Perché tante critiche alla dichiarazione di San Giovanni XXIII come "Patrono presso Dio dell’Esercito italiano"?

28/09/17

Premetto che l’argomento non mi appassiona e che, pur indossando l’uniforme da più di 30 anni, non sentivo la mancanza di un Patrono prima e non ne avverto la presenza ora.

La materia rimanda a questioni di fede che in quanto tali afferiscono alla sfera personale dell’individuo. Ma questo non è il punto.

Mi ha colpito negli ultimi giorni l’accesa mobilitazione, l’acrimonia di una parte significativa del mondo cattolico contro la nomina a Patrono dell’Esercito Italiano di San Giovanni XXIII.

Un atteggiamento quanto meno singolare perché tradisce l’afflato che dovrebbe invece muovere le coscienze dei credenti, dai quali, ingenuamente, mi sarei aspettato una maggior propensione a “concedere” la benedizione di un Santo a prescindere dal destinatario finale.

Ed anche perché, nel dire come fanno loro che nulla la figura di papa Giovanni XXIII ha a che spartire con la guerra, si sottende il sottile convincimento che la guerra coincida essa stessa con i soldati che la combattono e che essi e le loro famiglie non ne costituiscano invero le prime vittime.

La Chiesa non ha bisogno di santi che proteggono gli eserciti.. (…) quanto di valorizzare il senso della pace disarmata” recita la lettera pubblicata sul sito di Pax Christi.

Seguendo tale ragionamento, allora, un grossolano errore sarebbe stato l’aver affidato l’Arma dei Carabinieri nientemeno che alla Vergine Maria, pur l’Arma opponendosi non disarmata ma manu militari ai criminali ed ai violenti. Dubito però che alcuno di quelli che oggi si sgolano abbia mai mosso riserve al riguardo.

Mi chiedo, allora, quale differenza “ontologica” sussista tra chi protegge la gente dalle minacce che si profilano all’interno dello Stato e chi lo fa allargando la sfera di azione oltre i suoi confini.

È giusto opporsi al crimine organizzato e non lo è (quando deciso dal Parlamento) contrastare il sedicente Stato Islamico o addestrare le Forze di sicurezza libanesi, irachene, somale a ristabilire uno Stato compromesso da anni di rivolte?

E ancora, non è giusto e legittimo difendere con la forza chi minaccia dall’esterno le istituzioni e i cittadini della Repubblica?

La verità è che le numerose anime belle, alcune delle quali in abito talare, confondono la causa con l’effetto, il male con la cura, mettendo in un unico calderone vittime e carnefici.

E lo fanno, mosse come sono dalle ideologie del secolo scorso e da un pacifismo di stampo integralista, teneramente avvolte in categorie concettuali che non sono più utili a discernere il mondo contemporaneo, non capendo che in esso anche i soldati sono chiamati a preservare la pace.

Lo fanno operando il più delle volte “lontano” da casa, proprio come il carabiniere e il poliziotto interviene “fuori” di casa, perché in un mondo globalizzato e interconnesso la sicurezza è un prodotto fragile, da preservare ovunque venga messa a repentaglio.

Non comprendere questo, significa perdere una parte importante del quadro cognitivo attuale e non rendere un buon servizio alla propria comunità. Anche Pastorale.

Enrico Baviera