Domenica 8 settembre ha avuto luogo l’annuale cerimonia per ricordare la valorosa, ma inefficace difesa di Roma nel 1943. I tragici eventi occorsi a Roma e nell'area circostante, l'8 settembre 1943 e nei giorni immediatamente successivi, a seguito della comunicazione anticipata da parte americana della firma dell'Armistizio di Cassibile sono purtroppo noti, così come lo è la “fuga” di re, ministri e generali! Meno nota è lata la reazione dei reparti militari (pur abbandonati senza ordini chiari) e della cittadinanza alla tracotanza teutonica.
La pronta reazione delle unità della Wermacht (schierate a sud e a nord della Città Eterna in base alla pianificazione dell’Operazione “Achse” redatta proprio per far fronte all’eventualità di una ormai inevitabile resa italiana) è stata comprensibilmente e prevedibilmente furiosa. I tedeschi, si trovarono a fronteggiare una reazione disordinata, ma spontanea, dei reparti militari dislocati a difesa della Capitale, cui si unirono civili di ogni ceto sociale.
Fu una resistenza eroica, anche se militarmente vana, che lasciò sul campo circa 1.000 caduti tra militari e civili. Nel solco della triste abitudine italiana di celebrare più le sconfitte eroiche che le vittorie (classici i casi di El Alamein e Nikolaevka), ogni anno l’8 settembre si ricordano i militari e civili che di fronte all’occupazione tedesca, nel caos di quei giorni, per orgoglio nazionale si impegnarono in una lotta impari e senza speranza.
La cerimonia si è svolta in due tempi e in due luoghi diversi, che hanno visto in entrambe le fasi la presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Il capo dello Stato ha deposto una corona di fiori prima alla Piramide Cestia, dove una colonna ricorda i reparti che hanno contribuito alla difesa di Roma il 9 e 10 settembre del ’43. Poi si è recato al Parco della Resistenza ove è posizionato un monumento ai caduti dedicato: ”agli 87.000 militari italiani caduti nella guerra di liberazione: 8.9.1943 – 8.5.1945”. Qui erano presenti, tra gli altri, il generale Vecciarell (capo di SMD)i, il generale Farina (capo di SME), l’ammiraglio Cavo Dragone (capo di SM della Marina), il generale Nistri (comandante generale dell’Arma dei Carabinieri), i rappresentanti del capo di SMA e del comandante generale della Guardia di Finanza. Era inoltre presente il prefetto di Roma (dott.ssa Pantalone)
Dopo la deposizione della corona da parte del presidente Mattarella, hanno preso la parola, in successione, il generale Antonio Li Gobbi (a nome dell’Associazione Nazionale Combattenti delle Forze Armate Regolari nella Guerra di Liberazione, il cui presidente nazionale amb. Alessandro Cortese de Bosis, già ufficiale di collegamento con i britannici durante la guerra, non ha potuto intervenire per motivi di salute), l’avv. Virginia Raggi, sindaca di Roma, l’assessore regionale Gian Paolo Manzella (in rappresentanza del presidente Zingaretti) e il neo ministro della Difesa, on. Lorenzo Guarini, alla sua prima uscita pubblica nella nuova veste.
Il neo ministro ha fatto un bell’intervento che ricapitolava esaurientemente il contributo fornito dai vari reparti delle F.A. alla difesa di Roma. L’assessore Manzella ha sottolineato il forte legame tra Esercito e popolo che in quell’occasione si è manifestato. La sindaca Raggi si è soffermata su come Roma e la sua cittadinanza abbiano vissuto (e sofferto) il triste periodo dell’occupazione tedesca.
Tutti interventi molto significativi. Di particolare spessore ci è parso, però, l’intervento di Li Gobbi. Il generale, cha abbiamo in passato intervistato in merito a problematiche di attualità delle F.A., è sempre stato anche molto attento al ruolo delle F.A. nel tragico periodo 43-45.
Li Gobbi è un generale di corpo d’armata in pensione, il cui padre (Alberto) ed il cui zio paterno (Aldo) erano due militari che all’8 settembre, benché entrambi a casa in licenza (uno di convalescenza e l’altro “premio”) presero immediatamente le armi per combattere contro l’invasore tedesco e furono entrambi decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare (Aldo alla “memoria”).
