L'importanza della cooperazione civile-militare

15/07/15

Il presente contributo prende le mosse dall’attuale panorama internazionale, anche riguardo ai teatri in cui sono impegnate, a vario titolo, le nostre Forze Armate, e le proposte di legge che, negli ultimi mesi, hanno riscosso eco mediatica, attirando l'interesse dello scrivente sia in qualità di giurista attento alle questioni militari, sia di “politico” e che, seppur in direzioni opposte, evidenziano la centralità e l’importanza sempre crescente che deve (o dovrebbe) assumere la cooperazione civile-militare ed offrono lo spunto per alcune riflessioni, considerazioni e proposte.

Mi riferisco, in particolar modo:

alla legge di iniziativa popolare riguardante le “Istituzione e modalità di finanziamento del Dipartimento della Difesa Civile non armata e nonviolenta”, promossa da una serie di movimenti, gruppi ed associazioni varie, aderenti alla campagna “Un’altra difesa è possibile”; alla proposta lanciata dal ministro dei Beni culturali e del Turismo, Dario Franceschini che, in un'intervista a 'The Guardian', del marzo scorso, ha chiesto di creare una forza di pace delle Nazioni Unite per proteggere i siti del patrimonio mondiale messi a rischio dall'Isis.

Quanto alla prima, essa è una proposta di legge che, depositata presso la Suprema Corte di Cassazione nel Luglio dello scorso anno, ha visto raggiungere le 50.000 firme proprio nei giorni scorsi, con la relativa consegna di tutto il dossier presso la Camera dei Deputati.

Prima di entrare nel merito della suddetta proposta, è curioso sottolineare, da una parte, che la raccolta firme di cui sopra ebbe inizio, come detto, poco più di un anno fa, in occasione della prima “Festa della Repubblica che ripudia la guerra”, celebratasi proprio il 2 Giugno; dall’altra, la sua (della proposta di legge) “copertura politica” che, sin da allora, avrebbe avuto come referente principale, per conto delle Istituzioni, l’attuale Presidente della Camera, on. Laura Boldrini.

Oltre alla suddetta, scorrendo le pagine del sito internet di riferimento (http://www.difesacivilenonviolenta.org/grazie-alle-firme-da-tutta-italia...), sembra che, ad aderire all’iniziativa, siano stati anche “decine di Sindaci di città grandi e piccole (Roma, Milano, Napoli, Genova, Reggio Emilia, Pavia, Modena, Messina, Vicenza, Livorno, Cagliari…) e di tanti Consigli Comunali, come dell’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna”.

Entrando nel merito, invece, la proposta di legge in questione consta di soli quattro articoli: quello che più interessa ai fini del presente contributo è l’articolo 1 che spiega la natura e i fini di questo nuovo strumento che dovrebbe essere addirittura alternativo (si badi: non complementare) alla difesa armata.

Al comma 1, infatti, si afferma che “ In ottemperanza al principio costituzionale del ripudio della guerra, di cui all’articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana, ed al fine di favorire l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, di cui all’articolo 2 della Costituzione, e l’adempimento del dovere di difesa della Patria di cui all’articolo 52 della Costituzione, viene riconosciuta a livello istituzionale una forma di difesa alternativa a quella militare denominata “Difesa civile, non armata e nonviolenta”, quale strumento di difesa che non comporti l’uso delle armi ed alternativo a quello militare”.

Successivamente, al comma 2, si specifica che “Ai fini di cui al comma precedente, viene istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il “Dipartimento della difesa civile, non armata e nonviolenta”, dal quale dipendono: 1) i Corpi Civili di Pace, la cui sperimentazione è inserita nella Legge 27 dicembre 2013, n. 147 che prevede l’istituzione di un contingente da impegnare in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto o a rischio di conflitto o nelle aree di emergenza ambientale; 2) l’Istituto di ricerca sulla Pace e il Disarmo, da istituirsi con apposita Legge successiva”, mentre, al successivo comma, che “Per i fini di cui all’Articolo 1 Comma 1 della presente legge, il “Dipartimento della difesa civile non armata e nonviolenta” deve prevedere forme di interazione e cooperazione con:

il Dipartimento della Protezione Civile come organo di riferimento del Servizio Nazionale di Protezione Civile regolato dalla Legge 12 luglio 2012, n. 100 e successive modifiche ed integrazioni il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile incardinato presso il Ministero dell’Interno; il Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale regolato dal DPCM 21 giugno 2012, in particolare con l’istituzione di un “Consiglio Nazionale della difesa civile, non armata e nonviolenta” fra i suddetti Dipartimenti con compiti paritetici di indirizzo e di confronto da normare con successivo Regolamento emesso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri di concerto con il Ministero degli Interni”.

