Quella che stiamo per raccontarvi è la storia di Giovanni Lo Porto, detto Giancarlo, il cooperante siciliano rapito dai miliziani di Al Qaeda nel gennaio 2012 ed ucciso accidentalmente da un drone americano il 15 gennaio 2015 al confine tra Afghanistan e Pakistan.
Giovanni nasce a Palermo il 23 giugno del 1977 in un rione non difficile, ma difficilissimo; il quartiere dello Sperone nei primi anni ottanta è una sorta di Bronx siciliano dove la micro e la macrocriminalità dettano legge, storie di droga e di mafia sono all’ordine del giorno, molte case popolari sono occupate abusivamente, pochi giovani riescono a seguire proficuamente gli studi.
Non fa eccezione la famiglia Lo Porto che riesce ad andare avanti con tante difficoltà, ma Giovanni si distingue particolarmente a scuola, viene da tutti gli insegnanti definito un alunno modello; nel 1995 dopo aver conseguito il diploma di scuola superiore decide di andar via lasciando una situazione familiare dove si profilano già all’orizzonte le prime beghe con la giustizia di uno dei suoi fratelli; il sogno di Giovanni è aiutare gli altri, le popolazioni che nel mondo vivono la sofferenza della guerra, perché in fondo anche lui ha vissuto in una zona di guerra non dichiarata, quella Palermo martoriata degli anni 80-90 dalla quale in tanti sono dovuti fuggire alla ricerca di un mondo migliore.
Ma Giovanni non ha mai dimenticato la famiglia, anche quando si trovava a Londra alla London Metropolitan University e si auto manteneva facendo lavori saltuari, quando riusciva a raccogliere qualcosa le mandava a casa per aiutare la mamma; in terra britannica consegue due lauree e si specializza in Giappone in “Conflitti e pace”.
Comincia a collaborare con le O.N.G. dopo aver girato in vari paesi del mondo ed appreso lingue e dialetti, i primi incarichi sono in Pakistan, poi ad Haiti, isola martoriata dal terremoto, poi nuovamente in Pakistan nella provincia del Punjab ad aiutare le popolazioni locali a ricostruire le proprie case distrutte da un’alluvione.
Giovanni faceva quello che la politica dice di voler fare, e non fa, aiutare le popolazioni povere nei propri territori insegnando loro tecniche di potabilizzazione delle acque, moderne tecniche di agricoltura, rudimenti scolastici ed altre cose tutte finanziate dalle O.N.G. Chi lo ha conosciuto personalmente delinea il profilo di una persona eccezionale, “professionalmente ed umanamente”, lo racconta alla stampa Margherita Romanelli la coordinatrice per una delle organizzazioni per la quale Giovanni ha lavorato.
All’improvviso quella maledetta telefonata, la Farnesina chiamò il fratello per comunicare la notizia dell’avvenuto rapimento del cooperante siciliano e chiese espressamente di mantenere il più rigoroso silenzio stampa per agevolare il lavoro della intelligence; Edoardo Pucci, ex responsabile dell’unità di crisi della Farnesina ogni giorno tranquillizzava la famiglia fornendo le ultime notizie e tranquillizzando circa la presenza di mediatori internazionali che stavano portando avanti la trattativa per il rilascio.
La zona era impervia, una catena montuosa al confine tra Pakistan ed Afghanistan dove viene condotta una guerra segreta della C.I.A. che con l’ausilio dei droni cerca di stanare i più pericolosi criminali al servizio di Al Qaeda che si rifugiano in questi luoghi impervi e si autofinanziano con i sequestri di persona.
Poi la notizia divenne di dominio pubblico, il presidente Mattarella ne parlò in una Camera deserta e la stampa diede delle notizie molto frammentarie; in realtà i servizi segreti italiani sapevano altri particolari che in quel momento non potevano comunicare a nessuno, Lo Porto era stato sequestrato assieme a Warren Weinstein un imprenditore americano direttore in Pakistan di JE Austin Associates, un’azienda che si occupa di migliorare la competitività delle aziende in zone svantaggiate del mondo finanziato con diversi milioni di dollari dal governo americano.
Alcuni uomini, otto nella ricostruzione fornita dalla C.I.A., lo avrebbero prelevato direttamente presso la propria abitazione secondo la prassi comune di chiedere successivamente il riscatto ai paesi d’appartenenza o direttamente alle O.N.G.
L’altro sequestrato era Bernd Muehlenbeck che lavorava presso la stessa organizzazione di Lo Porto, la tedesca Welt Hunger Hilfe; Muehlenbeck, è stato fortunato essendo stato rilasciato in Afghanistan successivamente; diversa la sorte toccata agli altri due sequestrati ma per arrivare a questo punto dobbiamo per forza raccontare chi erano i rapitori, un particolare rilevante che ha contribuito in maniera notevole alla sorte dei due rapiti.
Secondo gli uomini della C.I.A. dispiegati nella zona, i sequestratori sono Adam Gadahn e Ahmed Farouq assolutamente non sequestratori qualsiasi ma dei pezzi grossi di Al Qaeda; il primo Adam Gadahn in realtà si chiama Adam Pearlman nato il primo settembre 1978 in Oregon, quindi cittadino americano convertitosi all’Islam in una moschea della California e poi fuggito dagli Stati Uniti per sostenere la causa islamica, diventato il braccio destro di Osama Bin Laden al punto di essere considerato dai servizi segreti americani l’ispiratore di molti video minacciosi del leader di Al Qaeda, video ideati da lui stesso e nei quali spesso compare in video o come speaker e certamente nel ruolo di traduttore.
