Le ali della libertà

(di Lord Wilmore)
26/11/22

Le vicende di cronaca nera in genere suscitano un interesse commisurato o all’importanza dei protagonisti o al risalto che viene loro dato in funzione del fatto in sé in quanto davvero rilevante, o perché l’attenzione viene indirizzata. Il perché accada è intuibile, fa parte della filosofia del Quinto Potere, un film che non farebbe male talvolta rivedere e soprattutto comprendere.

Il caso di Andrea Costantino ha tentato di sollevare il sipario su vicende che coinvolgono a fattor comune i molti italiani detenuti all’estero. Non sarebbe possibile né tanto meno saggio entrare nel merito poiché mancando elementi utili a stabilire un metro di giudizio correremmo il rischio di fare la fine di chi, vedendo il film più su citato, non ne capisca nulla o, peggio, non ne voglia capire; ciò tuttavia non vuol dire che quanto accade non possa o non debba essere di interesse per quanto concerne gli aspetti più esteriori ed evidenti. Dopo tutto, riprendendo il pensiero del comandante Todaro, un militare riscoperto dal grande pubblico dopo un oblio di 80 anni, non possiamo dimenticare di avere sulle spalle più di 2.000 anni di storia e di civiltà, anche giuridica, che non può (né dovrebbe) lasciare insensibili, ma tant’è.

Gli italiani detenuti all’estero sono tanti, forse troppi, il che porta a due considerazioni: la prima accende un umano e comprensibile dubbio su fondamento e validità delle misure restrittive della libertà personale adottate; la seconda, laddove i reati ascritti trovino un fondamento, induce a ritenere che i famosi 2.000 anni di civiltà (giuridica) abbiano permeato solo alcuni soggetti e molto meno altri, ormai imbevuti di convinzioni tali da far ritenere, a torto, che qualsiasi comportamento sia fisiologicamente giustificabile e naturalmente scevro da regole.

Non è così: è di poche settimane fa la notizia dell’arresto in India di alcuni writers italiani, colpevoli di aver posto in risalto la gretta mancanza di spirito dei permalosissimi ed esagerati responsabili dei trasporti di Ahmedabad in India, deturpando alcuni vagoni della metropolitana poche ore prima dell’arrivo del primo ministro lì in visita programmata. Pazzi? Ricordarsi che il confine tra genio e follia è molto sottile, quindi pazzi sì, ma per pochissimo!1

Torniamo alla prima fattispecie; dall’Europa all’Africa, al Medio Oriente al sud America molti connazionali, innocenti o colpevoli che siano, sono detenuti, spesso ancora in attesa di giudizio, privi dei diritti fondamentali e vittime della mancanza storica della cultura giuridica di un Cesare Beccaria locale. Altro che Dei delitti e delle pene.

Così come accaduto al comandante Todaro, anche questi italiani sono rimasti impigliati tra le maglie di un oblio che ha fatto dimenticare, colpevolmente anche e soprattutto in Patria, le loro storie. Portati con fisiologica naturalezza al caloroso ed etico sostegno per altri, dimentichiamo con disarmante nonchalance i nostri concittadini caratterizzati peraltro dal nostro stesso anonimo appeal, facendoli sentire così doppiamente abbandonati in celle dimenticate.

Le mobilitazioni per Silvia Baraldini prima e per Patrick Zaki dopo, sospinte da considerazioni non solo di carattere legalistico ma soprattutto politico, non hanno dato il mordente necessario per altre manifestazioni che, pur attinenti ad eventi sostanzialmente affini, non possedevano e non possiedono quell’appeal che, come detto, rimane tragicamente anonimo.

È evidente quanto il peso politico di un Paese conti in ambito internazionale, come conta anche la forza dell’unanime e non frammentata solidarietà nazionale, elemento che riveste una forte rilevanza, sia positiva che negativa, nelle percezioni degli eventi2: sia che ci sia, sia che manchi, la significatività di una politica unanimemente condivisa sui temi importanti incide, eccome. A questo punto è però necessario scindere i piani di comunicazione e politica, tenendo conto che si tratta di dimensioni tuttavia spesso interagenti ed avvinte tra loro, ma sempre in funzione dell’interesse che l’una suscita per l’altra.

