Chi stiamo aiutando, siamo sicuri dei peshmerga curdi?

20/01/16

Da marzo del 2015 ad Erbil, i militari italiani della missione “Prima Parthica” addestrano i peshmerga  curdi, presenti nel nord dell’Iraq, per contrastare le forze dell’ISIS. Ne hanno addestrati fino ad oggi più di 5000 unità. Lo scopo principale è l'addestramento basico di fanteria, le procedure da adottare in ambienti in cui sono presenti trappole esplosive (Counter Improvised Explosive Device/C-Ied) e il training con il sistema d'arma anticarro 'Folgore', donato dal Governo italiano.

Il Folgore è un sistema d'arma leggero per la fanteria, sviluppato dalla Breda a partire dal 1974, che consiste in una sorta di cannone senza rinculo, più leggero del normale, con una munizione calibro 80 mm, con carica HEAT o HE. Il raggio di tiro è di circa 1000 metri che diventano 4,5 km mediante l'impiego di proiettile razzo. In pratica la carica HE può utilmente essere impiegata fino a 2000 metri, mentre la HEAT solo fino a 1000 metri. Il sistema è stato ordinato dall’Italia in 800 unità per un costo di diverse decine di miliardi di vecchie lire. Il Folgore, tuttavia,  non ha avuto un grande successo poiché tendeva ad essere troppo ingombrante e pesante, specie con il treppiede (oltre 25 kg!), e la granata da 80 millimetri non era sufficiente contro i carri armati moderni. Il proietto HEAT ha infatti capacità perforante di soli circa 450 millimetri di acciaio. Il pezzo necessita inoltre di due uomini per essere gestito ed è più indicato per la difesa statica, non adatto per compiti di fanteria che richiedono armi da poter spostare rapidamente.

Fonti accreditate dicono che i peshmerga stanno riscuotendo sul campo importanti successi anche mediante l’utilizzo del sistema “Folgore”. Probabilmente nei conflitti asimmetrici questo tipo di arma riesce ad avere maggiore successo.

Questo preambolo ci porterebbe a dire “Bravi, Ben fatto”. Invece! Sono rimasto perplesso da un rapporto di oggi di Amnesty International, dove  si documentano numerose violazioni dei diritti umani nel nord dell’Iraq, ad opera dei peshmerga - le forze del governo regionale del Kurdistan - e anche delle milizie yazide. Si, prorio quei peshmerga da tempo sostenuti e armati dai governi occidentali in funzione anti Isis, compresa l’Italia che ha inviato armi e addestratori militari. Più testimoni sostengono che i peshmerga quando riconquistano un  villaggio, le case e i raccolti stanno in piedi, subito dopo distruggono tutto con i bulldozer ed impediscono il rientro degli abitanti originari.

Amnesty International, sempre nel rapporto,  accusa i peshmerga e altre milizie curde di aver demolito, fatto esplodere o dato alle fiamme migliaia di abitazioni nel nord dell’Iraq, dopo aver raccolto informazioni sul campo in 13 città e villaggi e aver ascoltato oltre 100 fra testimoni oculari e vittime di sparizioni forzate. A supporto di queste voci, si aggiungono immagini satellitari che documentano le distruzioni di massa ad opera dei peshmerga e anche, in alcuni casi, di milizie yazide e gruppi armati curdi provenienti da Siria e Turchia, sempre coordinati dai peshmerga. Il rapporto, dal titolo Banished and disposessed: forced displacement and deliberate destruction in northern Iraq, descrive gli sfollamenti forzati e la distruzione su larga scala delle abitazioni nei villaggi e nelle città delle province di Ninive, Kirkuk e Diyala, che i peshmerga hanno strappato a Daesh tra settembre 2014 e marzo 2015.

A Sibaya e in altri quattro villaggi arabi nei dintorni (Chiri, Sayir, Umm Khabari e Khazuqa), la maggior parte delle case è stata data alle fiamme nel gennaio 2015 dalle milizie yazide e da gruppi armati curdi provenienti da Siria e Turchia e operanti nella zona del Sinjar. Amnesty International ha visitato la zona nel novembre 2015 e ha verificato l’ampia distruzione di questi villaggi. In occasione di una precedente visita, nel mese di aprile, molte case erano state saccheggiate e incendiate ma stavano ancora in piedi.

Secondo Amnesty, i peshmerga hanno tentato di dare la colpa alle milizie dell’ISIS, senza fornire alcuna prova, smentiti anche da altri curdi che hanno ammesso che l’obiettivo della distruzione era fare in modo che gli abitanti arabi non avessero più un posto in cui tornare.  Secondo Amnesty international, lo sfollamento forzato di civili e la deliberata distruzione di case e beni di proprietà senza giustificazione militare possono equivalere a crimini di guerra.

Non ci sono ragioni di sicurezza, come affermato da rappresentanti del governo regionale curdo, ma la volontà di punire le popolazioni arabe per il loro sostegno – reale o presunto – a Daesh e quella di ottenere e consolidare vantaggi territoriali in una zona contesa, da sempre rivendicata dai curdi, a loro tempo obbligati a sfollare da Saddam Hussein, che vi aveva insediato popolazioni arabe. 

E la comunità internazionale?

Gli Stati che sostengono i peshmerga, dovrebbero condannare pubblicamente queste violazioni del diritto internazionale umanitario e interrompere “subito” l’assistenza che stanno fornendo. Mi auguro che questo rapporto “shock”, svegli le coscienze.

Femaz