Da ultimo, al comma 4, vengono finalmente specificati i compiti di questo nuovo e futuristico strumento di difesa che, secondo i proponenti, dovrebbero consistere nel “ 1) difendere la Costituzione, affermando i diritti civili e sociali in essa enunciati, la Repubblica e l’indipendenza e la libertà delle istituzioni democratiche del Paese; 2) predisporre piani per la difesa civile non armata e nonviolenta, coordinarne la loro attuazione, e curare ricerche e sperimentazioni, nonché forme di attuazione della difesa civile non armata, ivi compresa la necessaria formazione e l’educazione della popolazione; 3) svolgere attività di ricerca per la pace, il disarmo, per la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa e la giusta e duratura risoluzione dei conflitti, e predisporre studi finalizzati alla graduale sostituzione della difesa armata con quella civile nonviolenta, provvedere alla formazione del personale appartenente alle sue strutture; 4) favorire la prevenzione dei conflitti armati, la riconciliazione, la mediazione, la promozione dei diritti umani, la solidarietà internazionale, l’educazione alla pace nel mondo, il dialogo inter-religioso ed in particolare nelle aree a rischio di conflitto, in conflitto o post-conflitto; 5) organizzare e dirigere le strutture della Difesa civile non armata e nonviolenta e pianificare e coordinare l’impiego dei mezzi e del personale ad essa assegnati; 6) contrastare le situazioni di degrado sociale, culturale ed ambientale e difendere l’integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni cagionati dalle calamità naturali”.

Sarebbero diverse le notazioni da avanzare, ma, per necessità di spazio e contingenza di argomenti, mi limito ad evidenziare quanto specificato all’art. 4, co. 4, n. 3, laddove si fa cenno alla graduale sostituzione della difesa armata con quella civile nonviolenta. E’ pacifico ormai che, anche a fronte delle leggi 230/1998 e 64/2001, per “dovere di difesa” (art. 52 Cost.) ci si debba rapportare a più forme di adempimento: sia in senso militare ed armato, sia in senso disarmato e non militare (perciò “civile”). Ma è altrettanto evidente che la definizione ordinaria di “difesa nazionale” resta disciplinata nella l. 14 novembre 2000, n. 331, che attribuisce alle Forze Armate il “compito prioritario della difesa dello Stato”, ed il compito di operare “al fine della realizzazione della pace e della sicurezza, in conformità alle regole del diritto internazionale ed alle determinazioni delle organizzazioni internazionali delle quali l’Italia fa parte”. Inoltre, esse devono concorrere “alla salvaguardia delle libere istituzioni” nonché svolgere “compiti specifici in circostanze di pubblica calamità e in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza” cui adempiono con le forze eventualmente disponibili, ossia qualora non impegnate nell’adempimento del compito prioritario indicato dalla legge. Di conseguenza, come affermato da una dottrina in materia pressoché unanime, per difesa nazionale bisogna oggi intendere il complesso delle predisposizioni, misure ed azioni, militari e civili, che consentono alla Nazione di prevenire e fronteggiare situazioni di crisi e di emergenza, interne ed internazionali, nonché di conflitto armato.

Tra l’altro, se è vero, come sostengono i fautori di questa proposta di legge, che l’art. 11 della nostra Costituzione prevede il ripudio della guerra come strumento di offesa, non lo esclude, però come strumento di difesa, così come previsto anche dalla Carta delle Nazioni Unite (di cui l’Italia fa parte) che a sua volta, pur vietando in principio l’uso della forza (art. 2), precisa che nessuna delle sue disposizioni pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale e collettiva, e prevede espressamente la possibilità di utilizzare la forza armata per reagire ad una aggressione (art. 51), ovvero nel caso in cui occorra difendere la pace (Titolo VII).

E’ dunque evidente l’attuale e necessaria dicotomia tra difesa civile e difesa militare, ma i promotori della legge sembrano ignorare che:

già con D.P.C.M. del 18 febbraio 2004 è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un Comitato di consulenza per la difesa civile non armata e non violenta (DCNAN); che proprio tale Comitato ha evidenziato quanto finora ribadito dallo scrivente, ossia della necessaria complementarietà - e non già alternatività - della difesa civile e di quella militare, anche nell’ottica dei Trattati e degli Organismi internazionali di cui l’Italia fa parte; che, proprio al fine di armonizzare gli interventi di difesa militare nel quadro delle norme dettate dall’alleanza atlantica, con esplicito riferimento ai compiti- per la verità residuali- che la legge del 1992 attribuisce anche alle Forze Armate in tema di protezione civile (che in questo caso deve essere senz’altro considerata “difesa civile”), esiste presso lo Stato Maggiore della Difesa un “Centro militare per la difesa civile” che organizza annualmente Corsi di cooperazione civile-militare. che, circa il ruolo dei militari e dei civili nelle aree di conflitto, specie con riguardo alla fase di prevenzione dei conflitti, ma anche alle diverse forme di peacekeeping e di peacebuilding civile, in termini operativi esse, a livello operativo, non possono essere ricondotte esclusivamente all’ambito progettuale inserito nell’attuale sistema di SCN. Per dirla in altri termini non si ritiene possibile affidare in toto il ruolo di peacekeepers non militare ai soli operatori di servizio civile (anche se appositamente formati), così come è innegabile che alcuni progetti ed alcuni soggetti impegnati nel sistema del servizio civile cosituiscono ancora oggi riferimenti privilegiati per la conduzione di operazioni di pace, di riconciliazione, di prevenzione, gestione e trasformazione dei conflitti.