Li Gobbi ha fatto un discorso vibrante “a braccio”, nel quale ha toccato diversi punti che riteniamo interessanti:
- ha evidenziato che nei giorni del settembre ‘43, in una situazione di generale perdita di credibilità delle istituzioni e delle classi dirigenti della Nazione, i cittadini si sono uniti ai soldati in una difesa disperata perché le F.A. erano percepite come l’unica istituzione che ancora rappresentasse la Nazione e l’Unità Nazionale;
- ha fermamente confutato l’affermazione che l’8 settembre abbia rappresentato la “morte della Patria”,
- ha descritto la Guerra di Liberazione come “5^ Guerra d’Indipendenza del nostro Risorgimento”, perché, come le precedenti quattro1, finalizzata a restaurare la sovranità nazionale e a liberare il territorio nazionale dall’invasore straniero;
- ha elencato il contributo fornito dalle F.A. in tutte le diverse forme assunte dalla Guerra di Liberazione: resistenza armata dei reparti all’estero, resistenza disarmata degli internati militari nei campi di concentramento, ruolo chiave delle ricostituite F.A. regolari al Sud per contribuire alla Campagna d’Italia, soffermandosi in particolare sul ruolo avuto dai militari nei “territori occupati”, militari che sono stati veri elementi intorno a quali si è catalizzato il movimento resistenziale;
- deprecando quanto il ruolo dei militari nella Guerra di Liberazione sia stato finora “volutamente ignorato”, ha chiesto l’impegno del ministro affinché questo contributo venga fatto conoscere, mettendo da parte la timidezza che ha caratterizzato l’azione governativa al riguardo in questi tre quarti di secolo;
- ha evidenziato che la Guerra di Liberazione e la Resistenza assumono ancora oggi una connotazione divisiva in Italia, in quanto si è consentito alla sola componente comunista di appropriarsi di un’eredità che apparteneva all’intero popolo italiano e, soprattutto, apparteneva a quei “socialisti, repubblicani, cattolici, uomini di chiesa e tanti tantissimi militari, militari di carriera soprattutto, che combattevano per un'Italia libera, un’Italia che rifiutasse sia la cultura del gulag, sia quella dei lager”;
- nello stigmatizzare negativamente che si faccia appello all’eredità della Resistenza per battaglie politiche di oggi che nulla hanno a che fare con la Resistenza, ha invitato ad un processo di revisione culturale che partisse proprio dagli eventi di Porta San Paolo “dove nel 1943 ufficiali e soldati di tutte le armi dell'Esercito Italiano, ai quali si unirono cittadini e cittadine di tutti ceti e idee politiche,hanno combattuto una battaglia senza speranza, e per questo motivo ancor più eroica, per la liberazione e per la dignità dell’Italia”.
DIFESA ONLINE ritiene possa essere interessante proporre ai propri lettori in forma integrale l’intervento di Li Gobbi che abbiamo trascritto da registrazione audio.
"Onorevole ministro, signora sindaca, assessore, comandanti, autorità,
Rivolgo innanzitutto un pensiero deferente ai Caduti di tutte le guerre del passato e delle operazioni militari attualmente in atto.
Anche al nome del presidente nazionale, ambasciatore Alessandro Cortese de Bosis,impossibilitato a partecipare per motivi di salute, saluto le autorità, ma soprattutto saluto i cittadini e le associazioni d’arma che hanno voluto essere presenti oggi in questo luogo, dove nel 1943 è iniziata la Guerra di Liberazione.
Consentitemi di esprimere un pensiero di vicinanza anche alla Comunità Ebraica che troppe volte in Italia subisce ancora atti di antisemitismo, che si vogliono artatamente far passare come forme di condanna della politica dello Stato d’Israele.
Ma venendo a oggi, in questo luogo, il 9 e il 10 settembre del 1943, ufficiali e soldati di tutte le armi dell'Esercito hanno combattuto contro l’invasore.
Una lotta impari senza speranza, ma la cosa importante è che a loro si sono uniti cittadini e cittadine di tutti i ceti sociali e di tutti i credi politici, a dimostrazione che in quella situazione di caos, in quella situazione di perdita di putii di riferimento, le Forze Armate, nonostante la crisi della politica e nonostante tre anni di guerra disastrosa, erano ancora ritenute, da buona parte dei cittadini italiani, le uniche rappresentanti della Nazione e dell’unità nazionale. Magnifico esempio di coesione del Popolo con il suo Esercito.
È stato scritto che l'8 settembre è stata la “morte della Patria”. Non concordo! Non è stata la morte della Patria: è stata la fine di uno Stato, di un'organizzazione statuale, la perdita di credibilità di una intera classe dirigente, sia quella fascista sia quella monarchica. Ma è stato anche e soprattutto l'inizio del riscatto del popolo italiano. Riscatto che ha assunto una molteplicità di forme, in tutte le quali gli uomini con le stellette hanno avuto un ruolo trainante ed essenziale, talvolta, purtroppo, forse volutamente ignorato.
Non starò a citare tutti i numerosi esempi, ma sappiamo che i reparti abbandonati da una politica miope in isole sperdute dell’Egeo o nei Balcani, ovunque hanno resistito o hanno tentato di resistere contro i tedeschi, pur in grave soggezione di forze. E questo lo sappiamo grazie soprattutto all’attenzione che ha rivolto il presidente Ciampi a Cefalonia; ma non c'è stata solo Cefalonia!
