Difesa USA, rapporto per i reparti speciali: "Al-Qaeda nemico silente. Sfruttare i loro dissidi per colpirli con tutta la nostra forza"

(di Franco Iacch)
21/09/15

“Grazie alla sua ferocia, il gruppo jihadista sunnita che si fa chiamare Stato islamico si sta ritagliando la parte del leone, ma al-Qaeda potrebbe rivelarsi la minaccia più pericolosa a lungo termine”. E’ questa la conclusione di un rapporto di 40 pagine realizzato per il Comando Centrale per le Operazioni Speciali, con sede alla MacDill Air Force Base.

La relazione evidenzia in profondità le differenze tra i due gruppi jihadisti. “Al-Qaeda ha attuato una strategia a lungo termine basata sul sostegno popolare, facilitando i locali nella comprensione della sharia prima di imporla. Anche sotto il profilo tattico le differenze sono evidenti. Al-Qaeda predilige la strategia del ‘mordi e fuggi’ nei territori che non potrebbe controllare. L’obiettivo finale di al-Qaeda è quello di creare una ‘Ummah’, un nazione araba globale. Lo Stato islamico, invece, ha già proclamato il suo califfato, imponendo fin da subito la brutale legge della Sharia, colpendo con violenza gli ‘apostati’ come sciiti e cristiani”.

Il rapporto paragona al-Qaeda e la sua strategia rivoluzionaria a quella di Mao Tse-tung. La strategia dello Stato islamico è paragonata alla “Dottrina del focolaio”, teoria rivoluzionaria ispirata da 'Che' Guevara e sviluppata da Regis Debray. L'approccio di Mao ha portato alla Repubblica Popolare Cinese, mentre l’esempio cubano è stato tentato senza successo.

“Al-Qaeda vuole vincere i cuori e le menti, mentre lo Stato islamico vuole conquistare con la violenza”.

Il precursore dello Stato islamico si chiamava AQI, ramo di al-Qaeda in Iraq. I terroristi impiegavano le medesime tecniche oggi utilizzate dall’Isis: tattiche brutali come le decapitazioni videoregistrate ed azioni militari a breve termine contro le forze armate Usa.

“Quelle tattiche, incrinarono il rapporto con la senior leadership di al-Qaeda dell’epoca. L’allora consigliere e numero due di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, avrebbe intimato ad Abu Musab al-Zarqawi, (nominato da Bin Laden emiro di al-Qaida in Iraq nel dicembre del 2004) di cambiare il suo modus operandi, ritenuto controproducente per l’organizzazione”.

“Zarqawi, agendo come capo di un gruppo separatista, ignorò le disposizioni, rivolgendo le sue attenzioni anche alla popolazione sunnita irachena”.

Zarqawi è stato terminato in un raid avvenuto il sette giugno del 2006 nei pressi della città di Ba‘qūba, 50 km a nord-est di Baghdad.

“AQI sarebbe stata riconosciuta come ribelle dal ramo principale dell’organizzazione ed espulsa dal movimento. Una lezione che al-Qaeda ha appreso e sfruttato a proprio vantaggio”.

Il nuovo approccio di Zawahiri prevede il divieto di attaccare i governi mediorientali (quando possibile), perché controproducente in vista di possibili alleanze. “A differenza dello Stato islamico, che strombazza le sue alleanze con comunicati e filmati, Zawahiri mantiene un profilo basso, stringendo rapporti con i terroristi di tutto il mondo ed operando in gran parte al buio. Così facendo ha evitato quella controinsurrezione collettiva che sarebbe stata capeggiata dagli Stati Uniti”.

Il rapporto analizza anche la tecnica di comunicazione dello Stato islamico. “Potente. Senza dubbio. Lo Stato islamico è presente sui social media con video di torture e violenze di ogni tipo, mostrandosi come un’organizzazione unita contro gli infedeli ed in grado di rimpiazzare le perdite ad un ritmo incessante. La campagna social dell’Isis ha massimizzato gli attacchi dei lupi solitari, l’arma più economica e letale del pianeta per la sua capacità di non essere identificabile. Ma il successo sui social è un'arma a doppio taglio. Centinaia di account Twitter e Facebook non possono garantire una sicurezza operativa ottimale”. Moltissime informazioni ed alcuni raid, sono stati svelati dagli stessi utenti social al soldo dell’Isis.

“L'equilibrio di potere potrebbe rivoltarsi contro lo Stato islamico, qualora il numero dei jihadisti insoddisfatti dovesse aumentare e decidessero ricongiungersi al basso profilo operativo di al-Qaeda”.

“La chiave di tutto sono i gruppi allineati pubblicamente con il nucleo principale di al-Qaeda, come al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) ed al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP)”. Se, infatti, AQIM o AQAP dovessero abbracciare la causa dell’Isis, saremmo dinanzi ad un momento cruciale. Cambierebbero tutti gli asset e non sarebbe ingiusto definire questa ipotetica coalizione come il "game-changer" della guerra nella Regione. Se al-Qaeda nella Penisola Arabica dovesse schierarsi con l’Isis, allora si che potremmo parlare di una “grande vittoria”.

“Ma le spacconate e le brutalità dell’Isis, si stanno ritorcendo contro. Gli eventi reali sul campo non corrispondono affatto alla propaganda del movimento. Prima o poi, le loro uccisioni, la schiavitù sessuale ed il tentato genocidio di interi gruppi minoritari, pretenderanno uno scotto. Ed è in quel momento che gli Stati Uniti dovrebbero colpire con tutta la potenza e la forza di cui dispongono”.

Conclude lo studio "Se non dovessimo sfruttare i punti di forza delle due organizzazioni, le debolezze, gli asset strategici e tattici, il movimento jihadista potrebbe emergere da questo periodo di concorrenza più forte di prima".

(foto: Navy SEALs, web, US DoD)