Ebbene, di tutto ciò, i proponenti la legge di cui sopra, ed i loro referenti politici non sembrano affatto tener conto: e d’altronde, nel testo legislativo non vi è alcuna menzione a qualsivoglia interazione o sinergia con il ministero della Difesa o, comunque, con Autorità militari.

A ciò si aggiunga che, una simile proposta, non tiene conto neanche degli attuali scenari internazionali (la crisi in Ucraina, le diverse situazioni in Medio Oriente e nella regione Nord Africana, così come la non risolta instabilità nella regione del SAHEL, per citarne alcuni).

Al riguardo, in un suo recente intervento, svolto a Roma, in occasione di un workshop relativo alla “Civilian-Military Integration in the planning, l'Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, all'epoca Capo di Stato Maggiore della Difesa, ha sottolineato l’importanza di un sempre più crescente “comprehensive approach”, ossia di un approccio olistico e coordinato non solo tra gli Stati dell’UE, ma, al loro interno, tra la componente civile e quella militare, specialmente nelle strutture di livello politico-strategico a Bruxelles, per fronteggiare, risolvere o quantomeno mitigare le crisi sempre più dinamiche e complesse che caratterizzano lo scenario europeo e mondiale (in tal senso, sono testimonianza dell’importanza dell’effettiva integrazione civile-militare, ad esempio, le operazioni europee nel Corno d’Africa, come EUNAVFOR Atalanta, EUTM Somalia, EUCAP NESTOR).

A fronte di ciò, si ribadisce la totale inopportunità e non rispondenza alla realtà della proposta di legge che, tra l'altro è già stata portata all’attenzione del nostro Parlamento e che, come detto, sembra avere appoggi politici di eccezione.

In tale ottica, appare offrire la giusta sintesi quanto affermato già anni orsono da Franklin D. Roosvelt: “Competition has been shown to be useful up to a certain point and no further, but cooperation, which is the thing we must strive for today, begins where competition leaves off”.

In senso diametralmente opposto, invece, sembra andare la proposta del ministro Franceschini (che ha già avuto il “plauso” del direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova, e già al vaglio della VII Commissione del Senato), più sopra accennata ed oggetto qui di brevi considerazioni che prendono spunto dalla triste considerazione che i conflitti armati hanno costituito e costituiscono una delle principali cause di danneggiamento e distruzione del patrimonio culturale e mondiale, non solo per motivi di necessità di conseguire un obiettivo militare ma anche perché, nella strategia del soggetto aggressore, l’attacco ai beni culturali equivale al tentativo di annullare l’identità e le memoria storica del nemico (dalla antichissima “Carthago delenda est” agli odierni scempi dell’Isis). Ebbene, a seguito delle Convenzioni di Ginevra del 1949 e di quella dell’Aja del 1954 (e del II Protocollo del 1999), gli attacchi contro i beni culturali costiuiscono oggi gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e, nell’ambito di un conflitto, possono essere considerati reati nazionali, crimini di guerra o, perfino, crimini contro l’umanità: queste considerazioni non disgiunte dalla riflessione che l’Italia detiene la metà di tutto il patrimonio culturale del mondo ed il numero più elevato di beni considerati “patrimonio dell’umanità”, oltre al fatto che, con le proprie Forze Armate, è uno dei primi contributori dell’ONU per la partecipazione a missioni di supporto alla pace, hanno per l’appunto, indotto lo Stato Maggiore della Difesa a elaborare una direttiva che delineasse in generale gli elementi salienti delle norme, delle convenzioni e dei protocolli intervenuti in materia al fine di diffondere nell’ambito delle Forze Armate, il regime preventivo e sanzionatorio vigente in materia. Tale formazione è certamente propedeutica a quella che i nostri militari, a loro volta, devono fornire all’estero, nelle missioni in cui sono impegnati, e che vedono, tra i loro compiti, anche quelli di training and mentoring: Quindi, proprio riguardo ai Beni Culturali, appare ancora più evidente la necessità di una sempre maggiore ed intensa cooperazione civile-militare, anche per la particolare materia trattata e le specifiche professionalità richieste.

Nell’ottica della proposta del ministro Franceschini, stante le considerazioni sin qui svolte, si ritiene che le nostre Forze Armate ben possano essere il punto di riferimento, anche in sede ONU, nella preparazione, teorica e pratica, dei futuri- ed auspicabili- caschi blu specializzati nella difesa dei Beni Culturali, in un naturale contesto di cooperazione civile-militare soprattutto, in questo caso, con professionisti ed enti civili appartenenti al mondo dell’arte e della cultura.

Marco Valerio Verni

[L'autore, avvocato del Foro di Roma, è esperto in diritto penale, diritto penale militare e diritto internazionale umanitario. Ufficiale in congedo (Ruolo Commissari) del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana è Consigliere Qualificato delle Forze Armate per l'applicazione del D.I. U. nei conflitti armati e membro del Settore Rapporti Internazionali dell’Ordine degli Avvocati di Roma.]