione fino a vent’anni, ai lavori forzati che potevano essere anche a vita, ai colpi di verga (fino a milleottocento!) e nei casi più gravi in tempo di guerra alla morte col laccio sulle forche o alla fucilazione nella schiena.

* nasce a Broni (PV) nel 1951. Laureato in giurisprudenza è stato ufficiale delle Capitanerie di Porto e successivamente funzionario di un Ente Pubblico. Ha al suo attivo nove libri fra cui “Storia delle Capitanerie di porto” , “Duemila anni di navigazione padana” e “Le ancore e la tiara – La Marina Pontificia fra Restaurazione e Risorgimento” ed oltre 400 articoli che riguardano storia, economia e trasporti. Collabora con numerosi periodici specializzati fra cui la Rivista Marittima”.

Foto: web

(articolo originariamente pubblicato su https://www.ocean4future.org)