Cina: un Memorandum è per sempre?

(di Luca Pacioli)
22/07/23

La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi. (Edward R. Murrow, Citazione dal Giulio Cesare di Shakespeare al termine di una puntata di See it now).

Il tempo si presenta con la puntualità delle cambiali in protesto; il 2024 già porta il tintinnio delle campanelle cinesi che rammentano la scadenza dell’MoU sottoscritto nel 2019 da Roma e Pechino (foto). C’è da preoccuparsi. Non è certo responsabilità di chi scrive, incolpevole Jessica Rabbit disegnata da altri, ma di chi non ha saputo valutare una situazione complessa e che nel tempo si è definitivamente trasformata in un labirinto più intricato dello svincolo stradale di Chongqing1. Se la BRI non è un nuovo Piano Marshall, il Memorandum è invece un ibrido collocato al di fuori dell’ordinamento giuridico internazionale, visto che non è usuale che un protocollo, ancorché in forma semplificata, preveda di non dar luogo ad alcun diritto o dovere senza considerare la necessità di rammentare gli obblighi discendenti dall’appartenenza alla UE di un Paese che, abituato a decidere di non decidere, dà per scontate infrastrutture più che rilevanti.

Cosa succede nel pianeta geopolitico dell’Impero di Mezzo? La politica estera segna diverse criticità; l’assenza del ministro degli Esteri Qin Gang ha privato le feluche di un protagonista indiscusso; al netto dei gossip, interessa comprendere se esista un problema politico reale, conseguenza di dissidi interni, capace di mettere all’angolo il Grande Timoniere, mentore di Qin. Ipotetiche (e drammatiche) sostituzioni comporteranno la necessità di inquadrare immediatamente il profilo del nuovo capo di una diplomazia potenzialmente in antitesi con il rigido vicepremier Wang Yi. L’assenza di Qin, ex ambasciatore a Washington, fa scalpore specie perché coincidente con gli incontri con le delegazioni USA, segnatamente quello con il segretario al Tesoro Janet Yellen; comunque, mai sposare tesi non confermate: lo stesso Xi Jinping nel 2012, poco prima di assumere la leadership, alimentando voci su lotte di potere, era scomparso per due settimane. Per sapere com’è andata a finire chiedere a Hu Jintao. Ma Pechino guarda anche più vicino, a Taiwan, ad uno scenario Z, che ipotizza l’estensione globale di un conflitto regionale. La postura del G7 rispetto all'invasione ucraina, ha ravvivato le possibilità di subire analoghe misure asimmetriche anche in caso di azioni appena sotto il livello di guardia cinetico di un’invasione militare.

Come ogni aspirante egemone Pechino è dunque a caccia di informazioni (dice qualcosa il 5G?); in proposito l'Ong Safeguard Defenders rivela che nel mondo ci sono circa 102 stazioni di polizia cinesi più o meno occulte11 in Italia2, frutto di accordi su cui, in tema di attività di ordine pubblico e sovranità, ci sarebbe da riflettere. Non a caso il Regno Unito ha lanciato un allarme circa le capacità cinesi di penetrare proficuamente in ogni settore economico inglese; superfluo sottolineare che l’analisi diffusa dall’Intelligence and Security Committee of Parliament (Isc), intitolata China, ha seriamente imbarazzato il governo di Rishi Sunak, accusato di aver sottovalutato una minaccia più che concreta, specie alla luce degli avvertimenti lanciati dal mondo accademico e dall’MI5, relativamente alla presenza all’interno del Parlamento3 di un presunto agente cinese, Christine Lee.

In Europa negli ultimi 15 anni le tattiche ibride russe e cinesi sono aumentate; un rapporto annuale del 2022 pubblicato dal Copasir, evidenziando le attività volte ad ottenere accessi ed influenza, lo ha ribadito, individuando le criticità nei domini informativi, politico-diplomatici, cibernetici, economici.

Sempre nel 2022 il Servizio europeo per l'azione esterna ha trovato allineamenti informativi tra Mosca e Pechino, accompagnati a campagne di stampa e di pensiero volte all’assunzione di posizioni critiche e contrarie al sostegno a Kiev.

