Fincantieri, una grande delusione

02/03/16

Gentile direttore, ho letto recentemente alcuni articoli dedicati al settore della nostra cantieristica e più in particolare dedicati alle ultime vicende che hanno coinvolto una delle aziende che può essere considerata, non a torto, una delle ultime aziende italiane tra le più importanti a livello nazionale ed europeo. Mi riferisco a Fincantieri.

Dopo aver letto, con gioia, anche sul suo giornale una rinnovata attenzione al settore marittimo e della cantieristica navale, che si è manifestata e concretizzata in questo ultimo anno, appena trascorso, con lo stanziamento da parte del Governo di fondi destinati al rinnovamento della flotta della Marina Militare per un importo pari a 5,4 miliardi di euro, noto con non poco fastidio un comportamento da parte di Fincantieri che deprime le speranze nell’opinione pubblica nazionale. Mi riferisco senza tanti giri di parole ai licenziamenti che l’ad Giuseppe Bono ha imposto quale cura per il dissesto finanziario che l’azienda sembra stia attraversando.

Sui giornali nei giorni scorsi leggevo che il senatore Vito Vattuone ha incontrato i referenti dell`azienda e, subito dopo, le organizzazioni sindacali. Così il senatore spiegava la situazione in atto: “L`azienda mi ha confermato che c`è un vuoto di lavoro, un problema transitorio. La legge navale aprirà una nuova fase nei carichi di lavoro, ma l`avvio è un po` rallentato”. Le aspettative riguardo l`avvio delle nuove costruzioni per rinnovare la flotta della marina militare erano diverse e al posto della cassa integrazione aperta dal 7 marzo alla fine di giugno - si attendevano piuttosto nuove assunzioni.

A questo proposito, Vattuone, che ha contribuito allo stanziamento di 5,4 miliardi di euro da parte del governo per la fornitura di nuove unità, rimarcava che le difficoltà sarebbero state di breve durata: “Capita nelle fasi iniziali. L`azienda ha ridotto il più possibile il numero di dipendenti coinvolti e il vuoto andava risolto in modo diverso, evitando la cassa integrazione con l`accordo per lo smaltimento delle ferie”. Sul punto, buona parte delle organizzazioni sindacali è d`accordo: continua il calo di dipendenti sostituiti da ditte esterne. Tuttavia, alla politica hanno chiesto - al di là delle fasi transitorie - di occuparsi di un altro aspetto: quello che riguarda il calo significativo dei dipendenti, e in misura maggiore gli operai, sostituiti dalle ditte esterne che lavorano in appalto. Nel cantiere di Riva Trigoso, nel 2008 i dipendenti erano 952, di cui 602 operai e 350 impiegati (28 donne nel complesso). Nel 2012 il numero totale scende a 786 addetti, di cui 471 operai e 315 impieganti (26 le donne totali). Nel 2015 i numeri diventano questi: 672 dipendenti, di cui 366 operai e 306 impiegati (invariato il numero delle donne). Risulterebbe un`incidenza degli appalti esterni nelle aree scafo e allestimento del 55 per cento.

“Fincantieri sta cambiando natura” da quanto afferma Sergio Ghio, responsabile alle politiche industriali per la Cgil, presentando il caso della Pergolo, ditta da oltre mezzo secolo di storia e 40 dipendenti in cassa integrazione. «Impiega manodopera locale, gente del territorio - ha dichiarato Ghio -. Si occupa di impianti elettrici e ha un`altissima professionalità. Il suo destino è nero da quando ha perso l`appalto sulla settima e ottava Fremm: Fincantieri l`ha dato alla sua controllata romena Vard».

Chi ha visto la Marina Militare battersi per una certa confluenza politica affinchè venissero stanziati finanziamenti importanti a favore della cantieristica nazionale per rinnovare la flotta navale militare, avrebbe immaginato, non dico una maggiore occupazione, ma almeno la salvaguardia degli attuali posti di lavoro e un risparmio derivante dal non utilizzo della cassa integrazione. In fondo sono sempre soldi pubblici e pensare che essi vengano spesi per assicurare lavoro e far ripartire l’economia nazionale è un pensiero che rassicura i cittadini anche per spirito di solidarietà con gli operai del settore.

