Implicazioni militari e geopolitiche dell’affondamento dell’incrociatore russo Moskva

(di Renato Scarfi)
24/08/22

Il 14 aprile la nave ammiraglia della flotta russa del Mar Nero, l’incrociatore lanciamissili Moskva, prima unità della classe “Slava” (in russo “gloria”), è affondata mentre veniva rimorchiata verso Sebastopoli, ufficialmente per gli esiti di un incendio a bordo, ma molto più probabilmente per un precedente impatto di più missili ucraini.

La classe “Slava”

L’idea di un incrociatore lanciamissili che potesse in qualche modo costituire una minaccia per le portaerei statunitensi nacque nel 1974 e nasceva dalla presa d’atto sovietica della sua enorme inferiorità tecnica nel settore delle portaerei, che al tempo implicavano anche difficoltà di natura ideologica ed economica, e dalla conseguente vulnerabilità nella flotta in caso di confronto armato.

La dirigenza sovietica pensò che l’alternativa a delle portaerei competitive era costruire delle navi che costituissero una minaccia alle portaerei statunitensi. Venne, quindi, pensata, una linea di incrociatori lanciamissili a vocazione oceanica, ben armati e resilienti, dotati di missili da crociera con possibilità di testate sia convenzionali che nucleari, i cui lanci multipli avrebbero dovuto saturare le capacità di difesa dell’avversario. Il progetto 1164 (codice NATO “Atlant”), che avrebbe poi dato vita alla classe “Slava”, rispondeva a queste esigenze strategiche.

Le navi di questa classe hanno una lunghezza di 186 m, larghezza di circa 21 m e un dislocamento di circa 11.500 t, con un equipaggio di circa 485 uomini. Sono progettate per rimanere a galla anche se tre compartimenti sono stati inondati d’acqua. I principali depositi di munizioni sono distribuiti lungo tutta la nave con propri sistemi antincendio.

La propulsione si avvale di turbine a gas e turbine a vapore, che possono portare l’unità fino a una velocità di poco superiore a 32 nodi con una autonomia di 2.200 nm, che sale a 8.070 nm nel caso di velocità media di 18 nodi.

L’armamento principale comprende sedici missili antinave situati sui due lati della sovrastruttura principale, ben visibili. Si tratta dei missili “P-1000 Vulkan” (codice NATO SS-N-12 “Sandbox”), una versione migliorata del “P-500 Basalt”. Sono missili supersonici che arrivano a Mach 2 e hanno una gittata massima teorica di circa 700 km. La testata convenzionale ha circa 500 kg di esplosivo (il triplo di un “Exocet”), mentre la capacità nucleare arriva a 350 chilotoni (qualcosa come 25.000 volte la potenza della bomba di Hiroshima).

Il sistema di difesa è strutturato su tre livelli che, teoricamente, dovrebbero essere in grado di respingere ogni attacco aereo/missilistico. Il primo livello si avvale di 64 missili S-300F “Fort” (codice NATO SA-N-6 “Grumble”) che, con un raggio d’azione massimo intorno ai 150 km, potrebbe essere in grado di intercettare anche missili con traiettoria balistica. Concepito per intercettare bersagli aerei, anche supersonici, fino a 90 km di distanza, a quote tra i 25 e i 25.000 m. I lanciatori sono sistemati a centro nave, immediatamente dietro i fumaioli.

Il sistema “Fort” consente di seguire 12 bersagli contemporaneamente e di ingaggiarne la metà, una capacità molto al di sotto dello statunitense AEGIS. Per questo motivo la Voenno-Morskoi Flot (VMF) sta valutando la sua sostituzione, per obsolescenza rispetto alle attuali minacce, con le versioni navali degli S-350 o S-400.

Il secondo livello di autodifesa è rappresentato dal sistema missilistico antiaereo automatico OSA-M, prevede un lanciatore a due bracci e 20 missili, ognuno dotato di proprio sistema di scoperta e controllo, in grado di distruggere bersagli aerei con velocità fino a 600 m/sec, a una distanza fino a 15 km e una quota da 5 a 15.000 m.

Il terzo livello è costituito da un cannone automatico a sei canne rotanti da 130 mm (AK-630), con efficacia fino a 5 km di distanza.