Torniamo in Cina. Dopo un 2022 contrassegnato da un tasso di crescita al ribasso, grazie alla fine delle rigidissime misure anti Covid, nel 2023 si attendeva un incontenibile rally. Malgrado un iniziale rilancio, il trend ha rallentato con l’emersione di una preoccupante disoccupazione giovanile al 20,4%. Stime di crescita economica dunque al ribasso, anche perché comincia a farsi strada la consapevolezza di una sofferenza strutturale.

Cause? L’economia cinese poggia su consumi, esportazioni ed investimenti settorializzati in edilizia, manifatture e infrastrutture. Tra le priorità spicca sia la necessità di ridurre l’indebitamento, sia di riequilibrare il settore edilizio, messo in crisi nel 2021 dal quasi default di Evergrande, cresciuta sulle ali del debito, dal rallentamento degli investimenti e da una contrazione delle vendite immobiliari per un valore pari al 5% del PIL del 20224, cui si aggiungerà nell’anno corrente un deficit fiscale al -7,4% del PIL, senza contare lo stop al settore bancario che eroga i mutui o, peggio, che deve riscuotere i prestiti erogati a famiglie che non vedranno mai terminata la loro abitazione. Insomma: crisi nera di liquidità che si è cercato di risolvere emettendo prodotti di risparmio al dettaglio, i Wealth Management Products, che promettono rendimenti assimilabili a schemi di Ponzi, più sconti destabilizzanti sulle quotazioni di mercato.

Momento Lehman? Beh, perché no? Se gli investimenti piangono i consumi non ridono, fiaccati dagli effetti da deprivazione sensoriale di domanda causa Covid. Le fragilità interne, caratterizzate da un 2023 ancora instabile, incidono ancora di più sul tessuto di un Paese scettico e poco fiducioso, un binomio che spinge al risparmio piuttosto che alla spesa; del resto la Cina presenta un welfare inesistente ed una redistribuzione da propaganda che si sposa con un’inesistente prosperità condivisa.

Nei primi mesi del 2023 l’export è salito, mentre l’import è sceso con un aumento del surplus commerciale. La debolezza cinese è double face: se è vero che i prezzi cinesi al consumo e alla produzione sono scesi riducendo gli oneri dell’import da Pechino, drenando così parte dell’inflazione occidentale, è altrettanto vero che un calo della domanda cinese avrebbe effetti negativi sulle esportazioni occidentali, accentuando la tendenza al rallentamento globale. La previsione è dunque negativa, con un possibile calo dell’export causato dalla contestuale contrazione della domanda occidentale inibita dall’inflazione, ed aggravato dall’incapacità di equilibrare eccesso produttivo e consumi interni. Insomma, il tanto atteso cavaliere bianco cinese non arriverà a salvare nessuno, anzi, dovrà guardarsi da una più che probabile deflazione.

L'economia perde slancio rispetto alle aspettative; malgrado la crescita su base congiunturale del PIL, il Dragone è in affanno, la sua debolezza è una mina vagante per l’economia planetaria. Prioritario per Xi evitare di mancare ancora l’obiettivo ufficiale di crescita e cambiare strategia a passo di corsa, anche perché in economia i contagi sono velocissimi e letali. Esiste dunque il rischio di una crisi, congiunturale o strutturale, si vedrà: ci sarebbe bisogno di interventi strutturali di riallocazione delle risorse finora rimandati, un aspetto che fa dubitare della possibilità di sorpassare l’economia yankee.

Se la Cina, demograficamente invecchiata prima di essere diventata ricca, offrirà tassi di interesse più bassi rispetto agli altri concorrenti, in primis gli USA, peggiorando l’indebitamento, si esporrà al rischio di fughe di capitali, un rischio evidenziato dalla debolezza dello yuan rispetto al dollaro, con una perdita di valore dall’inizio dell’anno del 10%.