Invece no!

Con una decisione improvvisa l`amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono, ha comunicato di avere assunto la responsabilità ad interim della direzione navi mercantili del gruppo. La direzione navi mercantili è storicamente la business unit più importante di Fincantieri, e fa capo agli stabilimenti di Monfalcone (Gorizia), Marghera (Venezia), Genova Sestri Ponente, Ancona, Castellammare di Stabia (Napoli) e Palermo. Si tratta dei siti dedicati alla costruzione di navi da crociera e traghetti, settore nel quale Fincantieri primeggia a livello mondiale. Gabriele Cocco, il dirigente che fino a ieri ne aveva la responsabilità diretta, è stato destinato ad altro incarico. Contestualmente, Bono ha provveduto a nominare due vice direttori generali: Alberto Maestrini (direttore navi militari) e Pier Francesco Ragni (direttore business development). Angelo Fusco ha assunto invece l`incarico di vice responsabile della direzione navi militari. La decisione di Bono è maturata in un momento di particolare delicatezza, per Fincantieri. Dopo le dimissioni del direttore generale Andrea Mangoni e le voci della necessità di un aumento di capitale, gli investitori attendono di conoscere il piano industriale dell`azienda, che sarà reso noto in concomitanza con il bilancio il prossimo 31 marzo.

Presentando i dati relativi ai primi mesi del 2015 (chiusi con una perdita di 96 milioni), Bono aveva spiegato che «l`andamento della gestione riflette il forte incremento dell`attività produttiva e di progettazione. Tale incremento è conseguenza dell`importante crescita del portafoglio ordini. Tuttavia, il peso degli ordinativi di navi prototipo, acquisiti a bassa marginalità nella fase più acuta della crisi per sostenere l`attività produttiva, ha penalizzato la redditività del gruppo. A ciò si sono aggiunti gli effetti della crisi del settore Gas, causata dalla non prevedibile discesa del prezzo del petrolio, e il perdurare delle difficoltà di Vard in Brasile, legate anche alla situazione economica e politica del Paese». Ad accelerare la decisione di Bono, secondo quanto ricostruito, i ritardi accumulati nella costruzione della nave da crociera Carnival Vista, nel cantiere di Monfalcone. Non è un caso che negli ultimi giorni nei siti produttivi del Nord Est l`azienda abbia richiamato alcuni ex direttori di cantiere, la cui esperienza è considerata evidentemente molto preziosa in questa fase. Fincantieri, oltre ad avere consolidato il rapporto con il gruppo americano Carnival, ha firmato un accordo storico con la Msc della famiglia Aponte ed è stata scelta da Virgin Cruises per la realizzazione delle sue prime navi da crociera: due scommesse su cui Bono ha puntato molto.

Ma allora perché licenziare?

Fincantieri si trova oggi di fronte a grosse difficoltà a livello finanziario, produttivo, organizzativo, e gestionale, e con qualche problema anche sul versante giudiziario.

Nonostante la crescita complessiva degli ordini che Fincantieri può vantare, il suo titolo, quotato in partenza (luglio 2014) 0.78 centesimi, vale ora 0.31. Il tonfo è dovuto a più fattori.