Il Moskva è stato impostato il 27 luglio 1979 ed è entrato in servizio il 30 gennaio 1983, con il nome di Slava, poi sostituito con l’attuale nome nel maggio 1996. Tale nome contraddistingue le unità gemelle che, da un numero complessivo iniziale di dieci, sono state realizzate in quattro esemplari, di cui la più recente (Ucrayna) è stata radiata dopo soli tre anni di vita operativa (ottobre 1993).

Le altre due, il Marshal Ustinov (in servizio dal dicembre 1986) e il Varyag (in servizio dal settembre 1989 - foto), sono oggi assegnate rispettivamente alla Flotta del Nord e alla Flotta del Pacifico.

Come per la maggior parte delle unità russe, gli anni successivi alla disgregazione dell’impero sovietico sono sinonimo di caos e di mancata manutenzione, sia per mancanza di adeguati finanziamenti sia per effetto di una profonda corruzione esistente all’interno dell’apparato militare-industriale russo. Ciò ha causato un impiego operativo abbastanza limitato del Moskva, in missioni di bandiera, alternato a lunghe soste in porto.

Tra gli impieghi più recenti del Moskva ricordiamo una breve partecipazione alle operazioni in Mar Nero contro la Georgia (settembre 2009), al largo dell’Abkazia secessionista. Nell’occasione fu peraltro vittima di un’avaria all’apparato di propulsione che la costrinse al rientro in bacino a Sebastopoli. Tra il settembre 2015 e il gennaio 2016 ha, inoltre, partecipato alla missione in Siria per assicurare la difesa aerea della base aerea di Khmeimim, prima di essere posta in riserva fino al dicembre 2019. Durante questa lunga sosta forzata, diversamente dalle unità gemelle il Moskva non è stata oggetto di significativo ammodernamento degli apparati di scoperta e difesa aerea, principalmente ancora per questioni di corruzione e di mancanza di fondi, sembra dirottati verso altre esigenze.

L’attacco

IL 13 aprile il Moskva viene localizzato a circa 80 nm dalla costa ucraina, a sud-est di Odessa. Vengono inseriti i dati e lanciati dei missili contro la nave ammiraglia russa, che raggiungono il bersaglio seguendo un profilo di volo denominato sea skimming (ovvero con fase finale di volo sul pelo dell’acqua).

Quella che segue è una ricostruzione ipotizzabile sulla base di quanto emerso dalle foto e dai video che sono circolati.

Dopo l’impatto, sul Moskva scoppiano dei potenti incendi a centro nave che, però, non aggrediscono i missili “Vulkan”, che rimangono intatti. Tuttavia, le esplosioni e gli incendi determinano gravi avarie alla propulsione e, molto probabilmente, anche ai generatori elettrici.

Agli allagamenti dovuti ai danni allo scafo si aggiunge l’acqua dei sistemi antincendio, con cui si cerca di lottare contro le fiamme. Le pompe a esaurimento non funzionano o non sono perfettamente efficienti e, quindi, le vie d’acqua principali e secondarie che stanno invadendo l’interno della nave cominciano a creare problemi di stabilità. La nave comincia a inclinarsi. Nel frattempo l’equipaggio, prevedibilmente scioccato e ridotto per le vittime e i feriti, cerca di gestire l’emergenza, che rapidamente diventa incontrollabile e che porta all’ordine di abbandonare la nave.

Si tratta di uno scenario del tutto plausibile, considerando che già da diversi anni a bordo si erano registrate gravi carenze nei sistemi antincendio.

Alcuni media russi riportano che la fregata di scorta è stata colpita da un altro missile, senza riportare danni significativi. Nei giorni successivi si rincorrono le notizie e le smentite circa le vittime. I dubbi sulle (ingenti) perdite, tuttavia, non vengono fugati dalle agenzie TASS e RIA Novosti, che riportano che tutto l’equipaggio è stato evacuato sano e salvo. Di sicuro c’è che il Vice Ammiraglio Ossipov, Comandante della Flotta del Mar Nero, dal 15 aprile sparisce dalle cronache russe. Il 17 aprile Novaya Gazeta Europei riporta la testimonianza della madre di un membro dell’equipaggio, che dichiara che il Moskva è stato colpito da tre missili e che si conta un considerevole numero di morti, feriti gravi e dispersi.

