Gli UAV e la morte dal cielo

(di Denise Serangelo)
25/08/15

Non esiste suono peggiore se non quello della morte silenziosa.
Così, con ronzio anomalo dell'orecchio, vede la fine dei suoi giorni Fadhil Ahmad Al-Hayali il vice Califfo dello Stato Islamico. 
L'automobile su cui viaggiava è stata incenerita da un attacco di missili Hellfire ( HELicopter Launched FIre and foRgEt missile - missile elilanciato spara e dimentica). La morte silente è arrivata, nemmeno a dirlo, sparata da un drone americano. 

Fadhi Ahmad Al-Hayali al secolo Haij Mutaz  coordinava lo spostamento di armi, esplosivi, veicoli e persone tra Siria e Iraq, da poco si occupava anche delle operazioni legate al califfato proprio in quest'ultimo.

Gli analisti riconducono alla figura di Haji Mutaz l'espansione dell'IS in Iraq, un grande traguardo se nella vita fai il terrorista ma che rischia di tramutarti nell'ignaro destinatario di un testata perforante da 8kg.

Il 18 agosto 2015, il drone ha consegnato il suo carico speciale piovuto dal cielo, il cacciatore è diventato preda proprio nel luogo dove si sentiva più al sicuro. Casa sua.

Una perfetta operazione d’intelligence portata a buon fine anche e soprattutto grazie all'uso dei velivoli a pilotaggio remoto. Un must ormai immancabile sui cieli delle zone ad alto rischio.

Questi piccoli (ma neanche tanto) gioielli della tecnologia militare sono figli di team composti da ingegneri e programmatori che tentano in tutti i modi di rendere meno personale la guerra, di renderla più intelligente e precisa. Il 18 Agosto ci sono riusciti e non solo. 

Nella notte tra il 22 e il 23 agosto, quattro sospetti militanti di al Qaeda sono stati uccisi in un raid effettuato da un velivolo statunitense senza pilota ad al Mukalla, città dello Yemen meridionale. La dinamica è quasi uguale a quanto avvenuto qualche giorno prima: i quattro si trovavano a bordo di un’automobile sulla pista dell'aeroporto di al Mukalla quando sono stati colpiti da un missile lanciato da un drone che li ha uccisi all'istante.
Il raid segue un episodio simile avvenuto venerdì 21 Agosto, dove tre sospetti militanti di al Qaeda sono stati uccisi mentre attraversavano la provincia centrale di Marib.
Gli Stati Uniti sono l'unico paese ad utilizzare droni armati nei cieli dello Yemen.

All'inizio di agosto, quando in Italia ci si preparava alle vacanze in Afghanistan si scrutava il cielo in attesa della "morte silenziosa".

Nella giornata del 5 Agosto infatti diversi raid americani hanno condotto ben 66 terroristi - 40 di Al-Quaeda e 26 dell'IS - a miglior vita con l'uso di droni armati e guidati dalle basi americane su suolo statunitense.

Da qualche decennio ormai i droni sono usciti fuori dalla mente dei grandi sognatori che li hanno progettati per diventare una realtà tangibile ed affascinante. Una realtà talvolta scomoda e sicuramente complessa che ci stiamo rifiutando di affrontare in modo appropriato sotto molti profili, in primis quello etico - legale.

Gli UAV sono stati presentati al mondo come la grande rivoluzione che in effetti sono per il mondo militare; precisi, infallibili e letali. Sono considerati dagli addetti ai lavori l'arma di punta di ogni esercito. 
Partendo dall'assunto universale che un'arma infallibile non esiste, bisogna anche vedere i limiti che un drone porta con sé. 
Sfortunatamente - e questo non potrà mai cambiare - i danni collaterali legati ad un bombardamento aereo rimangono, il drone armato è una valida alternativa ai pesanti bombardieri e alle truppe aviolanciate, ma è comunque una proietto bello grande che dovrebbe colpire elementi molto piccoli.
Come aumentare in maniera considerevole la precisione verso il target umano, discriminando tra innocenti e colpevoli e ancora oggetto di studio per gli addetti ai lavori.

