Messico: il ruolo dell’Esercito nella lotta al narcotraffico

(di Maria Grazia Labellarte)
16/03/17

Quando circa dieci anni fa l’allora Presidente messicano Felipe Calderon conferì il mandato all’Ejercito di “ruolo guida” nel contrasto dei narcotraffico, il numero di soldati sommati a quelli già dedicati al programma iniziato nel 2005, raggiunse le 50.000 unità. Ancora oggi sono dispiegati su tutto il territorio.

Il voler arrestare la violenza provocata dalla piaga del traffico di droga fu per Calderon quasi una missione personale; fu proprio lui che solo qualche anno dopo l’inizio del suo mandato chiese l’intervento degli Stati Uniti per contrastare l’azione dei cartelli. Tale richiesta portò risultati concreti con ben 100 latitanti estradati grazie alla collaborazione dell’FBI.

Tuttavia, negli ultimi anni la violenza dei cartelli è aumentata rendendo alcune zone del Messico vere e proprie aree di guerra, come ad esempio quelle di  Tijuana e Ciudad Juarez. I motivi principali di questa escalation sono riconducibili alle lotte interne tra gli stessi cartelli, volte a detenere la leadership nel Paese o ad acquisire l’esclusiva dell’esportazione della droga negli USA.  A causa di questo quadro sociale le bande si sono trasformate nel contempo in organizzazioni paramilitari facendo aumentare gli omicidi in modo esponenziale. 

L’attuale amministrazione del Presidente messicano Enrique Peña Nieto, ha deciso di allontanarsi dall’approccio strategico militare di Calderon e di puntare sul rafforzamento delle istituzioni e sull’integrazione di tutte le forze di sicurezza. Il suo programma rimarrebbe comunque focalizzato sullo smantellamento delle varie “leadership dei cartelli” aumentando il contrasto del riciclaggio di denaro proveniente dal traffico. 

Va detto però che a cavallo fra 2016 e 2017 in Messico si è notato un aumento considerevole del malcontento nei quadri dell’Esercito, impegnato tutt’ora in prima linea nelle strade delle città e nelle aree rurali. Scosso da malumori antichi divenuti oggi più evidenti e lamentando la difficile distinzione tra missioni di polizia e quelle prettamente militari, il mondo con le stellette rivendica meriti e chiede chiarezza sul suo ruolo attivo al programma di lotta ai narcos.

Come avrebbe dichiarato un ex capo delle operazioni internazionali della Drug Enforcement Administration, "l'uso dei militari a condurre le operazioni di polizia sarebbe in realtà una violazione della Costituzione messicana".

Proprio il generale Cienfuegos, Secretario de la Defensa Nacional de Mexico, avrebbe più volte esternato che l’Ejercito non sarebbe più in grado di continuare ad assumere questo ruolo. Il malcontento si baserebbe sul fatto che la formazione professionale militare non sarebbe idonea a sovrapporsi a quella delle forze di polizia, evidentemente più consone al ruolo richiesto dallo stesso Presidente.

Oltre alle critiche interne sulla formazione professionale dei militari e sull’inadeguatezza dei soldati a svolgere operazioni di polizia, ci sono numerosi rapporti nazionali e internazionali che evidenziano violazioni dei diritti umani e violenze, con accuse che riguardano i militari anche estese alla pratica della tortura. In alcuni casi si è parlato anche di diserzioni per entrare nelle file dei narcos.

Cienfuegos ammettendo una sempre minore motivazione dei militari a compiere azioni di contrasto al narcotraffico, ha chiesto un quadro giuridico atto a regolarle.

Un’eventuale legalizzazione della Forza Armata al contrasto della droga inasprirebbe però gli animi di molti addetti ai lavori, non più disposti a continuare nell’incarico, a dire il vero ritenuto dai governi dell’ultimo decennio solo una soluzione temporanea. 

(foto: Ejercito mexicano)