Considerazioni

Il “Neptune” è un missile da crociera antinave subsonico, con un raggio d’azione teorico di circa 160 nm e un carico utile di circa 150 kg di esplosivo, a guida inerziale fire and forget, dove le coordinate del bersaglio vengono inserite nel sistema prima del lancio e, una volta giunto nell’area di probabile presenza del bersaglio, attiva il proprio radar di localizzazione (portata 15-20 nm) per l’acquisizione del bersaglio e l’aggiornamento dei dati. Da quel momento e fino all’impatto il missile viaggia a pochi metri sopra la superficie del mare, mantenendo la quota grazie a un radaraltimetro (profilo di volo sea skimming) ii.

Gli elementi sui quali si conta per causare il maggiore danno possibile, come tutti i missili antinave, sono la testa in guerra e il carburante residuo che, dopo l’esplosione, favorisce l’inizio dell’incendio all’interno della nave colpita.

La prima domanda che si pongono gli analisti è il motivo della mancata reazione di difesa. Proviamo a rispondere in maniera articolata. Per effetto del mancato aggiornamento dei propri sistemi di scoperta aerea, il Moskva aveva una limitata capacità di rilevamento, non riuscendo a rilevare bersagli a quote molto basse, e questo potrebbe aver giocato un ruolo chiave. Il suo sistema automatico di autodifesa OSA-M, inoltre, è alquanto obsoleto. A puro titolo di paragone, al coevo incrociatore Kirov (progetto 1144) sono stati installati 16 lanciatori “Kinzhal” (denominazione NATO SA-N-9), decisamente più performanti.

Il Moskva aveva una superficie radar equivalente importante e non sembra logico pensare che si potesse credere di passare “inosservati” ai mezzi di scoperta avversari. Per quali ragioni allora il comandante, che ben conosceva le sue limitazioni operative, ha esposto in questo modo la propria nave? Come si poteva pensare che la posizione della nave potesse essere mantenuta nascosta, dato che prevedibilmente i suoi radar erano in funzione? Il Moskva aveva una segnatura elettromagnetica riconoscibilissima, essendo l’unica unità nell’area ad avere quei particolari radar. Facile riconoscerli e ricavarne la posizione con una certa precisione. Se, al contrario, la nave aveva i radar di scoperta spenti, per evitare di essere localizzata, si comprenderebbe la ragione per la quale a bordo non si sono accorti del lancio e dell’arrivo dei missili, o che se ne siano accorti all’ultimo momento, quando era ormai troppo tardi per reagire.

Rimane, quindi, difficile comprendere il motivo per il quale il Moskva, incapace di rilevare bersagli aerei che volano al di sotto dei 5 m di quota, si trovava abbondantemente all’interno della portata delle batterie di missili “Neptune”, la cui presenza lungo le coste doveva essere ben nota ai russi.

Per giustificare la mancata reazione e il fatto che la scorta non ha protetto la nave ammiraglia, da parte russa è stato dichiarato che due droni “Bayrakyar”, di fabbricazione turca, avevano “distratto” il sistema di difesa aerea dell’unità. Tuttavia, non più tardi del giorno prima la fregata Admiral Essen (in servizio dal giugno 2016), che scortava il Moskva, aveva abbattuto un certo numero di droni dello stesso tipoiii ed è credibile che nulla impedisse di ripetere la performance.

Ad ogni modo, indipendentemente da come gli ucraini sono riusciti a localizzare l’incrociatore, appare veramente poco credibile che un limitato numero di droni abbia potuto saturare le capacità di difesa aerea del Moskva e di una moderna fregata classe “Grigorovitch”, dotata di apparecchiature di scoperta aerea ben più moderne ed efficienti di quelle del Moskva, anche per la localizzazione di piccoli bersagli (il “Neptune” ha 5 m di lunghezza per 0,38 m di diametro) a bassissima quota.

Il tempo di volo dei missili “Neptune” é di circa dodici minuti e se, per esempio, la Russia avesse avuto l’accortezza di assegnare un AWACS a copertura del gruppo navale, i missili sarebbero probabilmente stati localizzati in tempo utile per consentire una dignitosa reazione.

Dalle foto che la ritraggono la nave colpita si comprende, invece, come il Moskva non si sia neanche accorto dell’arrivo dei missili, tant’è che i radar di scoperta e di tiro sono allineati per chiglia e l’armamento per la difesa antiaerea è privo di missili.

Ciò conduce a un’altra domanda interessante. Quale era lo stato di approntamento dell’unità? L’equipaggio era al proprio posto di combattimento, trovandosi in acque soggette a possibile attacco nemico, oppure la nave operava in assetto più “rilassato”?