Chi pensa che gli UAV siano la versione 2.0 della guerra aerea si sbaglia, i limiti di questi miracoli tecnologici sono gli stessi che caratterizzavano le prime battaglie aeree. La terza dimensione, per quanto più tecnologica e precisa, non basta a far vincere la guerra, sicuramente ci permette di ottenere un grande vantaggio strategico e tattico ma non di vincere. Le dimostrazioni sono tante dal Vietnam allo Yemen, passando per la Somalia fino all'Afghanistan.

All'aviazione si è attribuita una magica aura di onnipotenza, dall'alto si controllano i territori con un delicato sistema di intelligence ma il controllo effettivo e materiale non lo può certo fare una macchina.

Quello che è fondamentale sottolineare è che l'aviazione - droni compresi - hanno un fortissimo impatto dissuasivo e di deterrenza. 
Talvolta basta far decollare qualche bombardiere per inoculare quel terrore di essere sempre sotto tiro ai nemici.

A Bassora -  durante l'invasione del 2003 - i bombardamenti furono così intensi che ancora oggi i bambini sono traumatizzati e tremano al solo pensiero che un velivolo possa volare sopra le loro teste. 
Prima di impiegare un velivolo a pilotaggio remoto per operazioni a fuoco, è necessario un accuratissimo lavoro di  Human Intelligence per identificare e colpire l'obbiettivo in quel momento più significativo.

Nonostante le meraviglie che questi giocattoli molto costosi possono compiere ci sono delle limitazioni di carattere politico che ne frenano l'uso nei teatri operativi. In particolar modo per gli Stati Uniti che attualmente è l'unica Nazione ad usare droni armati (diversi dai droni per sorveglianza) nelle aree di operazione.

Essendo a tutti gli effetti equiparabili a degli aerei da combattimento non è possibile che un UAV sorvoli lo spazio aereo di un paese straniero senza che quest'ultimo gli dia l'autorizzazione. Equivarrebbe ad una dichiarazione di guerra.

In Paesi fortemente destabilizzati e privi di un governo legittimo il problema del sorvolo di uno spazio aereo statuale non è un problema, la Somalia ne sa qualcosa per esempio.

Il 17 Marzo di quest'anno un Predator dell'Air Force è stato perso durante una ricognizione notturna in Siria, dalle parti di Latakia.
Peccato che tale operazione si sia rivelata un controllo ravvicinato delle roccaforti di Assad invece che un raid per distruggere le postazioni dello Stato Islamico. Il sorvolo del drone in uno spazio aereo non autorizzato è una gravissima violazione del diritto internazionale e soprattutto del concetto di statualità di una Nazione, anche se in lotta come quella siriana.

Le sempre più complesse discussioni legate ai droni, tuttavia, non sono solo di carattere prettamente militare. 
Le implicazioni etiche - che ci piaccia o no dobbiamo usare proprio questo termine - dell'uso di queste tecnologie sono molteplici, senza contare i risvolti psicologici di chi le utilizza.

I droni armati utilizzati per l'abbattimento dei target umani ha fatto enormi passi avanti, sono sempre più piccoli, silenziosi e tuttavia inaffidabili. 
La certezza matematica che il target sia stato individuato dal mezzo è vicina al 100% ma l'assoluta precisione non esiste.

Dobbiamo considerare che sono mezzi altamente tecnologici che sfruttano programmi sofisticati ma che sono comunque stati progettati da menti umane e dunque imperfette. 
L'errore dei programmatori rende queste macchine a loro volta fallaci e il nostro errore più grande è dar loro un potere - quello dell'onniscienza - che non hanno.

Nella realtà dei fatti è già capitato di trovarsi con un drone armato e funzionante prossimo al target con quest'ultimo che a sua volta era in compagnia della sua famiglia oppure in un luogo molto affollato. 
Il dilemma etico e morale è il seguente: "ne salvo 10 o 100 e lascio andare il mio obbiettivo che a sua volta mi porterà un numero rilevante di vittime oppure ne uccido un centinaio compreso il mio target e salvo delle vite future?".

A questa crisi di coscienza nessuno ha mai dato risposta ne i piloti dei bombardieri della seconda guerra mondiale ne i piloti - in remoto - dei droni.