Di Andrea Costantino si è parlato, certo, ma la dimensione dell’informazione, in questo caso, non è riuscita ad accendere il bagliore politico accecante riservato invece ad Aisha Silvia Romano, per la quale, gioiosa dei paludamenti musulmani imposti dai suoi stessi rapitori è stato anche pagato un ingente riscatto con la revisione psicoanalitica della Sindrome di Stoccolma, o ad Alessia Piperno, improvvida turista per caso in lande dove, come era normale che fosse, il suo nome ha naturalmente scatenato attenzioni pericolose da parte di un regime che conta anche i minuti della distruzione di Israele.

È il piano della politica che rimane assente, che non riesce a prendere che forme liquide e mutevoli per le quali, i privi di appeal, sono condannati a soccombere. Nel silenzio assordante della politica dunque si vivono dunque destini tragici che si sarebbero potuti evitare.

Ad Abu Dhabi il caso di Andrea Costantino ha assunto le sembianze di una vicenda kafkiana ulteriormente aggravata da una sanzione pecuniaria di 275.000 euro che conferisce le caratteristiche del grottesco; Costantino è (o meglio, era) un trader petrolifero ed è difficile comprendere, nel merito, quali siano le contestazioni addebitategli.

Nemmeno l’ambasciata, a suo tempo, è stata ufficialmente informata dell’arresto, testimoniato fortuitamente/fortunatamente solo dalla moglie. Nessuno scandalo, vedremo che non è certo la prima volta che una legazione diplomatica è costretta a subire gli strali degli stati ospiti.

Costantino gode di buone relazioni, non è uno qualunque, ma sfortunatamente la sua vicenda si intreccia, come tempistica e per una di quelle astruse dinamiche che regolano gli eventi determinati dalla più pura casualità, con l’embargo italiano sulle armi agli Emirati, cui è seguita la chiusura della base di al Minhad. Tutto questo mentre le partecipazioni emiratine in Alitalia e Piaggio Aerospace sono andate in sofferenza e anche le forniture destinate alla pattuglia acrobatica nazionale hanno incontrato seri problemi.

Sia chiaro, il soft power arabico dei mondiali di calcio non è sufficiente, dato che la dea Eupalla di Gianni Brera, più che far parlare di sé, ha mostrato la realtà di monarchie piccole, ricchissime e rigidamente autocratiche che, comunque, hanno avuto e hanno il pregio di far girare capitali utili a tutti.

Per spezzare anche solo un momento, credo sia qui interessante ricordare due personaggi, uno decisamente più leggero dell’altro; scrivendo di calcio e detenzioni non può che tornare alla mente Byron Moreno ed il suo arbitraggio a danno dell’Italia nel 2002 (alzi la mano chi se lo ricorda); ed il buon vecchio Iosif Stalin, che sosteneva che una diplomazia sincera non è più possibile dell'acqua asciutta o del ferro di legno. Che si sia trattato, tra gli altri, di un inciampo strategico assimilabile ad un’autorete alla Comunardo Niccolai, non sembrano esserci dubbi: come avrebbe detto il ministro francese Fouché intorno al 1790, uno che di lame se ne intendeva eccome, si è trattato certamente non di un crimine ma, peggio, di un errore3.

Auspichiamo che, per quanto riguarda Costantino, non si debba assistere ad un epilogo analogo a quello toccato in sorte a Simone Renda, detenuto per tre giorni in Messico senza assistenza medica, deceduto per infarto e di cui la famiglia ha ricevuto (sic!) solo le ceneri. Più fortunati Angelo Falcone e Simone Nobili, detenuti in India per tre anni con una condanna per detenzione di sostanze stupefacenti, poi riformata in appello. Del resto del sistema giudiziario indiano il nostro Paese ha dovuto interessarsi approfonditamente per il caso Enrica Lexie e dei Fucilieri di Marina Latorre e Girone, alla fine assolti4, e comunque loro malgrado causa della inedita sospensione dell’immunità diplomatica dell’Ambasciatore italiano (ve l’avevamo detto di attendere..), in palese violazione della Convenzione di Vienna.