Per questo motivo gli uomini dell’F.B.I. lo hanno inserito ai vertici di una lista accusandolo di cospirazione, terrorismo e tradimento, da tempo gli davano la caccia.
Poco o nulla si sa dell’altro sequestratore, Ahmed Farouq, definito dal presidente degli Stati Uniti come cittadino americano in combutta con il terrorismo islamico mentre gli stessi militanti di Al Qaeda in una nota ufficiale hanno riferito che il vero nome del terrorista fosse Raja Muhammad Salman e che le sue origini fossero indiane e non americane; in questo gioco delle parti si nascondono strategie non comprensibili ai non addetti ai lavori, probabilmente la volontà di Al Qaeda è quella di nascondere la collaborazione dei tanti cittadini americani passati dalla loro parte e fatti lavorare sotto traccia per non destare sospetti nelle autorità americane.
Obama è stato categorico, bisognava scovare questi traditori dell’America con ogni mezzo e ha avallato la “Guerra dei droni” in ogni parte del mondo, una guerra che ha ucciso parecchi terroristi ma ha assassinato un numero ancora maggiore di civili inermi; il fotoreporter americano Luke Somers catturato da Al Qaeda nello Yemen è stato ucciso per sbaglio in un attacco lanciato all’alba da un drone U.S.A.. Dura la presa di posizione di Amnesty International nelle parole del suo portavoce in Pakistan: “Grazie alla segretezza che avvolge il programma sui droni, l'amministrazione Usa ha licenza di uccidere senza controllo giudiziario e in violazione degli standard basilari sui diritti umani. È giunto il momento che gli Usa rendano noto il programma e chiamino a rispondere i responsabili delle violazioni di tali diritti”.
Guerra senza regole, senza controlli e senza colpevoli dunque, una guerra silenziosa che ha prodotto centinaia di morti nella guerra tribale in Pakistan, uno di questi casi lascia veramente senza parole; eravamo nel luglio 2012, il sole calava all’orizzonte, Mamana Bibi 68 anni, aveva appena finito di raccogliere ortaggi dal proprio terreno, la cena era appena stata servita quando si è udito un sibilo a cui è seguita una esplosione nella quale la donna è morta assieme a tutta la sua famiglia, secondo Amnesty International si trattava di agricoltori e non di terroristi come indicato nei rapporti ufficiali americani.
Secondo un trattato della O.N.G. britannica Reprieve il rapporto tra terroristi uccisi e civili inermi assassinati negli attacchi con drone senza pilota è di uno a ventotto, numeri che se confermati dovrebbero fare riflettere.
Proprio durante uno di questi attacchi assieme ai due terroristi di Al Qaeda Ahmed Farouq e Adam Gadahn sono stati uccisi i cooperanti Weinstein e Lo Porto, la notizia non è stata data subito, un silenzio generale ha avvolto la vicenda in attesa di riscontri oggettivi finchè la Casa Bianca il 23 aprile ha comunicato ufficialmente la notizia destando l’ira della moglie dell’americano ucciso, Elaine, che ha definito l’operato dei mediatori americani responsabili della trattativa del rilascio “incoerente e deludente”.
Anche la famiglia Lo Porto ha denunciato profondo rammarico per i contorni di questa vicenda, non sono bastate le parole di scusa del presidente Obama: “Non ci sono parole per esprimere in modo adeguato il nostro dolore per questa terribile tragedia" ha dichiarato Obama da Washington. "A nome degli Stati Uniti chiedo scusa a tutte le famiglie coinvolte. Come presidente e comandante in capo mi assumo la responsabilità di tutte le operazioni antiterrorismo, compresa questa”.
Ed effettivamente il presidente americano è stato di parola, la famiglia è stata risarcita, senza nessuna ammissione di colpa con una donazione che ha suscitato l’ira della famiglia dell’italiano.
“Ci è stato offerto un milione e duecento mila dollari, non come risarcimento ma come donazione a titolo di favore, oltre al danno la beffa di doverci pure pagare le tasse”.
È la prima volta che gli Stati Uniti propongono un accordo con la famiglia di una vittima a seguito di un “signature strike”, una svolta in tal senso.
Silenzio sul sito ufficiale della O.N.G. tedesca Welt Hunger Hilfe, con la nota umanità teutonica non vi è traccia del lavoro di Giovanni Lo Porto alle dipendenze della organizzazione finanziata da enti pubblici e privati sparsi in tutto il mondo che vanta un bilancio di poco meno di trecento milioni di euro l’anno con 409 progetti approvati in 39 paesi poveri sparsi per il mondo, a corollario di questa profonda umanità non si trova una parola in favore del cooperante siciliano ucciso.
Recentemente il colpo di scena: uno dei fratelli di Giovani Lo Porto è stato arrestato dalla polizia a seguito di una operazione contro Cosa nostra, si è scoperto che era il cassiere della famiglia di Brancaccio. Ma questo non c’entra nulla con Giovanni Lo Porto, lui da vent’anni era lontano da casa, la sua vita ha dell’incredibile e per questo va tenuto in grandissima considerazione il suo ricordo. Per molti è già un eroe.
(foto: web / U.S. DoD / U.S. Air Force)