Proprio dalle questioni morali sopracitate derivano i problemi legati che andremmo ora ad esporre. 
Come abbiamo già accennato un obbiettivo prima di diventare tale subisce un lavoro di intelligence accurato e puntiglioso. Sull'acquisizione si confrontano analisti militari, esperti di geopolitica e politici stessi. Nessuno interpella avvocati o giudici, il processo decisionale alla base dell'acquisizione di un target umano è in realtà un miniprocesso senza giuria ne difesa.

Se qualcuno stabilisce che sei colpevole ( o innocente ) lo fa solo ed esclusivamente sulla base di informazioni specifiche a lui riportate. Quella persona, prima di diventare un obiettivo militare, non è stata giudicata colpevole da nessuno.

Le domande sono: è conforme tutto ciò al concetto di democrazia che stiamo esportando? Il fine giustifica i mezzi, sempre e comunque? 
Possiamo rimanere a parlarne anche per tutta la vita, ma qualsiasi persona con cui discuteremo delle implicazioni morali dei droni avrà una sua opinione a riguardo dettata dalla sua personale visione del mondo.

A queste domande di ordine etico - legale non sarebbe nemmeno giusto che dessero risposta dei militari e nemmeno degli analisti, esistono eccellenti docenti di etica ed esperti in materia a cui sarebbe bene affidarci nel mondo. 

L'Italia è stata direttamente coinvolta nella diatriba: "drone sì, drone no" con la morte del cooperante nostro connazionale Giovanni LoPorto. 
Durante il blitz delle forze statunitensi i due ostaggi in mano ai terroristi sono deceduti, tra questi appunto, Giovanni. 
"Un altro danno collaterale" lo definiscono alcuni, ma Giovanni LoPorto era un "danno" da considerare affinché il lavoro fosse svolto in modo corretto. Invece no, per lavarsi un po’ la coscienza gli uomini accusano le macchine un tempo considerate infallibili.

Ma se le macchine sono infallibili allora cosa è andato storto?  La risposta più semplice ed obbiettiva è che il più grande errore di queste macchine siano i suoi operatori. I droni perfetti sulla carta sono governati da un centro decisionale che non è altrettanto perfetto, la mente umana è infatti un soggetto che spesso manca l'obbiettivo ed è vittima della sua stessa natura.

Il drone fa solo quello che gli viene detto e viene usato in base alle sue caratteristiche di progettazione, un drone non è cattivo o buono a seconda di come lo vogliamo dipingere nelle pagine di cronaca. 
Se un drone fallisce è perché prima di lui ha fallito un uomo in carne ed ossa e dunque prima di mettere la parola fine all'uso dei droni iniziamo a pensare di usare persone più qualificate per macchine così complesse.
Gli aeromobili a pilotaggio remoto sono per loro definizione "senza pilota", semplici strumenti di morte implacabili e impersonali, pilotati da chissà quante migliaia di chilometri di distanza.

La realtà è diversa, come sempre dalla narrazione giornalistica e scandalistica, i droni sono macchine guidate da uomini addestrati per farlo. Non decollano da soli e non prendono decisioni autonome, se gli si comanda di sparare, quello spara. 
Una macchina può essere intelligente solo se l'uomo la usa con intelligenza.

Se per noi occidentali - civili in primis - l'uso dei droni è soprattutto una questione morale, come è quali vantaggi offre dunque un UAV all'apparato militare.

Il primo vantaggio è il costo. In un momento in  cui qualsiasi decisione è presa puntando al risparmio assoluto il drone rappresenta una perfetta unione tra prestazioni e costi. Il denaro sborsato tra progettazione e acquisto del mezzo è esoso ma si ripaga in automatico perché il suo impiego richiederà una minor presenza di militari sul terreno ed un conseguente risparmio. Infatti il concetto di drone, nasce proprio dalla necessità di avere un controllo dall'alto del territorio occupato, espandendo a dismisura il concetto di intelligence.

Immaginiamo un territorio come quello Afghano, dove le aree  urbane sono densamente popolate e l'urbanistica lascia molto a desiderare. 
L'impossibilità di passare con veicoli militari pesanti ed iper-corazzati per le tortuose stradine è evidente, optare per mezzi più leggeri rischia di essere altamente rischioso e di cadere vittime di imboscate.
Assurdo è far passare truppe appiedate per gli stretti vicoli, magari densamente popolati. La necessità di una sorveglianza costante e capillare è alla base dell'intelligence, soprattutto in teatri altamente asimmetrici come quelli moderni.

