La minaccia degli IED: Iraq 2003–2006

(di Paolo Palumbo)
23/01/17

Nel maggio del 2003 le truppe americane conclusero la loro avanzata verso Baghdad, piegando definitivamente ogni resistenza dell’esercito iracheno. L’esercito di Saddam Hussein non esisteva più, mentre l’amministrazione Bush era già al lavoro affinché lo stato iracheno avesse un domani. Dal punto di vista militare l’operazione “Cobra II” era stata un successo anche se: “focused almost exclusively on conventional war fighting with SOF forces operating in support of the main effort”1. Nonostante la superiorità della coalizione il controllo del territorio e della popolazione era, infatti, un obiettivo ancora lontano. Subito i soldati americani furono visti come dei liberatori, ma in poco tempo gli iracheni cambiarono opinione. Per i vincitori iniziò così un periodo che gli analisti definiscono “the lost years”: “a period of uncertainty in which US forces slowly recognized that, although major hostilities in Iraq had ended, the war was far from over”2.

Dall’aprile 2003 all’aprile 2004, l’incapacità di gestire correttamente il dopo Saddam scatenò la violenza della popolazione. Le truppe americane non colmarono, infatti, quella disparità che c’era tra la popolazione e la classe dirigente irachena la quale, tra l’altro, continuava ad essere corrotta. La nuova situazione creò l’humus ideale per l’insurrezione fomentata da ex militari dell’esercito i quali si unirono alle principali organizzazioni terroristiche che già da qualche tempo operavano sul territorio. Ovviamente gli iracheni non potevano fronteggiare ad armi pari le forze della coalizione, quindi usarono i principi tattici della guerriglia urbana, incluso un largo impiego di trappole esplosive e imboscate.

Nascita del problema IED

Il termine IED (Improvised Explosive Devices) non deve trarre in inganno “in the sense that some IED users and networks have quiet sophisticated production capabilities”3. L’impiego degli IED come arma primaria degli insorgenti ha avuto un’evoluzione molto rapida, compromettendo in breve tempo la sicurezza in tutto il paese. Il 28 giugno 2003 i giornali diffondevano il nome della prima vittima americana caduta a causa di uno IED: si trattava del 25enne Jeremiah Smith. Dal 2003 in poi gli attacchi compiuti con esplosivi aumentarono in modo esponenziale. Per il Pentagono si trattò di una vera a propria “sorpresa tattica”, come la definisce Andrew Smith: “a contemporary examples of conventional militaries being confronted with a tactical surprise with operational – if not strategic – implications”4. Grazie alla loro semplicità e ai materiali facilmente reperibili gli IED diventarono la “weapon of choice” degli insorti, il cui scopo era: “kill as many Americans as possible to erode domestic support for the war and provoke U.S. forces into overreacting to attacks”5. Agli insorti poco importava se tra le vittime ci fossero anche dei civili: la morte di innocenti avrebbe amplificato ulteriormente il loro messaggio di terrore. Inoltre, la popolazione doveva capire che il nuovo governo non poteva contrastarli, anche se appoggiato da una super potenza come gli Stati Uniti.

Mentre la politica dissertava su quale fosse la soluzione migliore per stabilizzare l’Iraq, aumentavano le vittime tra i soldati americani i quali rientravano in patria con orrende mutilazioni. La questione che assillava il governo americano riguardava diversi punti tattico strategici, tra cui come gli iracheni costruissero i loro ordigni, ma soprattutto dove trovassero il materiale esplosivo per confezionarli. La questione emerse nel 2004, proprio durante la fasi finali della campagna presidenziale che vedeva opposti il democratico John Kerry contro il repubblicano George Bush. Il senatore democratico presentò al Congresso un rapporto nel quale si notificava la misteriosa scomparsa di ben 377 tonnellate di esplosivo dal deposito militare di Al Qaqaa a sud di Baghdad6. Il disarmo totale delle forze irachene era dunque stato un fallimento. Inoltre, la stessa inchiesta concluse che l’esplosivo scomparso dai depositi di Al Qaqaa era solo una minima parte della quantità a disposizione degli insorti. L’esplosivo era l’elemento base che serviva a fabbricare uno IED, tuttavia la parte più importante riguardava tutto ciò che ruotava intorno ad un ordigno, a partire da chi lo costruiva, chi lo finanziava ed infine anche l’individuo che materialmente lo piazzava.