640.000 militari italiani internati nei campi di concentramento, quasi all’unanimità, hanno rifiutato, nonostante le sevizie, di aderire alla Repubblica Sociale.
Al Sud, nonostante le cautele e la scarsa fiducia degli Alleati, si è riusciti a mettere insieme “nuove” Forze Armate, che nell'aprile del 1945 contavano in linea ben 500.000 uomini: mezzo milione di soldati! Non solo i Gruppi di Combattimento, ma anche reparti combattenti della Marina, dell’Aeronautica e le Divisioni Ausiliarie. Soldati tutti che sono stati essenziali per consentire l'avanzata Alleata lungo la Penisola.
Ma anche al Nord, dove c’è stata la “guerra partigiana”, gli elementi militari sono stati i primi, molto spesso, a darsi alla guerriglia, e sono stati gli elementi catalizzatori che hanno tentato di dare un’organizzazione e una qualche unitarietà al movimento che stava nascendo spontaneamente ma disordinatamente.
Questo non lo diciamo noi militari! Leggo: “Vi erano soldati che fuggivano verso la montagna guidati dai loro ufficiali. Fuggivano per un’ansia di ribellione, ma con senso di disciplina e organizzazione. E fuggivano recandosi appresso la propria arma”. Non lo ha scritto un militare, lo ha scritto un dirigente politico comunista, Luigi Longo, vice comandante del Corpo Volontari della Libertà e futuro segretario del Partito Comunista Italiano.
A Roma, dove ci troviamo, oltre ai fatti di Porta San Paolo, non possiamo dimenticare il contributo fornito durante il periodo dell’occupazione dal Fronte Militare Clandestino guidato dal colonnello Cordero di Montezemolo. Ricordiamo che dei 335 trucidati alle forze Ardeatine, ben 69 erano uomini con le stellette.
Ma è stato così dappertutto, non sto a citare tutti gli eroi con le stellette della guerra partigiana: da Perotti ai fratelli Di Dio, sarebbe troppo lungo elencarli tutti! Basti pensare che delle Medaglie d'Oro concesse per attività partigiana, 229, quasi tutte alla memoria, sono state concesse a uomini con le stellette.
Dico questo, onorevole ministro, perché Le voglio chiedere di far conoscere agli italiani di oggi, il ruolo che i militari hanno avuto in questa “quinta Guerra di Indipendenza” (perché, come le precedenti, è stata una Guerra di Indipendenza per la liberazione del territorio nazionale dall’invasore, i tedeschi) Riconoscimento che è stato molto timido se non del tutto assente in questi 76 anni. All’inizio del Suo mandato Le vorrei chiedere questo impegno: non per me ma per la verità storica!
Inoltre, è triste vedere che il 25 aprile, a differenza del 4 novembre, non sia una festa che unisce il popolo italiano, ma dopo tre quarti di secolo continui ad essere una festa divisiva. Ed è una festa divisiva perché si è lasciato credere agli italiani che la Resistenza fosse soltanto la lotta tra chi aveva una visione dell'Italia asservita al disegno totalitaristico nazista (disegno bocciato dalla storia già allora) e chi aveva una visione dell’Italia asservita al disegno altrettanto totalitaristico sovietico, che sarebbe stato bocciato dalla storia come fallimentare e dittatoriale solo pochi decenni dopo!
Dobbiamo, invece, ricordare che nelle file della Resistenza c'erano tanti altri: c’erano socialisti repubblicani, cattolici, uomini di chiesa e tanti tantissimi militari, militari di carriera soprattutto, che combattevano per un'Italia libera, un’Italia che rifiutasse sia la cultura del gulag, sia quella dei lager.
Allora, se si riuscirà a valorizzare quella componente della Resistenza che rifiutava sia i lager che i gulag, e si eviterà che l'eredità della Resistenza e di quegli Uomini che lottavano per una Italia libera venga utilizzata per le lotte politiche e partitiche di oggi (in relazione al Referendum Costituzionale per esempio), allora, forse, si potrà ridare credibilità alla Resistenza e fare in modo che il 25 aprile e la Guerra di Liberazione diventino elemento non divisivo ma di unità popolo italiano.
È per realizzare ciò, forse, è necessario partire proprio da qui, da Porta San Paolo, dove nel 1943 ufficiali e soldati di tutte le armi dell'Esercito Italiano, ai quali si unirono cittadini e cittadine di tutti ceti e idee politiche,hanno combattuto una battaglia senza speranza, e per questo motivo ancor più eroica, per la liberazione e per la dignità dell’Italia.
Viva l’Italia, viva la Guerra di Liberazione nella tradizione risorgimentale ”
1 Molti storici italiani hanno considerato la Grande Guerra come la 4^ Guerra d’Indipendenza
Foto: Difesa Online / ministero della Difesa / presidenza della Repubblica