La presenza militare in Sardegna come effetto collaterale del COVID 19

13/05/20

Dall’inizio del 2020 gli italiani hanno fatto l’abitudine alle immagini proposte dai TG di uomini in mimetica impegnati spalla a spalla con i camici bianchi nella lotta contro il coronavirus o con le forze dell’ordine nella missione “strade sicure”. Angoscianti le sequenze di colonne di camion militari impiegati nel trasporto delle vittime del Covid 19 destinate a solitarie sepolture in cimiteri lontani. Intanto in terra d’Africa altri soldati aspettavano, e tuttora aspettano, che la pandemia allenti la morsa per avere un avvicendamento che tarda ad arrivare.

In questo contesto non è facile capire la ratio che ha spinto il quotidiano cagliaritano l’Unione Sarda a sferrare tra il 24 aprile e il 6 maggio un nuovo attacco contro la presenza militare in Sardegna e, più in generale, contro l’immagine delle Forze Armate (inclusa, di riflesso, la brigata “Sassari”).

Nulla di nuovo sotto il sole, s’intende, a meno del cospicuo spazio dedicato a questa nuova offensiva (sei intere pagine!) e di due significative particolarità, la prima delle quali è l’aver rinunciato ai vecchi cavalli di battaglia (o ronzini o bufale che dir si voglia).

Infatti chi firma l’inchiesta, l’ex-governatore regionale Mauro Pili, non parla più di uranio impoverito (assodato finalmente che nei poligoni sardi non è mai stato sparato un solo proiettile all’UI), né di polveri sottili e di gas radon (riconosciuto che si tratta di sostanze presenti non tanto nell’aria dei poligoni quanto nelle metropoli: le prime soprattutto nelle ore di punta del traffico e durante i periodi di riscaldamento invernale, e il secondo nelle cantine di qualsiasi abitazione a prescindere). Non si parla neanche più di arsenico (chiarito che si tratta di residui di lavorazione delle vecchie miniere di Baccu Locci) né viene più tirato in ballo il doloroso ricordo di Valery Melis, il povero ragazzo esibito per anni come una bandiera anti-militarista, finché il tribunale di Cagliari sentenziò che la sua morte era dovuta a “cause che non avevano nulla a che vedere con l’UI”.

La seconda particolarità dell’inchiesta è di non fare alcun riferimento alle sentenze della Procura di Cagliari e del TAR della Sardegna e alle delibere dell’Arpas regionale. Nessun cenno infine a quanto dichiarato sull’argomento da organismi nazionali e internazionali e da personalità scientifiche del calibro di Franco Mandelli, Franco Nobile e Giuseppe Remuzzi, fino ad arrivare ai professori Giorgio Trenta e Mario Mariani.

Il “disastro ambientale” sbandierato quale nuova accusa contro i militari è stato in realtà già archiviato (precisazione omessa dall’articolista) con un “non luogo a procedere” del GUP di Lanusei su proposta dello stesso perito del tribunale (e non di parte, si badi bene) professor Mariani. L’autore dell’inchiesta ha quindi dovuto attribuire la responsabilità dello sbandierato inquinamento radioattivo a due nuovi agenti: i missili Tomahawk e i missili anticarro Milan, dando con ciò la stura a due inquietanti interrogativi. Mentre i Tomahawk sono stati messi sotto accusa perché, si precisa nell’inchiesta, “… è stato rinvenuto nel sangue di un malato di tumore… acciaio, silicio e torio che s trovano nei missili Tomahawk”, i Milan invece sono incriminati perché il sistema di guida contiene tre grammi di sostanza inquinante.

La prima delle due inquietanti domande è: come mai in Sardegna nessuno si è accorto del lancio, all’insaputa dei padroni di casa, di un missile da crociera con una gittata di 2500 chilometri in dotazione ai sommergibili USA con capacità nucleare?

Seconda domanda: come mai gli abitanti dei paesi gravitanti nelle aree dei poligoni (che necessariamente per tutta la vita ne respirano l’aria e si nutrono dei prodotti della terra, del latte e delle carne del bestiame che pascola all’interno dei poligoni stessi nonché del pescato delle loro coste) come mai queste popolazioni non solo riescono a sopravvivere alle radiazioni ma detengono addirittura il record mondiale di longevità (i fratelli Melis di Perdasdefogu), oppure sono annoverati tra gli abitanti in condizioni di salute e di efficienza psico-fisica tipiche delle fortunate blue-zone del pianeta (studio sulla popolazione di Teulada dei ricercatori Gaviano-Petretto dell’università di Cagliari) e infine sono oggetto di indagine da parte dell’ICC che si occupa dei centenari a livello mondiale?

La risposta è racchiusa in una alternativa che non lascia scampo: o quegli abitanti sono degli alieni che possono essere tirati su tranquillamente a pane e radiazioni oppure le radiazioni che si rilevano all’interno dei poligoni non si discostano, chiacchiere a parte, da quelle rilevabili nel restante territorio regionale.

Altri dettagli che emergono dalle sei pagine dell’inchiesta è l’aver attribuito al poligono di Teulada il decesso, in dieci anni, di 10 dei 52 abitanti di Foxi, “…frazione attaccata al poligono”. Causa della morte? “Morti di crepacuore … perché nella settimana prima queste persone avevano avuto davanti a casa la presenza di attività militari”.