Alcuni IED venivano assemblati da mani molto esperte: “The insurgency’s expert bombmakers – spiega Montgomery McFate – are mostly former members of the Iraqi Intelligence Service (IIS), the Mukhabarat”7. Prima della fine del regime, l’unità incaricata della costruzione delle trappole esplosive era l’M-21 il cui lavoro era ripartito tra diverse sezioni poiché “no one person constructed an entire explosive device alone”8. Dal 2003 in poi gli IED iniziarono ad essere sempre più letali e diffusi come arma del terrore, anche tra i gruppi meno esperti. Inoltre l’uso di veicoli guidati da più o meno consapevoli attentatori suicidi (VBIED)9 aumentò sia la loro potenza, sia il raggio di azione10. Secondo uno studio di Scott Swanson gli IED potevano essere suddivisi in categorie collegate alla complessità della loro costruzione. Ad esempio, quelli progettati dagli ex membri dell’M-21 erano classificabili di primo livello, seguiti poi da quelli di medio livello un: “Offshoots of these groups or aspiring individuals fall into about 100 plus mid-tier expertise IED cells and insurgent networks”11. Infine, c’erano gli ordigni realizzati dai cosiddetti “low skill bomb makers and untrained willing participants in the form of gang structures or grieving locals”12.

Dopo un vasto uso di munizionamento ordinario (Unexploded Ordnance UXO), gli iracheni si specializzarono nella costruzione di dispositivi diversi, anche meno sofisticati. Questa era un’esigenza nata per ingannare – come vedremo – le contromisure sempre più tecnologiche adottate dagli EOD. Gli HME (Home Made Explosives) sfruttavano materiali più commerciali: “often composed of ubiquitous fertilizer, easily transportable and convertible to greater-than-TNT explosive power”13. Gli ordigni venivano fatti esplodere tramite radio comando (Remote Controlled RCIEDs) ricavati da oggetti di uso comune come il telecomando di una macchina o un telefono cellulare. In questo senso, paradossalmente, la presenza delle forze americane con tutte le loro apparecchiature saturò l’aria di frequenze radio che poi venivano sfruttate dagli stessi attentatori.

Un’altra evoluzione “più militare” degli IED, espressamente indicata per colpire i veicoli corazzati, erano gli EFP (Explosively Formed Penetrator) a punta cava azionati da sensori mobili. Queste armi non erano comunque costruite in Iraq, bensì provenivano dal contrabbando ai confini con l’Iran14.

Gli IED, oltre ad essere un’arma altamente distruttiva, producevano un effetto psicologico paralizzante. Come spiega Andy Oppenhemier essi potevano essere “hidden along highways and disguised in meals, drinks, dead animal carcasses, or as rocks; encased in cement, placed in manholes, or in tunnel under the road”15. Nessun angolo di territorio iracheno poteva definirsi realmente “libero” dal pericolo degli IED. Le forze occidentali potevano arginare il problema sul campo, tuttavia occorreva una strategia più ampia che interrompesse il flusso di materiali e competenze per costruirli.

