Goffredo Mameli, il corpo e lo spirito della nazione

(di Alessandro Ghinassi)
02/09/16

Per molti concittadini Mameli è “quello” che ha scritto l’Inno d’Italia, ma poco si sa della sua intensa e breve vita. Lo stesso Inno è poco amato, la patria dei grandi musicisti come Verdi, Rossini, Puccini, Donizetti, sembra essere poco rappresentata  dalla “marcetta” del “Canto degli Italiani”.

Ma le cose non nascono per piacere, la storia non è un discount a scaffali dove prendere ciò che più ci attira e soddisfa. La storia è la vita degli uomini e delle loro gesta, e la vita di Mameli è la vita di un uomo, di un intellettuale, di un patriota e di un martire.

Quando Goffredo Mameli muore a soli 22 anni, il 6 luglio 1849, l’Italia unita era ancora un miraggio, un sogno irraggiungibile. Molti dopo la disfatta della Repubblica Romana di Giuseppe Mazzini si convinsero che l’Italia Unita non avrebbe mai visto la luce. Troppi nemici fuori e dentro la penisola italiana remavano contro l’unificazione, e soprattutto la repubblica di Mazzini sembrò aggravare le contraddizioni del processo Unitario - La Repubblica Romana apparve troppo sconveniente per conciliare il paese che doveva essere del Papa e dei Savoia. Cavour capì bene la situazione e da uomo pragmatico quale era disegnò una strada per l’Unità che prevedeva i Savoia e il papato a discapito delle idee di Mazzini e dei mazziniani.

Ma torniamo a Mameli. Gli eventi che caratterizzano la vita di Mameli si consumano velocemente, nell’arco di soli tre anni. Diciannovenne, ancora studente, aderì alle idee del risorgimento italiano e preferì una vita di sacrifici ad una agiata carriera diplomatica, dato che proveniva da una antica e benestante famiglia nobile. Nel 1846, compose la poesia “Fratelli d’Italia” che iniziò a circolare tra gli studenti e i circoli risorgimentali genovesi, ma non era ancora un canto. Nel 1847, Mameli contattò il musicista Navaro per dare una musica compiuta alla sua poesia. Il canto che ne venne fuori e che venne anche indicato come il “Canto degli Italiani”, fu cantato per la prima volta durante i moti di Genova di cui Mameli fu uno degli organizzatori. Il 10 dicembre 1847, in occasione della commemorazione della rivolta del 1746 dei genovesi contro gli austriaci, nelle piazze di Genova, all’insaputa delle autorità, i patrioti iniziarono a sventolava il tricolore e a distribuire dei volantini con il canto di Mameli-Navaro e fu subito un successo “mediatico".

Per le sue gesta piene di entusiasmo e le sue capacità intellettuali e organizzative il giovane studente e patriota Mameli fu arruolato nelle fila rivoluzionarie e fu portato al cospetto di Mazzini. Nella primavera seguente, a soli 21 anni era già un personaggio di spicco del movimento, e con Bixio si fece promotore, durante i moti del 1848, della spedizione dei trecento volontari per la liberazione di Milano che diedero vita alle 5 giornate e, in virtù dello straordinario successo dell’episodio, che vide il passaggio di mano del potere milanese dagli austriaci a patrioti, venne arruolato come ufficiale nell'esercito di Giuseppe Garibaldi.

L’eco delle 5 giornate di Milano infiammò la penisola, i patrioti si convinsero che era possibile liberare l’Italia dello straniero. A Roma, Papa Pio IX, che in un primo tempo sembrava volesse sostenere la causa italiana, cominciò a temere per il potere temporale della chiesa. La posizione ambigua del Papa portò la popolazione di Roma alla rivolta e Pio IX fu costretto alla fuga a Gaeta.  I risorgimentali riuscirono a indire una costituente e a proclamare la Repubblica a Roma. Il Papa in esilio chiamò in soccorso i francesi per restaurare il papato. Dal canto loro i patrioti chiamarono le truppe volontarie di Garibaldi, il quale aderì immediatamente e con lui Mameli e il Canto degli Italiani venne adottato fin da subito come Inno della Repubblica Romana.

