La sfida della disabilità infantile nell’emergenza COVID-19

03/07/20

Egregio direttore, so che andrò fuori tema con questa mia lettera, ma in fondo hanno paragonato questa emergenza ad una guerra e ciò che le sto per raccontare è uno degli effetti di questo “conflitto”, peraltro un effetto capace di influenzare tutti e tre i domini del conflitto, quello fisico, quello cognitivo e soprattutto quello morale.

Voglio raccontare della disabilità ed in particolare della disabilità dei bambini, con tutte le relative implicazioni che ha su una famiglia e questo lo voglio raccontare da padre, da marito e perché no! Anche da Soldato.

Normalmente il menage famigliare in presenza di persone disabili, soprattutto se si tratta di bambini, è estremamente complesso, con una pandemia il tutto giunge al limite della sostenibilità, tuttavia, consapevole di cosa sia la terapia intensiva e la lungodegenza in ospedale, non appena le autorità pubbliche hanno annunciato l’emergenza sanitaria, con mia moglie abbiamo deciso di chiuderci in casa, azzerando i contatti sociali e prendendo tutte le necessarie precauzioni affinché non venissimo coinvolti dal contagio.

Dopo i primi giorni di smarrimento abbiamo però compreso che, la sfida del momento, l’ennesima della nostra vita, sarebbe stata quella di strutturare, in ambiente domestico, la routine necessaria affinché i nostri figli perdessero il meno possibile in termini di capacità, competenze, socialità, ma soprattutto salute.

Ci siamo ben presto ritrovati a ricoprire il ruolo di insegnanti, psicoterapeuti, pediatri, compagni di gioco, senza ovviamente derogare al nostro compito primario di genitori ed in questa condizione è stato subito chiaro che il carico di lavoro sarebbe stato immenso, dovendo contemporaneamente impegnare la giornata di tre bambini, assolvere alle esigenze della disabilità per due di loro, senza tralasciare l’accudimento nell’ambito delle necessità primarie: il cibo, ma senza poter portare i piccoli al supermercato, poiché non c’era e non c’è nessuno a cui lasciarli; una casa pulita senza potersi distaccare da loro durante le attività di pulizia; la serenità genitoriale, minata dal costante timore che le ripetute assenze dal lavoro potessero generare, prima o poi problemi con cui sarebbe toccato fare i conti in termini di rapporti professionali, equilibri nell’ambiente lavorativo, persino opportunità.

Quelli appena elencati sono ovviamene solo alcune delle circostanze che ci hanno condotto a chiedere un supporto, o forse più banalmente un aiuto, tuttavia siamo una famiglia con figli disabili e sappiamo cosa sia la burocrazia con le sue meschinità, siamo consapevoli che per vedere riconosciuto un diritto potrebbero occorrere, come ci è peraltro già capitato, anni di cause, o che ti potresti ritrovare in ospedale, tre giorni prima di un importante intervento chirurgico, con un impiegato amministrativo che ti dice: “o ci fate immediatamente il bonifico o siete fuori.” Ed altre atrocità di questo genere.

Consci di codeste realtà abbiamo deciso di alzare il tiro delle nostre istanze, ritenendo, ingenuamente, che la classe dirigente fatta di politici, intellettuali e giornalisti potesse, darci ascolto, soluzioni, sostegno.

Contrariamente alle aspettative, con il trascorrere delle settimane abbiamo collezionato, per la maggior parte mancate risposte, qualche dichiarazione di impotenza e pochissima solidarietà, peraltro esclusivamente in termini di ascolto.

Tale situazione ci ha inizialmente offeso, poiché abbiamo preso ancora maggiore contezza del fatto che i disabili ed in particolare i bambini con disabilità generano la più totale indifferenza, non solo nella cosiddetta vita di tutti i giorni, ma anche e soprattutto durante un’emergenza come quella che tutti noi stiano vivendo in questi mesi.

Quando si sente parlare di fragilità delle persone disabili il comune sentire si concentra normalmente sulle barriere architettoniche o sulle difficoltà economiche, in realtà questi sono, in ordine di importanza, forse gli ultimi dei problemi, i bambini con handicap e di conseguenza le loro famiglie sono realtà regolarmente emarginate, poste cioè ai limiti della società, ovviamente non biasimo chi ha nei nostri confronti questo approccio, la disabilità fa paura e quasi per un senso di scaramanzia si tende a tenerla lontana, il grosso guaio di questo periodo è che l’isolamento sociale, unito a quello imposto per legge, ha fatto sì che anche coloro i quali erano preposti a sostenere i soggetti in difficoltà si siano trovati con le mani legate o talvolta abbiano preferito voltarsi da un’altra parte con la scusa delle linee guida carenti, delle regole di salute pubblica stringenti e di altri ostacoli, reali o presunti, che sarebbe stato doveroso superare senza esitazione alcuna.

Il blocco totale sembra ormai alle spalle, ma nulla è cambiato in termini di indifferenza, di mancato confronto ed assenza nella risoluzione dei problemi e nessuno si sogna di offrire anche solo un orizzonte temporale che sia in grado di fornire ai nostri bambini ed a noi famiglie una speranza.

Rischiando di apparire suggestivo vorrei sottolineare come, sebbene la nostra classe dirigente più colta ed “illuminata” ami riempire la propria vuota retorica di concetti quali libertà diritti e felicità, poi nulla viene messo concretamente in campo affinché ciò avvenga, sebbene c’è da essere certi che proprio questi siano i valori fondanti del nostro mondo, valori in grado di farci fronteggiare qualsiasi tragedia, qualsiasi pandemia e soprattutto valori a cui ciascuno, a prescindere dal proprio stato di salute, dovrebbe avere la possibilità di tendere per raggiungere la felicità, intesa come fine ultimo della comunità sociale, consentendo cioè a ciascuno, nei limiti delle proprie capacità umane, la realizzazione del bene, inteso come – vivere bene – cioè essere felici (Aristotele).

Ogniqualvolta mi addentro in queste riflessioni qualcuno in modo fintamente pragmatico mi chiede di cosa abbiamo bisogno noi famiglie in difficoltà, ebbene, noi abbiamo bisogno di un universo sociale organico, consenziente, ordinato, giuridicamente protetto, in poche parole, come ho già detto, felice, affinché anche i soggetti più fragili ed i loro nuclei famigliari possano avere una vita serena, armonica ed equilibrata, auspicio che peraltro dovrebbe essere valido per tutti, proprio affinché non ci si limiti a sopravvivere miseramente, ma a vivere in modo dignitoso, come ciascun essere intelligente merita.

Capisco di essere entrato forse troppo in profondità, ma profonda è la delusione, la sfiducia, la tristezza, tanto da essersi tramutata ormai in costernazione, poiché ci siamo resi conto che, soprattutto in questo periodo abbiamo cercato di stimolare un moto di coscienza verso qualcuno che tale coscienza ha dimostrato di non averla.

Continueremo a lottare per la salute, la dignità e la felicità dei nostri figli, con la triste e fiera consapevolezza di dover fare affidamento esclusivamente sulle nostre forze, senza per questo abbandonare la speranza che, da qualche parte, in questa disgraziata nazione, vi sia ancora qualche persona per bene.

Andrea Pastore