C-IED: regole, contromisure, equipaggiamento e addestramento

Nel 2003 il generale John Abizaid inviò una nota al comandante del CENTCOM (Central Command) e al Segretario della Difesa Donald Rumsfeld. Il comandante dell’esercito americano in Iraq chiedeva che il Pentagono adottasse misure straordinarie contro gli IED ed in particolare “Abizaid described a need for a Manhattan-like project to address the IED problem”16. Il riferimento storico al progetto di costruzione della bomba atomica faceva comprendere l’urgenza e la gravità del problema il quale, per essere risolto, doveva coinvolgere diverse autorità civili e militari. La prima risposta fu la formazione della “Army IED Task Force” composta da 12 persone e con sede a Washington DC. Nel giugno del 2005 l’organizzazione si trasformò da “Joint Integrated Process Team” a “Joint IED Defeat Task Force” (JIEDD TF). Nel gennaio del 2006 nacque ufficialmente lo “Joint IED Defeat Organization” (JIEDDO)17.

Le autorità americane dovevano dare due diversi tipi di risposte al problema. La prima riguardava i militari sul campo, cioè fornirli di attrezzature e mezzi idonei per fronteggiare a breve termine l’emergenza IED. La seconda, a lungo termine, doveva includere un programma capace di neutralizzare gli IED ancor prima che venissero piazzati. Effettivamente il Pentagono migliorò la dotazione per le unità dell’esercito con sistemi di neutralizzazione e identificazione di esplosivi, anche in forma sperimentale: “Microwave blasts, radio frequency jammers, and chemical sensor”18. I primi jammers (chiamati “Warlock Greens” e prodotti dalla EDO Corporation), ad esempio, non erano così efficaci: essi creavano continue interferenze con i sistemi radio militari e gli insorgenti potevano cambiare le frequenze dei radiocomandi molto più rapidamente dei sistemi di disturbo19. Un altro strumento di grande valenza furono i “robot” o UGV (Unmanned Ground Vehicle) i quali dal 2003 ad oggi hanno subito continui upgrade per migliorare le loro prestazioni.

Per proteggere i soldati durante le pattuglie e gli spostamenti arrivarono in Iraq i famosi MRAP (Mine Resistant Ambush Protected), o Buffalo, con lo scafo a V i quali costarono all’amministrazione americana diversi milioni di dollari: “for every four to five soldiers killed while riding in armored HMMWVs that were attacked by IEDs in [Iraq], only one was killed in MRAPs attacked by similar IEDs”20.

Le unità EOD (Explosive Ordnance Disposal) erano la punta della lancia della controffensiva alleata verso gli IED dimostrando che il fattore umano era sempre e comunque il metodo migliore per combattere la minaccia degli IED. Americani e inglesi (quest’ultimi dotati di una maggiore background operativo proveniente dal conflitto in Irlanda del Nord) schierarono del personale EOD molto preparato: il loro carico di lavoro diventò ogni giorno più pesante con gravi conseguenze sulla salute psicologica degli operatori.

Il Pentagono e la NATO dovevano trovare una strategia Counter IED (C-IED) comune per eliminare il problema alla radice. Gli IED erano per definizione un’arma asimmetrica, una “weapon of strategic influence” e dunque rientravano nella più ampia strategia della COIN. La cosa più importante era spezzare il consenso nei confronti dei terroristi distruggendo le linee di rifornimento e il processo produttivo degli IED 21. In ultima istanza i militari della Coalizione dovevano organizzare un programma di addestramento per le forze armate irachene in modo da combattere autonomamente i terroristi e disinnescare gli ordigni.

Da questa volontà nacquero i tre punti fondamentali della strategia C-IED che in questa sede analizzeremo rispetto al problema iracheno: Attack the Network (AtN), Defeat the Device (DtD) e Prepare the Force (PtF). In Iraq il termine network riferito agli insorgenti assumeva delle caratteristiche fondamentali ed è tutt’oggi il nodo attorno al quale ruota tutta la strategia COIN. Attaccare la rete significa “enables offensive operations against complex networks of financiers, IED makers, trainers, and their supporting infrastructure”22. Il tessuto sociale entro il quale si muovevano gli insorgenti era chiuso, spaventato e diffidente, di conseguenza riuscire a carpire informazioni su dove si trovavano i depositi piuttosto che i laboratori degli esplosivi era quasi impossibile. Alcune cellule operative agivano all’interno del proprio territorio, mentre altre – come osserva Swanson – potevano essere distaccate da una parte all’altra del paese rendendo più ardue le indagini dell’intelligence.