Un secondo punto, che può spiegare la mancata reazione dell’unità. Il Moskva non era dotato di apparati di scoperta all’infrarosso. In sostanza, quella nave aveva enormi limitazioni operative e il suo sistema d’arma complessivo (radar di scoperta e di tiro, apparati di guerra elettronica, missili e cannoni di autodifesa) erano obsoleti per una guerra estremamente tecnologica quale è quella di oggi, in particolare sul mare.

La mancata localizzazione della minaccia e l’assenza di una credibile reazione ha, quindi, permesso ai missili avversari di raggiungere il bersaglio grosso e di affondare l’incrociatore russo con sole due testate da 150 kg di esplosivoiv. L’impatto è avvenuto sul lato sinistro dell’unità, a due-tre metri sotto la linea di galleggiamento, circa a centro nave, in piena opera viva. I punti di impatto sono perfettamente coerenti con un profilo di volo sea skimming. Al confronto fotografico, infatti, i danni provocati appaiono identici a quelli osservabili sull’HMS Sheffield, colpito nel maggio 1982 da un missile “Exocet” argentino.

Le sovrastrutture sono invece rimaste intatte, mentre l’incendio che è seguito all’impatto ha fatto detonare i depositi munizioni da 30 mm del cannone per la difesa ravvicinata (AK-630).

Ma ci sono anche altre considerazioni, che riguardano più squisitamente la parte ingegneristica. L’affondamento di una nave certamente non nuovissima ma comunque temibile ha, infatti, dimostrato che la classe “Slava” ha una limitata capacità di sopravvivenza ai danni da combattimento. Se sono bastati due missili con un contenuto carico utile a eliminare la nave ammiraglia, quali sono le reali capacità di sopravvivenza ai danneggiamenti delle altre unità russe di superficie? Se gli ingegneri navali russi hanno progettato una nave di “alto livello” che affonda a seguito dell’impatto di “soli” 300 kg di esplosivo, le unità più piccole, prevedibilmente costruite con criteri paragonabili, quale capacità hanno di rimanere a galla dopo aver subito dei danni, anche tenendo conto che gli incendi possono essere favoriti sia dal carburante residuo dei missili sia dalla presenza di molto alluminio (materiale combustibile) nelle strutture della nave?

E qui interviene un altro elemento, non per questo meno importante dei precedenti. Va infatti ricordato che la più grande minaccia a bordo di una nave è rappresentata dagli incendi. In un ambiente relativamente chiuso, quale l’interno di una nave, un incendio crea enormi problemi (fumo, calore, pericolo per il munizionamento). È per questo motivo che, specialmente sulle navi militari, i sistemi antincendio sono ridondanti e particolarmente manutenuti e il personale del servizio antincendio deve essere ottimamente addestrato. Nel caso di incendio, infatti, è imperativo che sistemi e personale addetto siano pienamente efficienti e che intervengano prontamente e con competenza, per contenere i danni ed evitare la perdita della nave.

Nel caso specifico, sembra, invece, che i sistemi antincendio e le pompe a esaurimento fossero abbastanza lontani dalla completa efficienza e che il personale addetto fosse poco addestrato circa le procedure previste nel caso di danni durante un combattimento, sostanzialmente incapace di gestire le fiamme e gli allagamenti derivanti dalle falle nello scafo e dalla stessa lotta antincendio. Ciò spiegherebbe il motivo per il quale il Moskva si è trovato in brevissimo tempo in una situazione ormai fuori controllo. Questo pone ulteriori interrogativi circa l’efficienza dell’unità e l’addestramento del personale.

Conclusioni

L’affondamento del Moskva è la perdita navale più importante da quella dell’incrociatore argentino Generale Belgrano, silurato da un sottomarino britannico durante la guerra delle Malvine/Falkland. Per la Russia si tratta della perdita più grave dopo la corazzata Novorossyisk, distrutta nei pressi di Sebastopoli nel 1955, ufficialmente per un contatto con una mina (ma “voci di prora” all’epoca indicavano più probabile un sabotaggio).