Merita un cenno anche la citazione degli ormai celebri “agnelli storpi” (peraltro già catalogati dai sindaci di Perdasdefogu e di Villaputzu come “clamorose falsità” e “sconcertanti non-veridicità”) e di un cenno a “ 167 croci“, di cui però non è dato sapere nulla a meno di sei nomi di battesimo. Per quanto riguarda infine un “... terribile … devastante … inesorabile incendio da apocalisse … maledettamente visibile da ogni emisfero della costa occidentale della Sardegna causato dai top gun dell’aviazione tedesca che avevano scelto l’estate per destreggiarsi a colpi di caccia per dilaniare le rocce con aggeggi da mille chili…”, il riferimento è a un incendio verificatosi il 3 settembre 2014 in occasione di un esercitazione di tiro svolta dagli avieri tedeschi di stanza a Decimomannu con l’impiego del consueto materiale inerte che, appunto perché tale, contiene un artifizio fumogeno che ne fa individuare il punto di arrivo al fine di verificare la giustezza del tiro. Fu quel minuscolo artifizio, e non le bombe da mille chili distruttrici di rocce, a innescare purtroppo l’inesorabile incendio, di cui peraltro già nella primavera successiva non restava alcun segno. L’unica vera conseguenza di quell’incendio fu che i tedeschi, forse stanchi delle continue recriminazioni dei Pili nostrani, lasciarono definitivamente la Sardegna unitamente ai loro lauti stipendi e ponendo anche fine alle loro consolidate donazioni di sangue a favore dei talassemici sardi.

Questo l’insieme delle accuse cui manca solo l’insinuazione che il Covid 19 abbia risparmiato le aree dei poligoni sardi perché ha valutato che “… lì non c’è bisogno di me, tanto ci hanno già pensato i militari!”

Quel che tuttavia sorprende maggiormente per questo ennesimo attacco contro l’immagine delle Forze Armate è l’assoluto silenzio che ne è seguito. Alla scontata totale chiusura della stampa isolana a qualsiasi tentativo di replica o dibattito proposto da chi scrive, si è sommato il silenzio dei vertici politici e militari, dello stesso governatore della Sardegna e persino dei paesi danneggiati economicamente e turisticamente per la sovrapposizione alla loro immagine reale di “paesi dei centenari” quella di “paesi-Chernobyl” costruita da certa stampa. Questo silenzio, percepito dall’uomo della strada e dal soldato come un silenzio-ammissione, non può essere motivato con la consueta illusione che possa servire per smorzare le polemiche o di mettere in discussione l’obiettività della fonte, per quanto l’inchiesta sia firmata da quel Mauro Pili che, si legge sul suo profilo web, è noto per essere stato ribattezzato simpaticamente dal Presidente Cossiga “il copista” (o carta-carbone o copia-incolla) a motivo di un programma politico di sviluppo proposto per la Sardegna che in alcuni passaggi rivelava di essere stato copiato bovinamente da un documento redatto per la Lombardia. È da considerare infatti che se essere sconfitti da un nemico di valore può essere doloroso, dimostrarsi perdenti o silenti con un avversario di normale caratura ha sul cittadino-soldato un effetto quanto meno deprimente.

Di questo parere deve essere stata anche la famiglia Crociani, sola eccezione nel silenzio generale, che ha intentato tempestivamente un’azione legale contro il binomio Unidos-L’Unione per le accuse di diffamazione implicite nei titoli Corruzione e armi. Storia di una dinasty miliardaria sul disastro nel poligono di Quirra. La famiglia Crociani infatti era azionista di riferimento della Vitrociset, presente nel poligono di Perdas con un centinaio di dipendenti che collaborano con la Difesa nel campo aereonautico e spaziale. Inutile dire che questo risvolto economico, che si aggiunge ai circa 10.000 stipendi che esercito, marina ed aeronautica “spendono” in Sardegna, non ha suscitato l’interesse dell’articolista.

Tra i rari segnali di “non ci sto” è da registrare anche l’iniziativa del presidente di una sezione di associazione d’arma, Giangabriele Carta, un nome noto al Pili in quanto il 20 febbraio 2002 Carta, allora comandante della Regione Militare della Sardegna durante la presidenza Pili, inviò al suo omologo una lettera che precisava che “… le Forze Armate offrono alla Regione Autonoma della Sardegna la possibilità di svolgere da parte di qualsiasi persona da voi incaricata, a qualsiasi ora, in qualsiasi giorno, con qualsivoglia strumento ... controlli finalizzati al monitoraggio dell’aria, del terreno e dell’acqua nei poligoni della Sardegna”.

Al di sopra di questo contesto generale aleggia una classe politica del tutto indifferente alle problematiche militari, impegnata a ripartire le scarsissime risorse disponibili per finanziare le esigenze più impellenti, tra le quali pare non rientri il finanziamento degli straordinari per i soldati di cui ai TG citati in apertura, mentre miglior sorte toccherà al riscatto per la “liberazione” della cooperante di turno, rientrata in patria con un volo di Stato e accolta dalle massime cariche governative nella sua veste ufficiale di neo-convertita all’islam (Inevitabile tornare col pensiero all’assenze di autorità per il rientro in Italia della salma di Fabrizio Quattrocchi e per le recenti esequie del poliziotto pasquale Apicella ucciso dai rom).

C’è da chiedersi cosa pensino, nell’aldilà, dell’attuale stato di cose figure come Francesco Cossiga, Franco Magnani, Alberto Li Gobbi, Oreste Viligiardi, Vittorio Santini, Pietro Corsini, Luigi Federici ed altri Comandanti incontrati nel corso della mia esperienza militare?

Nicolò Manca