Non ci fu molta partita, i francesi di Napoleone III meglio organizzati e maggiori in numero ebbero la meglio e l’esperienza della Repubblica Romana finì presto (9 febbraio - 4 luglio 1849). Negli scontri, il 3 giugno, Mameli si ferì ad una gamba e morì il 6 luglio 1849 di cancrena, poco dopo essere stato nominato capitano, con nel cuore la disfatta della Repubblica e il sogno di una Italia unita che svaniva.

Mameli morì come cittadino romano, in quanto perì per la difesa della Repubblica Romana e quindi venne seppellito al Verano, il cimitero monumentale di Roma, con una tomba che riporta le insigne della città di Roma. Dopo di che, di Mameli non si parla più, una volta raggiunta l’Unità d’Italia nel 1861, i Savoia scelsero come inno del nuovo Regno la “Marcia Reale” e del Canto degli Italiani non si ebbe più traccia.
Nel 1941 la prima svolta. Mussolini era in forte crisi di consensi, il fascismo da tempo aveva esaurito la sua spinta propulsiva, e allora ebbe un’idea, egli volle riscoprire le radici repubblicane del risorgimento italiano per dare una immagine giacobina e patriottica ad un regime ormai logorato da anni di dittatura e dalla guerra. Organizzò in pompa magna la traslazione della salma di Mameli dal Verano al Gianicolo, luogo della battaglia a difesa della Repubblica Romana e dove Mameli venne ferito.
Una cerimonia laica che interessò tutta la città di Roma, un lungo corteo dal Verano fino al Gioanicolo passando per le maggiori piazze della città. Fiori, lacrime, scene di regime certo, ma anche di un sincero affetto per un episodio, quello della Repubblica Romana, che era ancora vivissimo nell’immaginario collettivo. Il corteo non salvò il fascismo, e Mussolini si avviò  alla inesorabile disfatta, e con lui quella di tutto il paese. Il 2 giugno del 1946, dopo la liberazione, gli Italiani scelsero la Repubblica, e la Marcia Reale fu chiusa in un cassetto e allora si pose il problema di trovare un inno che riunisse le varie anime di un paese nelle macerie oltre che fisiche, anche morali.
Avvenne la seconda svolta. Nel consiglio dei ministri del 12 ottobre 1946, il Ministro della Guerra propose l’Inno di Mameli come canto per le Forze Armate, e da li si estese a Inno provvisorio per l’Italia repubblicana.
Ma ancora non ci fu pace ne per Mameli ne per l’Inno. Molti esponenti delle Forze Armate avrebbero preferito la canzone del Piave, e non la canzone legata ad un oscuro episodio del passato, peraltro finito male. La sinistra Italiana avrebbe preferito l’Inno di Garibaldi, la sinistra radicale lo giudicava troppo militaresco, la borghesia colta invece avrebbe preferito il “va pensiero” di Verdi. La destra monarchica non digeriva la Repubblica, figuriamoci l’Inno, e comunque la destra vedeva scomparire tutti i simboli del precedente regime e per i cattolici era troppo legato ad episodi anti papalini. Insomma non piaceva proprio a nessuno, per questo, come da buona tradizione italiana, era quello giusto.

Le polemiche non si sono mai sopite del tutto. La ricostruzione, il bum economico, il periodo del terrorismo e delle lotte studentesche, tangentopoli, durante qualsiasi fase della storia della nostra recente Repubblica c’è sempre stato un motivo per attaccare il canto di Mameli.
A partire dagli anni 2000, la terza svolta. Ciampi prima e Giorgio Napolitano dopo, imposero l’inno in tutte le manifestazioni ufficiali a partire da quelle dove era presente il capo dello Stato. Disse Carlo Azeglio Ciampi, allora presidente della Repubblica: È un Inno che, quando lo ascolti sull'attenti, ti fa vibrare dentro; è un canto di libertà di un popolo che, unito, risorge dopo secoli di divisioni e di umiliazioni.