Ignoriamo quanti missili siano stati effettivamente lanciati contro il Moskva. Nel caso gli ucraini abbiano lanciato una sola salva (quattro missili), questa avrebbe ottenuto un successo notevole sotto il profilo costo-efficacia. Tuttavia, ciò è stato certamente favorito dalla mancata localizzazione della minaccia e, quindi, dalla mancata reazione russa, come testimoniano le foto del Moskva colpito, che evidenziano come non sia stato attivato neanche l’armamento per la difesa ravvicinata.

L’ipotesi, ventilata dalle Autorità per giustificare la debacle, secondo la quale i sistemi delle navi russe sarebbero stati distratti, o addirittura saturati, da manovre diversive di droni appare abbastanza remota proprio perché, ancorché obsoleti, i sistemi radar del Moskva e ancor più quelli più moderni dell’Admiral Essen sarebbero stati perfettamente in grado di gestire più tracce aeree contemporaneamente, come peraltro fatto il giorno precedente.

Difficile dare una risposta certa ai tanti interrogativi che gli analisti si pongono e, probabilmente, non sapremo mai come sono andate veramente le cose a bordo del Moskva. Le cause dell’affondamento sembrano, tuttavia, essere collegabili a un insieme di fattori determinanti quali pianificazione scadente, scarso addestramento dell’equipaggio, inadeguata capacità di cooperazione tra unità, mancato aggiornamento di apparecchiature obsolete, grave sottostima delle capacità ucraine. Errori che in combattimento si pagano sempre molto cari in termini di credibilità, di mezzi perduti e, soprattutto, di vittime

Al di là delle cause che hanno portato all’affondamento della nave ammiraglia russa, il fatto ha delle significative implicazioni militari e geopolitiche. Innanzi tutto vengono profondamente intaccati credibilità e prestigio della VMF. L’evento, infatti, fornisce numerose indicazioni circa lo stato di efficienza della Marina e l’addestramento degli equipaggi, avendone evidenziato gravi carenze e impreparazione. Navigare in pattugliamento, a distanze abbastanza prossime alle coste avversarie, senza avere alcun tipo di efficace sistema di scoperta in funzione (a bordo o su aereo) appare come minimo autolesionista e denota una grave carenza di preparazione. Una carenza che non sembra frutto del momento contingente ma che, viceversa, appare come il risultato della mancanza di capacità fondamentali nella pianificazione operativa. Un discorso completamente diverso va fatto, al momento e fino a prova contraria, per le unità subacquee strategiche, fiore all’occhiello della VMF e, più in generale, dell’apparato militare russo.

In secondo luogo, sotto il profilo geopolitico la perdita del Moskva priva la Russia di una nave con marcate capacità di Comando e Controllo riducendo, al contempo, anche l’arsenale complessivo a disposizione di Putin nel Mar Nero. Un arsenale che oggi vede attive solo due fregate, tre corvette e quattro sottomariniv. Ciò non poteva non avere ripercussioni anche sulla strategia russa dei cosiddetti “bastioni” (vedi “La strategia navale russa”). E, infatti, la nuova strategia di Putin prevede di creare basi navali in vari punti strategici in tutto il mondo. Tuttavia ciò al momento e nelle attuali condizioni di efficienza della VMF, sembra più una wish list che un programma reale.

Le marine militari sono, infatti, un potente strumento di politica estera e la loro presenza sui mari del mondo, a supporto degli interessi e del prestigio nazionale, rappresenta un ineludibile fattore di potenza. È per tale motivo che la sconcertante e inattesa perdita del Moskva rappresenta, in primis, un elemento di squilibrio delle dinamiche securitarie nel Mar Nero, ma dal significato ben più ampio.

Il tutto con intuibile gioia degli agguerriti competitors, a partire dall’amico/nemico turco che peraltro controlla l’accesso a quelle acque, in un’area che sta diventando sempre più competitiva e importante sotto il profilo geopolitico e delle risorse energetiche, per via dei ricchi giacimenti di gas naturale (si parla di centinaia di miliardi di metri cubi) e di petrolio.

Uno squilibrio e una perdita di credibilità fortemente avvertiti da Mosca e che vanno al di là del bacino in questione, tant’è che una delle due gemelle, il Varyag (con unità di scorta), è stata inviata nel Mediterraneo in pattugliamento, a ribadire la presenza e la volontà russa di recitare una parte anche su questo teatrovi. Tuttavia, ciò ha significato togliere un importante pedina dallo scacchiere Indo-Pacifico, riducendo (per quanto tempo?) le capacità operative complessive russe in quello scenario. Il gruppo navale russo ha peraltro effettuato una crociera proprio nelle acque dell’Adriatico, allo scopo di sollecitare “…il dispositivo della flotta statunitense e valutare come reagiva…”vii. Durante detta crociera l’incrociatore russo è stato attentamente seguito dalla Marina Militare, come recentemente sottolineato dal capo di stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone.