La raccolta di informazioni attuate sull’oggetto IED, in questo caso chiamate WTI (Weapon Technical Intelligence), sono la parte più importante per seguire le tracce di chi rifornisce i fabbricatori di IED. Al principio le persone in grado di fabbricare un ordigno non erano molte e ancora oggi tutto il know-how su come costruirli è in mano a pochi uomini. Secondo McFate questo potrebbe rappresentare un vantaggio per le forze della coalizione poiché: “if bombmakers are captured or killed, their expert knowledge dies with them”23. I dati WTI raccolti interagiscono vicendevolmente con le procedure tattiche della dottrina COIN e in particolare con i dati emersi dalle operazioni speciali. Grazie ai rilevamenti biometrici effettuati sugli esplosivi disinnescati e rimossi, si è arrivati alla creazione di una banca dati “to associate a specific IED to a discrete individual, link cluster of devices to a specific bombmakers or IED cell”24.

Il secondo punto – Defeat the Device – riguarda più strettamente la distruzione dello IED. Per i militari impegnati in Iraq l’obiettivo principale era bonificare dalle trappole esplosive le poche strade principali. Rendere sicure le vie di comunicazione non significava solo distruggere gli IED “but also cover Intrer alia, mitigation of the effects, force protection and use of electronic countermeasures (ECM)”25.

L’ultimo punto, il più difficile da realizzare, si concentra sull’addestramento degli specialisti iracheni per affrontare autonomamente il pericolo degli IED. Gli Stati Uniti e altri paesi della NATO hanno speso molte risorse per assicurare attrezzature ed equipaggiamenti alle forze irachene e anche addestratori inseriti nei programmi di Military Assistance ancora oggi in atto a Baghdad.

Il dilemma degli insorgenti

Per affrontare una tecnologia C-IED sempre più precisa, gli iracheni hanno cercato di semplificare i loro ordigni, cambiandone i congegni, ma soprattutto modificando le loro TTPs. “The insurgency” – spiega Anthony Codesman – “has effectively found a form of low technology “swarm” tactics that is superior to what the high technology Coalition and Iraqi forces have been able to find as a counter”26. Un buon esempio di quanto afferma Cordesman riguarda il tipo di ordigni impiegato dagli iracheni dal 2005 in poi: gli IED radio controllati trovarono, infatti, un duro avversario nella tecnologia ECM anglo americana. I meccanismi di innesco ad onde radio furono sostituiti da IED a pressione: “For insurgents, the advantage to a pressure switch is that no one risk capture by remaining nearby to trigger the explosion”27. Inoltre i bombmakers iracheni cercavano di inserire sempre meno parti metalliche in modo da sfuggire ai metal detector.

La verità è che gli IED non possono essere sconfitti solo dalla tecnologia pertanto alla luce dell’esperienza acquisita i progetti come quelli dello JIEDDO – oggi ribattezzato più semplicemente JIDO (Joint Improvised-Threat Defeat Organization – sono da ritenersi soddisfacenti, ma non risolutivi. “An honest assessment” – sottolinea Cordesman – “of the insurgent Iraq War, and particularly of its political an ideological dimension, also illustrates that technology is not a panacea, particularly when the insurgency is far more “humancentric” than netcentric”28. Nel 2011, dopo cinque anni di lavoro e milioni di dollari investiti in progetti con società private, il pericolo degli IED era ancora lontano dall’essere risolto: “in fact, the rate at which soldiers are able to find IEDs before they explode has remained mostly steady, at roughly 50 percent, since JIEDDO was formed”29.