Pechino dà l’addio agli investimenti occidentali? Oltre alle incognite economiche e ad una crescita foriera di possibili default che attenterebbero alla politica del consenso, è iniziata anche un’attività repressiva delle società di consulenti5 composte da insider aziendali ed ex commis di stato a cui gli investitori occidentali si rivolgono per comprendere le celesti traiettorie, perché accusate di attività spionistiche, malgrado non più tardi di pochi anni fa siano state elevate all’onore degli altari di mercato dallo stesso Xi. Come passa veloce il tempo quando ci si diverte! Il primo problema ha riguardato illiquidità immediate, in un momento in cui l’imprevedibilità delle decisioni del Timoniere rendono rischioso qualsiasi investimento; il secondo ha visto istituzioni cinesi porsi in connessione paradossale ed asimmetrica con fondi illiquidi del decadente Ovest che però comincia a parlare di decoupling e derisking6. Insomma, alla luce di possibili crisi congiuntural-strutturali, Pechino e Washington somigliano sempre di più ai gatti siamesi di Lilli e il Vagabondo, con il felino cinese capace di nascondere la reale portata dei suoi interventi sui mercati. Tra attività in valuta estera non conteggiate come riserve e prestiti per i quali non accetta haircut ma solo rinegoziazioni, la Cina è finanziariamente ancor meno trasparente di prima.

Qual è il rischio per l’Europa? Lo squilibrio dei rapporti commerciali: più cresce l’import cinese più si rafforza la dipendenza economica. Italia docet: la firma dell’MoU del 2019 non ha in alcun modo incrementato l’export tricolore, soverchiato da un aumento monstre dell’export cinese7 dedicato agli aficionados delle calcolosi biliari. L’insegnamento impartito dalla guerra in corso è uno: cercare una differenziazione certa nelle forniture, specie se non ascrivibili ad una cerchia di sicure alleanze8. Bisogna farsene una ragione: della Cina non ci si libera facilmente, specie se detiene il controllo di materie prime ed elementi rari.

In cauda (ariecco) Italia. L’attuale esecutivo, in tempi ristretti, è chiamato a decidere sul rinnovo del MoU del 2019, tenendo conto delle pressioni esercitate da Washington che non intende perdere un alleato nel contrasto a Pechino. Nel momento in cui l’Europa, con Francia e Germania, cerca di trovare una quadra nel suo rapporto con la Cina l’Italia, non rinnovando l’accordo, incorrerebbe in un paradosso, ovvero creare delle lesioni politiche al termine di un periodo in cui gli accordi non hanno influito positivamente in nulla. Il problema, come il peccato, è originale, essendo generato da un errore marchiano, ovvero firmare un accordo senza disporre di precise garanzie sui suoi vicendevoli vantaggi. Va rammentato che, pochi giorni dopo la firma dell’MoU, Xi ha siglato accordi cooperativi con Francia e Germania (più smart) senza che fossero scambiate lettere d’intenti, evitando patetici scivoloni forieri di limitazioni di sovranità, conseguenti ad anni di negoziazioni poco ponderate condotte da chi non ha mai compreso di essere alle prese con il tentativo di conformare un nuovo ordine mondiale volto ai prossimi cinquant’anni. Di certo è mancata la consapevolezza della globalità degli interessi in gioco, puntando magari ad aumentare la spesa pubblica ma senza una rinnovata struttura normativa saltando a piè pari le regole che, di base, governano l’economia9. Nel 2018, 27 ambasciatori UE su 28 hanno criticato i metodi della BRI; nel 2019 l’Italia vi ha aderito. Fatevi una domanda e datevi una risposta, ricordando che l’accordo, volente o nolente, ha un profondo, vincolante e pericoloso significato politico. Chi parla di scatole vuote è quanto meno in errore.

L'MoU per alcuni è un cavallo di Troia, per altri un passo falso aggravato da una serie di imperdonabili sviste, prima tra tutte l’obbligo di una disdetta invece della più agevole mancanza di rinnovo automatico, ed un coinvolgimento ibrido della Farnesina, maldestramente sopravanzata dal Ministero dello Sviluppo Economico con l’intento di conferire un esclusivo carattere tecnico bypassando i pur presenti contenuti politici. L’attuale governo non discuterà sui se, ma sul quando, considerato che già l’esecutivo Draghi ha ibernato l’accordo con il difficile intento di non deteriorare i rapporti diplomatici e con l’incombente caveat NATO, per cui la Repubblica Popolare rimane una minaccia sistemica. Il dubbio che la politica estera nazionale possa essere andata in prolungata anossia è persistente e rafforzato dalla lettura di valutazioni del 2019 che ora, alla luce di quanto accaduto, risultano o infondate, o grottesche10 o, peggio, nocive11, soprattutto in considerazione di una domanda ancora non posta: se l’MoU era una lettera d’intenti, quali avrebbero dovuto essere le condizioni vincolanti del successivo contratto, soprattutto alla luce della successiva politica di tutela strategica nazionale, faticosamente attuata con lo strumento del golden power, che sta coprendo un numero sempre più esteso di settori?

