S524: In immersione con il sommergibile “Longobardo” (prima parte)

(di Lia Pasqualina Stani)
11/07/16

Ore 03.35. In realtà avevo “puntato” la sveglia alle quattro. Devo essere in Arsenale per le 05.15. Ho un po' di strada da fare. Mi sono svegliata dopo appena tre ore di sonno.

Sono felice e sorridente, con una di quelle espressioni in viso che non puoi paragonare a nessuna altra emozione. Quando il tenente di vascello Carlo Faggiana, capo Nucleo Pubblica Informazione del Comflotsom, mi chiama qualche giorno prima, per comunicarmi che si sta profilando l’incredibile opportunità di salire a bordo di un sommergibile, non ho un momento di esitazione nel dargli conferma. E nella fretta non ascolto le ultime parole... Mi aspettava una “levataccia”. Lo sento sorridere mentre io sono irrefrenabilmente entusiasta.

In quel momento mi sento un po' come il comandante Primo Longobardo: non amava stare a terra, preferiva il mare, per questo chiese di tornare, insistentemente, al comando di un sommergibile.

Quando il t.v. Faggiana mi dice il nome del sommergibile rimango basita per la mia “sensazione” appena sperimentata.

L'S524 infatti prende il nome dal capitano di fregata Primo Longobardo, comandante sommergibilista e medaglia al valor militare della 2° Guerra Mondiale. E’ stato realizzato nello stabilimento di Monfalcone della Fincantieri S.p.A e consegnato alla Marina Militare Italiana il 14 dicembre 1993. Appartiene alla classe Sauro IV serie.

Il porto di assegnazione del Longobardo è Taranto. Non mi aspetta una delle “solite” visite conoscitive a bordo del battello. Assisterò ad un’immersione addestrativa durante la “Exer Medusa”, un’attività congiunta tra sommergibilisti e nuotatori paracadutisti del 1° reggimento della brigata marina San Marco. Fulcro della missione sarà il rilascio occulto del suddetto team dal sommergibile.

Credo di essere tra le poche fortunate, scrivendo per un giornale come Difesa Online che racconta le Forze Armate, ad avere l’opportunità di partecipare a questa attività.

Giunta al Comando Flottiglia, attendiamo il comandante, il capitano di vascello Stefano Russo. Temporeggiamo qualche minuto, sorseggiando un caffè, nell’attesa di ricevere il “nulla osta” ad imbarcare. Quando ci avviamo verso la banchina, dov’è ormeggiato il Longobardo, ad attenderci c’è il comandante del sommergibile, il tenente di vascello Robert Gelsomino, un giovane comandante italo-inglese, affabile e concreto. Percorro la passerella frettolosamente e, dopo una decisa stretta di mano, il comandante mi regala il “berretto” e mi ha invita ad indossarlo. Lo metto sul capo con un po' di imbarazzo: ho forse qualche merito per portarlo?

Il sorriso del comandante, in cui traspare tutta la fierezza di appartenere ai sommergibilisti, mi aiuta a superare l'impasse.

Subito dopo sale a bordo il comandante della Flottiglia, c.v. Russo, a cui vengono resi gli onori di rito, con tanto di "fischio".

Mentre il t.v. Faggiana ed alcuni sottufficiali del Comflotsom seguono tutte le fasi dell’attività addestrativa dall’esterno con la “Mein”, una motobarca d’appoggio ad idrogetto (a fine attività sarà impiegata anche per il nostro trasferimento dal sommergibile all'Arsenale), saliamo a bordo attraverso la garitta di prua.

Mi ritrovo nella camera di lancio e nell'alloggio equipaggio, un lungo corridoio con ai lati le “brande”. In piedi sono sistemati i marò del 1° reggimento della brigata marina San Marco, che stanno già controllando il loro equipaggiamento per l’attività da effettuare.

Neanche il tempo di arrivare in camera di manovra che il comandante Russo ed il comandante Gelsomino mi invitano a salire in plancia per seguire la manovra di disormeggio affianco agli addetti ai lavori.

Quando il battello inizia a “muoversi”, alle mie spalle i due comandanti sono in piedi sulla torretta. Nonostante il sole, fa freddo ed un vento “pungente” la fa da padrone.