Dal 2003 in avanti sono stati raccolte delle informazioni che sono servite per uno sviluppo ancor più accurato della strategia C-IED sia in campo militare sia in quello civile. Senza entrare nei dettagli, oggi la minaccia degli IED si è allargata a tutti gli ambiti evolvendo in un continuo duello “cat and mouse” con la strategia C-IED. L’ordigno esplosivo improvvisato è dunque diventato una minaccia pubblica, un’arma economica che assorbe cospicue somme di denaro dai bilanci degli stati e miete innumerevoli vittime non solo nei teatri di guerra. Per i terroristi gli IED sono un’arma che esalta al massimo il concetto del “rapporto costi-benefici”. Costruire uno IED implica una spesa irrisoria, mentre la tecnologia per eliminarli può mandare in deficit il bilancio di qualsiasi stato. Per non parlare poi della diffusione “on-line” delle istruzioni per costruire un ordigno, facilmente consultabili da chiunque vogli immolarsi alla causa islamista. Esistono forum e siti internet dove sedicenti istruttori forniscono tutte le informazioni necessarie su come trattare gli esplosivi e su quali obiettivi siano più opportuni per causare maggiori danni30.

Nel 2003 gli IED iracheni paralizzarono per lungo tempo ogni attività cittadina irachena, minarono le infrastrutture e la credibilità del nuovo governo messo in piedi dagli americani. Gli iracheni, il cui concetto di sicurezza è sempre stato molto labile, hanno visto peggiorare ulteriormente la loro situazione soprattutto perché la coalizione non è mai riuscita a proteggerli veramente. Dal febbraio 2003 all’aprile 2006 la conta dei morti civili in Iraq ha raggiunto dei picchi impressionanti e con l’avvento dello Stato Islamico questo trend sembra attestarsi su valori sempre più alti31.

1 T. R. Mocktatis, Iraq and the Challange of Counterinsurgency (Westport Connectict, London: Praeger, 2008), 87.

2 Ididem, 95.

3 Addressing Improvised ExplosiveDevices. Options and Opportunities to Better Utilize UN Processes and Actors, UNIDIR Resoruces, 2015. URL: http://www.unidir.org/files/publications/pdfs/-en-641.pdf

4 A. Smith, Improvised Explosive Devices in Iraq, 2003-09: A Case of Operational Surprise and Institutional Response, The Letort Papers, Strategic Studies Institute, April, 2011, vii.

5 Iraq and the Challenge, 109.

6 “The International Atomic Energy Agency (IAEA), which is the United Nations’ watchdog agency for nuclear matters, said that their inspectors had seen the Al Qaqaa explosives in January 2003 and had affixed IAEA seals on the bunkers. By the time US soldiers showed up on 10 April, the explosives had disappeared”. M. D. Klingelhofer, Captured enemy ammunitionin operation Iraqi Freedom and its strategic importance in post-conflict operations, Us Army War College, Carlisle Barracks, 2005. URL: http://www.strategicstudiesinstitute.army.mil/pdffiles/ksil72.pdf

7 M. McFate, “Iraq: The Social Context of IEDs”, in Military Review, May-June 2005, 37. URL: http://www.au.af.mil/au/awc/awcgate/milreview/mcfate3.pdf

8 “An improvised explosive device began in the chemistry department which developed the explosive materials for the device. The electronic department prepared the timer and wiring of the IED and the mechanical department produced the igniter and designed the IED”. Ibidem.

9 “Car bombs, explosives hardwires to the ignition of a vehicle, and bombs attached to motorcycles are some of the weapon that are included in this category”. G. Lafree, “Developing An Empirical Understanding of Improvised Explosive Devices: A Social and Behavioral Science Perspective” , START, National Consortium for the Study of Terrorism and Responses to Terrorism” August 28, 2009, 3. URL: http://www.start.umd.edu/publication/developing-empirical-understanding-...

10 “Iraq – The Evolution of the IED”, CBRN World, Autumn 2008, 72. URL:http://www.cbrneworld.com/_uploads/download_magazines/08_autumn_IRAQ_EVO...

11 S. Swanson, “Viral Targeting of the IED Social Network System”, Small Wars Journal, Vol. 8, May 2007, 5. URL: http://smallwarsjournal.com/blog/viral-targeting-of-the-ied-social-netwo...