Il problema è che Ambasciate e Consolati devono scontrarsi con la legislazione locale, con regimi carcerari specifici, affrontando così impasse che impattano con i disposti della Convenzione di Vienna sulle Relazioni consolari (1963) e con quella di Strasburgo (1983), che dovrebbero invece costituire la base di riferimento entro cui esercitare la protezione per i connazionali, inclusi estradizione e trasferimento dei condannati. Tuttavia è qui che si manifesta la difficoltà del diritto internazionale nell’affrontare determinate tematiche; la mancanza di vincoli e del riconoscimento degli accordi, fa sì che non si riesca ad esercitare l’idonea tutela lasciando così pericolosi vuoti di potere, amplificati da quel troppo lieve peso politico più su richiamato. Come si può sopperire all’insufficienza delle garanzie più basilari, quando nei momenti più critici anche la lingua diviene un utile ancorché insormontabile ostacolo?

La cronaca fornisce (purtroppo) altri casi avvenuti peraltro su territorio nazionale e comunque destinati a diventare, per loro natura, comparabili a quanto avviene all’estero, e di scuola, basti rammentare l’omicidio del vice brigadiere dei Carabinieri Cerciello Rega i cui responsabili hanno visto ridurre la pena comminata, o i più complessi esempi offerti dalla tragedia della funivia del Cermis del 1998, o dal più recente incidente mortale che in Friuli ha visto protagonista una militare statunitense, esempi che, proprio perché nel pieno rispetto procedurale degli accordi internazionali5 stipulati, infondono in un’opinione pubblica già di per sé disamorata e poco partecipe, ulteriore convincimento a badare ad altro.

Secondo Piero Calamandrei, politico e giornalista, nonché tra i fondatori del Partito d’Azione, la legge è uguale per tutti è una bella frase che rincuora il povero, quando la vede scritta sopra le teste dei giudici, sulla parete di fondo delle aule giudiziarie; ma quando si accorge che, per invocar la uguaglianza della legge a sua difesa, è indispensabile l’aiuto di quella ricchezza che egli non ha, allora quella frase gli sembra una beffa alla sua miseria.

La storia del resto non aiuta, e ci porta a pensare al caso Sacco e Vanzetti, cui una riabilitazione postuma sa più di pezza a colori che di vera riparazione, o al caso del capitano Dreyfus, finito suo malgrado in un vortice necessario a fornire l’utile colpevole di un gioco infinitamente più grande.

Abbiamo detto che la storia non aiuta; beh, però insegna: confrontiamo i due casi. Gli imputati proclamano la loro innocenza contestando la sentenza, diventando esempi di una grave ingiustizia perpetrata dallo stato; in ambedue i casi si notano sentimenti di pregiudizio razziale e di odio politico. Le differenze tra i due affaire ci sono: Dreyfus è un non politico incriminato per reato politico, mentre Sacco e Vanzetti sono due politicizzati accusati di un reato comune. Dreyfus appartiene ad un’elite di facile indignazione; Sacco e Vanzetti sono immigrati che non suscitano alcuna protesta da parte degli intellettuali. La Francia post Dreyfus viene spinta al rinnovamento politico-sociale, mentre gli USA omettono anche solo di riflettere sui limiti della loro democrazia, ancora macchiata dal problema posto dall’esecuzione dei due italiani.

Il problema è dunque diffuso e preesistente, e dovrebbe portare a diverse considerazioni; la prima riguarda l’attenzione ed il rispetto per il dettato delle norme, qui ormai sempre più spesso ignorate ed all’estero oggetto di attenta e pesante rivalsa giudiziaria. La seconda dovrebbe far riflettere sia sulla possibilità che, quella che su suolo patrio è un’innocente canna, in alcuni paesi può diventare motivo di detenzione sia, molto peggio, sull’evenienza di trovarsi coinvolti in fil rouge di cui nemmeno si riesce ad immaginare il lontano ed impalpabile perché.

Emile Zola, per Dreyfus, ebbe il coraggio di scrivere il suo j’accuse, salvo poi però lasciare il Paese; per Andrea Costantino ancora non si è letta una riga di peso, non ha l’appeal.

1 Fascisti su Marte

2 Da ricordare negli USA la mobilitazione, mediatica e non, per Amanda Knox, prima condannata per l’omicidio di Meridith Kercher e poi posta in libertà per non aver commesso il fatto.

3 Osservazione a proposito dell'esecuzione del duca d'Enghien a Vincennes, 21 marzo 1804

4 I Fucilieri sono stati assolti perché spararono convinti di essere sotto attacco.

5 Convenzione tra gli Stati parti del Trattato dell’Atlantico del Nord relativa allo statuto delle loro forze (Statuto delle truppe della NATO) del 19 giugno 1951