Descrivere l’emozione che provo stando in plancia passando sotto al Ponte Girevole della citta di Taranto - lo stesso che percorro a piedi - e fare gli onori al Castello Aragonese è difficile. Ogni aggettivo sarebbe inappropriato. Una cosa è certa: la “famiglia” dei sommergibilisti è unica come le emozioni che regala. Ho gli occhi sgranati e non penso a nulla. Sono alla “prima” di uno spettacolo. Quelle emozioni sono in me “impronte” indelebili.

Dalla plancia del Longobardo, vedo la “mia” città e, soprattutto, la vita da un’altra prospettiva. Il mare e il cielo tra le rispettive sfumature si confondono.

Quando scendiamo dalla plancia, chiuso portello e contro portello, mi ritrovo di nuovo in camera di manovra. Comprendo che, a bordo di quel battello, ognuno in quello spazio ha assunto il proprio ruolo nella relativa postazione. C’è un “vociare” di comandi secchi e ben precisi.

L’inizio di questa immersione, forse, non è particolarmente emozionante per i veterani dell’equipaggio, ma lo è per me che mi sento come una nuova imbarcata alla prima esperienza. Ops, lo sono davvero!

Nella camera di manovra, il “cuore” di un sommergibile, si gestiscono tutti gli eventi operativi: dalla manovra d'immersione ed emersione, alla normale condotta del battello. Qui vengono rilevati e processati i segnali provenienti dal Sonar “passivo” che ascolta, configurandosi come un vero e proprio orecchio elettronico ad altissima sensibilità. I sommergibili devono ascoltare “i suoni” che si propagano in acqua senza farsi notare, “senza fare rumore”.

C'è nel frattempo chi traccia la rotta servendosi di un “tavolo di carteggio” con le carte nautiche.

Al centro della camera di manovra si trovano due periscopi: quello “di attacco” usato in condizioni operative, e quello “di esplorazione”.

A quota periscopica in base alla presenza di eventuali minacce di superficie esterne al battello, è possibile calcolare quanto tempo “in sicurezza” si può stare col periscopio ammainato sfruttando il solo ausilio degli apparati. Stare sempre col periscopio “alto” predispone ed espone ad una minaccia.

Guardo affascinata la tastiera degli sfoghi ad aria, da dove si governa l‘immissione di aria nelle casse zavorra per far emergere il battello, oppure si comanda l’immissione di acqua nelle stesse casse per appesantirlo e farlo immergere.

Sempre in camera di manovra c’è la “consolle autopilota” dove il timoniere attraverso un indicatore di rotta e velocità ed una “cloche”, simile a quella degli aerei, governa il battello eseguendo gli ordini dell’ufficiale di guardia in manovra.

Accompagnata dal comandante Gelsomino passiamo dal locale degli accumulatori di batterie. Mi viene raccomandato di fare attenzione perché la presenza di olio rende scivolosa la passerella.

Ci dirigiamo verso il “locale quadri elettrici” dove si gestisce il motore elettrico, e quindi la propulsione.

Per i sommergibilisti, il battello ha un’anima. Non ci sono spazi e non c’è molta privacy: 50 sommergibilisti circa, uomini e donne, devono azzerare gli spazi vitali. Per ognuno di loro il proprio compagno gode del massimo rispetto. Corridoi strettissimi, dove gli “abbracci” non mancano - si scherza - senza perdere la concentrazione e con le “orecchie ben aperte! per percepire i comandi che arrivano dai colleghi e dal comandante. Ciascuno deve affidarsi all’altro, perché la vita - prima di tutto - dipende da ciascuno di loro.

Il sommergibilista deve essere dotato di grande stabilità nervosa, perché in condizioni di estrema criticità deve rispondere in maniera logica a tutto quello che avviene, soprattutto in camera di manovra.

Il ruolo del comandante Gelsomino - a capo dell'equipaggio - così come quello del comandante Russo - a capo della Flottiglia nonché supervisore durante l’attività addestrativa Medusa - fa capire come questa componente della Marina Militare Italiana sia formata da seri professionisti che amano il loro mezzo e la vita in mare, supportando ed affiancando con preziosi consigli ed adeguati insegnamenti i propri uomini.

(continua)

(foto: Marina Militare)