Alla stessa stregua del famoso cerino acceso, il Memorandum è arrivato alla scadenza carico di contraddizioni, di errori, di valutazioni sbagliate, di totale mancanza di analisi: asserire che si discuta solo di un accordo commerciale significa, nella migliore delle ipotesi, non aver capito nulla, anche perché si tratta di un documento sì privo di concretezza ma che, per sua natura, preluderebbe a negozi con una controparte che non concede mai nulla: chi si attendeva ricchi premi e cotillons è destinato a lasciare la sala con un pugno di coriandoli, a meno che non conceda a Pechino asset e tecnologia a fronte di benefici risibili o come se permettesse, ipotesi da X files, accesso e permessi di libera circolazione sul territorio nazionale a mezzi e militari russi, ipotesi di per sé ridicola e assurda. Forse.

Un mancato rinnovo potrebbe essere denunciato come infrazione? Legalmente no, politicamente porterà conseguenze mitigabili con accordi esclusivamente commerciali, anche perché, per poter partecipare al piano di rilancio economico USA da 6,8 trilioni di dollari sarà necessario mostrare affidabilità. Che piaccia o meno, la geopolitica occupa nuovamente le scene: il problema è comprendere i contesti per tempo giocando con intelligenza le proprie carte.

E qui, Edward R. Murrow che ci ha introdotto con Shakespeare a comprendere perché gli unici responsabili delle nostre sciocchezze siamo noi stessi, non può che salutarci con il suo Good Night, and Good Luck. Della seconda c’è un bisogno disperato.

1 5 livelli, 20 rampe, 8 direzioni

2 Da segnalare: Prato, Firenze, Milano, Roma, Bolzano, Venezia e la Sicilia

3 A partire dal 2005 Lee avrebbe donato 675.586,88 sterline al deputato laburista Barry Gardiner (poi dimessosi) o direttamente al partito Laburista.

4 Dati CSIS

5 La maggiore società oggetto di controlli è Capvision, fondata nel 2006 da ex consulenti Bain & Co. ed ex investment banker Morgan Stanley; la società è stata accusata di attività di intelligence pro Occidente.

6 Vd anche le cd. Riserve Ombra, valuta estera acquistata dalla Banca popolare cinese e poi spostata extra bilancio su fondi sovrani, oppure la valuta estera acquistata dalle banche statali che agiscono sul mercato come se lavorassero per stabilizzare il tasso di cambio. La Cina acquista valuta estera per poi prestarla a organi istituzionali che la investono fuori confine. Molte delle scorte occulte sono state investite in attività illiquide, cosa che non le renderà riserve in caso di shock. La Cina ha scoperto che detenere troppe riserve significa sia sottostare a particolari controlli sulle sue attività sul mercato dei cambi, sia dover rispondere sul perché investa in Agenzie e non in sviluppo.

7 Secondo Bloomberg da febbraio 2023 le esportazioni italiane verso la Cina hanno superato i tre miliardi di euro. I motivi dell’incremento non sono chiari, anche perché i benefici conseguenti all’MoU sono stati limitati. A rendere positivo l’export italiano è la riconducibilità al settore farmaceutico. I media hanno ipotizzato che ci sia stata una crescita della domanda cinese di acido ursodesossicolico, indicato per sindromi epatiche e biliari.

8 Il 74% delle batterie importate nell’UE sono di provenienza cinese; la Lituania, dopo aver autorizzato l‘apertura di in un ufficio di Taiwan sul proprio territorio, ha subito da Pechino un embargo sull’export, crollato dell’80%.

9 Concorrenza, mercato interno, parità tra impresa pubblica e impresa privata, certezza

10 Ricostruzioni non rispondenti a verità degli eventi Covid in Cina

11 Chiusura agli Stati del Golfo Persico, riconsiderazione della Russia quale fulcro geopolitico globale a cui non imporre alcuna sanzione

Foto: presidenza del coniglio dei ministri