12 Ibidem, 6.

13 “Counter Improvised Explosive Device Strategic Plan – JIEDDO 2012-2016”, 3, URL: https://www.jieddo.mil/content/docs/20120116_C-IEDStrategicPlan_ExSum_Fi...

14 T. B. Smith-M. Tranchemontagne, Understanding the Enemy: The Enduring Value of Technical and Forensic Exploitation, Joint Force Quarterly 75, National Defense University Press, September 30, 2014, 2. URL: http://ndupress.ndu.edu/Media/News/News-Article-View/Article/577571/jfq-...

15 A. Oppenheimer, “IEDS: Meeting Future Threats” in NBC International, Summer 2008, 18. URL: http://www.iapscience.com/files/IED%20article.pdf

16 Improvised Explosive Devices, 13.

17 Ibidem, 14.

18 C. Wilson, Improvised Explosive Devices in Iraq: Effects and Countermeasures, CRS Report for Congress, November 23, 2005, 3. URL: https://fas.org/sgp/crs/weapons/RS22330.pdf

19N. Shachtman, “The Secret History of Iraq’s Invisible War, in Wired, 06.14.11, URL: https://www.wired.com/2011/06/iraqs-invisible-war/

20 D. Axe, “ The Great MRAP Debate: Are Blast-Resistant Vehicles Worth it?”, Breaking Defence, October 1, 2012. URL: http://breakingdefense.com/2012/10/the-great-mrap-debate-are-blast-resis...

21 T. B. Smith-M. Tranchemontagne, Understanding the Enemy: The Enduring Value of Technical and Forensic Exploitation, Joint Force Quarterly 75, National Defense University Press, September 30, 2014, 2. URL: http://ndupress.ndu.edu/Media/News/News-Article-View/Article/577571/jfq-...

22 Counter Improvised Explosive, 8.

23 Iraq: The Social Context, 38.

24 Undertanding the Enemy, 2

25 “Counter-Improvised Explosive Device Doctrine Review”, C-IED Centre of Excellence, 5. URL: http://www.ciedcoe.org/Galerias/documents/C-IED_Doctrine_Review.pdf

26 A.H. Cordesman, Iraq’s Evolving Insurgency, Center for Strategic and International Studies, December 9, 2005, iii.

URL:https://csisprod.s3.amazonaws.com/s3fspublic/legacy_files/files/media/cs...

27 R. Jervis, “Pressure-Triggered Bombs Worry U.S. Force”, US Today, October 24, 2005. URL: http://usatoday30.usatoday.com/news/world/iraq/2005-10-24-roadside-bombs...

28 Iraq’s Evolving, viii.

29 P. Clary-N. Youssef, “JIEDDO: The Manhattan Project that bombed”, in The Center for Public Integrity National Security, March 27, 2011. URL: https://www.publicintegrity.org/2011/03/27/3799/jieddo-manhattan-project...

30 A. Stenersen, Bomb-Making for Beginners’: Inside al Al-Qaeda E-Learing Course, in Perspectives on Terrorism, Vol. 7, Issue 1, February 2013, 30-37. URL: https://www.ffi.no/no/Forskningen/Avdeling-Analyse/Terra/Publikasjoner/D...

31 Solo in Iraq dal dicembre 2012 al novembre 2013 ci sono stati 7.347 incidenti causati da IED con un numero di 22.466 vittime; dal dicembre 2013 al novembre 2014 c’è stata una leggera flessione ma dal marzo 2015 al febbraio 2016 l’Iraq si è guadagnato il triste primato di primo paese al mondo con il numero di vittime causate dagli IED con 12.045 incidenti e 34.431 morti. “Iraq-Syria Daesh IED Report”, CIED COE, June 2016. URL: http://www.ciedcoe.org/Galerias/documents/Jun_2016/20160609_IRAQ-SYRIA_D...

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