L’evento del Moskva e le sue conseguenze, cosa significano per l’Italia in termini militari e geopolitici?

É ipotizzabile che nel prossimo futuro la Russia guarderà al Mediterraneo con ancora maggiore attenzione, intensità e interesse, dato che “…qui si trovano le fonti di approvvigionamento di Mosca, perché il Nord Africa è un’area che i russi vogliono destabilizzare, dagli stati costieri al Sahel…”viii. La presenza russa in Mediterraneo, quindi, è destinata a proseguire e aumentare, in un’area di crescente competizione e che Mosca ritiene strategica.

Significa, quindi, che esiste la necessità di modernizzare il nostro strumento militare complessivo, in modo da aumentare la nostra capacità di proiettare forze nel Mediterraneo allargato, principalmente attraverso unità aeree, di superficie e subacquee in grado di fronteggiare efficacemente la minaccia, qualunque essa sia, con idonee regole di ingaggio (date dalla politica) per tutelare adeguatamente gli interessi e il prestigio nazionale. Significa mettere quanto prima a disposizione della Marina Militare dei Maritime Patrol Aircraft realmente performanti e in grado di effettuate agevolmente missioni di pattugliamento marittimo e di efficace lotta antisommergibile su tutto il bacino del Mediterraneo, valutando la possibilità di far entrare tali pattugliatori nell’Aviazione di Marina, mantenendone eventualmente l’operatività con equipaggi misti (Marina e Aeronautica), ma evitando la cervellotica e fallimentare gestione logistica fino a oggi adottata.

Significa costruire unità di superficie sufficientemente grandi e in grado di navigare per lungo tempo in acque lontane dalla penisola, dotandole dei migliori sistemi d’arma e di impianti di autodifesa ridondanti e di sensori di scoperta in grado di rilevare le minacce con il maggiore anticipo possibile. Le navi, infatti, rivelano tutta la loro vulnerabilità se non sono protette da moderni ed efficaci sistemi di contromisure elettroniche, di scoperta e di reazione. La tecnologia mette ormai a disposizione mezzi che, opportunamente gestiti di concerto con gli aerei delle portaerei, possono costituire un significativo deterrente per chiunque minacci il gruppo navale.

Per un’economia come quella italiana, basata sull’importazione di materie prime, sulla loro trasformazione e sull’esportazione dei prodotti lavorati, gli interessi nazionali non si tutelano solo davanti alle spiagge di casa ma soprattutto sui mari lontani dalla penisola, laddove è necessario per salvaguardare la libertà di navigazione lungo le rotte commerciali marittime di interesse o le linee subacquee di comunicazione, al fine di garantire il benessere e il prestigio della nazione (vedi “La tutela degli interessi nazionali sul mare”). Un concetto tutto sommato semplice, che la storia ha insegnato a tutti i paesi marittimi e che gli studiosi del settore conoscono bene. Sta ai nostri politici tradurre questi insegnamenti in azioni concrete.

ii Alcuni analisti ritengono si sia trattato di un attacco condotto con missili “Harpoon”, con 225 kg di esplosivo. Tale missile, tuttavia, ha un profilo di volo denominato “pop-up”, che sembrerebbe incompatibile con i danni registrati sul Moskva.

iii Alexandre Sheldon-Duplaix. La perte du croiseur Moskva, DSI 160

iv Tale è la versione ufficiale, ormai accettata a livello internazionale.

v Secondo quanto affermato dal Direttore dell’Istituto Studi Strategici del Mar Nero, Andriy Klymenko (Affonda il Moskva: ecco come è potuto accadere un evento che cambierà la strategia russa in Ucraina (rainews.it)

vi v. La strategia navale russa, Difesa online del 25 marzo 2021

vii Gianluca di Feo, Così la Marina ha respinto le navi russe dall’Adriatico, La Repubblica, 20 agosto 2022

viii ibidem

Foto: MoD Fed. Russa / TASS / YouTube / president.gov.ua / Türk Silahlı Kuvvetler