Anzitutto la crisi di Vard, la divisione del gruppo a più alta redditività, che costruisce navi specializzate nella ricerca nei fondali sottomarini di petrolio e gas. Con un prezzo del petrolio in forte calo a livello mondiale, pure gli investimenti delle multinazionali petrolifere in questo ambito sono in drastica diminuzione. Ne è derivata la riduzione di attività di tutti i cantieri europei e una situazione quasi al collasso nel cantiere Vard in Brasile, che ha risentito della caduta dell’economia brasiliana, della paralisi del governo Rousseff e della bufera che ha investito Petrobas, con il ritardo nell’inizio dello sfruttamento dei giacimenti marini. Il profit warning (ovvero l’annuncio di profitti in calo) dell’ottobre scorso ha ufficializzato questa condizione critica. Quando Fincantieri acquistò il 55% di Vard (gennaio 2013) un’azione Vard valeva 1.3 euro, ora è quotata 0.16. Il secondo fattore di difficoltà è costituito dalla riduzione dei profitti nella attività centrale del gruppo, la costruzione di navi da crociera; una riduzione dovuta al fatto che Fincantieri – negli anni più acuti della crisi – si era assicurata molti ordini vendendo a prezzi stracciati le sue navi ai grandi armatori (non meno potenti e multinazionali di Fincantieri, a partire dalla statunitense Carnival). Il terzo è la crescente incertezza che grava sull’economia cinese, in forte rallentamento, mentre Fincantieri puntava molto su joint-venture da realizzare con Carnival sul mercato cinese.
Del resto in Europa, tra il 2008 e il 2011, la pesante crisi di sovrapproduzione del settore ha portato alla chiusura di una trentina di cantieri, con la distruzione di 50.000 posti di lavoro. E – come in altri settori produttivi – la ripresa di attività è stata stentata sia in Europa che altrove. Tanto per dire: Hyunday chiude i primi nove mesi del 2015 con una perdita operativa di 1 miliardo di dollari, Daewoo con una perdita di 2,8 miliardi, mentre la Mitsubishi ha accumulato perdite per oltre un miliardo sulla commessa di navi da crociera per Aida Cruise. Altrettanti problemi per le altre società operanti nel settore ricerca di petrolio e gas, come Technip o Saipem, anch’esse in perdita.

In breve: le contraddizioni e convulsioni dell’economia mondiale hanno smontato l’ottimismo dei vertici di Fincantieri che hanno sempre manifestato. In conseguenza di tutto ciò, Fincantieri si trova ora nella necessità, smentita formalmente ma reale, di procedere ad un sostanzioso aumento di capitale (si parla di 500 milioni di euro su 800 milioni di capitalizzazione complessiva), con le incognite del caso, dato che l’ingresso in borsa di Fincantieri fu un mezzo fiasco. E c’è stato subito chi, fiutando il maltempo in arrivo, se l’è data a gambe levate. Si tratta del direttore generale di Fincantieri, Andrea Mangoni, dimessosi nottetempo con una modesta buonuscita di 3 milioni di euro “per otto mesi di lavoro”… Il giorno dell’addio comparve sui giornali una sua foto in cui se la rideva a crepapelle. E ti credo!

Vediamo ora come questo cambiamento della situazione si ripercuote nel rapporto padrone-operai. Bono e la sua compagine hanno progressivamente adottato in Fincantieri la linea-Marchionne, presentando un insieme di pretese oltranziste: 104 ore di lavoro in più l’anno (circa 30 minuti totalmente gratuiti di lavoro in più al giorno), generalizzazione del 6×6 senza alcun limite alle ‘flessibilità’ dell’orario, modifica radicale dei criteri del premio di produzione e delle relative quantità, controlli a distanza sui lavoratori, ulteriore espansione del ricorso al lavoro in appalto e alle agenzie interinali, drastica limitazione dell’attività sindacale nei cantieri, solo per dirne le maggiori.

Certo tutta questa situazione si distacca fortemente da quell’idea di Italia che riparte, che il presidente del Consiglio Renzi si sforza di pubblicizzare in ogni occasione e chiudo questa mia missiva ponendo un quesito, che però a me pare legittimo, siamo sicuri che questa situazione non sia imputabile ad un cattivo management, ad una guida forse ormai superata e datata che ha fatto il suo tempo e che utilizza metodi e modi discutibili, in fondo è solo dal 2002 che l’attuale ad si trova alla guida dell’azienda.

Non è forse arrivato il momento di cambiare, di smetterla con gli emolumenti impossibili, pensare un po’ più ai lavoratori e alle loro famiglie e magari riprendersi indietro anche le liquidazioni d’oro pagate, caratteristiche di un uso e malcostume appartenente ad un’era geologica economica che in molti speravano superata?

Giovanni Di Vittorio

(foto: Fincantieri / Vard)