Allora come fare? Gli UAV sono la risposta.

Dotati di grandissima autonomia e di riprese ad altissima risoluzione, i velivoli a pilotaggio remoto sono inviati nelle zone prima difficilmente accesso  per fare sorveglianza dall'alto. 
La deterrenza psicologica è un importante ruolo svolto dalla sorveglianza massiva dal cielo.
La consapevolezza di essere controllati ogni giorni, con precisione millimetrica, genera una diversa dimensione psicologica nelle popolazioni sorvegliate.

Il drone essendo una nuova tecnologia ha anche una visibile ricaduta sull'economia del paese che li produce. L'Italia è in prima linea in questo settore insieme ad altre big company europee. 
Alenia Aermacchi (gruppo Finmeccanica) sta costruendo droni da ricognizione, in team con la tedesca Cassidian e la francese Dassault Aviation.

Nel 2013 Piaggio Aero industries ha presentato il nuovo aereo Uav P.1HH Hammerhead, evoluzione di un bimotore a turboelica, per «missioni di sorveglianza, intelligence e ricognizione».
In cantiere c'è poi il drone killer italiano (ma sarebbe meglio dire europeo) Male - Medium Altitude Long Endurance - per bombardamenti a lunga distanza.
Il progetto è stato considerato altamente riservato e segretissimo, mai citato nei bilanci della Difesa, fino alla fine dello scorso anno.

La manutenzione di questi velivoli sarà ovviamente delle aziende costruttrici che potrebbero ramificare su territorio italiano ed europeo diversi poli di mantenimento operativo. Questo porterà ad un incremento dei posti di lavoro e una maggior occupazione. 

Il secondo aspetto da valutare è più che altro legato alla sfera strategica delle operazioni militari: la componente umana e l'opinione pubblica.

Gli UAV ovviamente non hanno bisogno di personale militare a diretto contatto con la minaccia limitano il dispiegamento di truppe, si limita così anche e soprattutto l'eventuale perdita di vite umane che ha un grosso impatto sull'opinione pubblica.

Perdere un drone è un fatto trascurabile - nonostante il prezzo - quando muore un soldato la Nazione si ferma, si interroga, si domanda. Dalle domande nascono i dubbi e dai dubbi nascono le opposizioni. Nessun governo rischierebbe di essere messo in discussione, potendo impiegare mezzi mano scandalistici.

Nonostante la componente umana sia ridotta ai minimi storici anche i piloti di UAV soffrono di un concreto problema di disordine da stress. 
Questo disordine cognitivo deriva da uno sdoppiamento dei piani con cui ci si relaziona alla quotidianità: un piano reale e uno virtuale.

Un pilota di droni è chiuso per diverse ore in una cabina di pilotaggio, sa di essere seduto dalla parte "giusta" del mondo, ma al contempo è consapevole di esercitare il suo potere in una parte sconosciuta e lontana del globo.
Finito il suo lavoro - che sia di sorveglianza o di attacco - torna a casa dalla moglie e dai figli, oppure dai suoi famigliari in generale. E' abituato a leggere la realtà dallo schermo del suo computer con cui - come in un gioco - miete vittime e controlla intere popolazioni. Solo nel 2014 le operazioni condotte in questo modo sono state circa 3.300, da droni militari Predator e Reaper , con 875 tra missili e bombe sganciati contro lo Stato Islamico in Iraq.

La difficoltà di leggere la realtà come andrebbe letta, ciò dal vivo, con i propri occhi e il difficile rapporto lavoro-famiglia crea un sempre meno gestibile problema di stress nei piloti di UAV.
Quando questo stress diventa insopportabile, perché non adeguatamente seguito, porta al congedo volontario.

Il colonnello James Cluff -  comandante del 432nd, che gestisce le operazioni dei droni da una base nei pressi di Las Vegas - ha dichiarato al NYTime: “Il fatto che i nostri facciano questo passaggio mentale ogni giorno, dal pensare ‘ecco, vado in battaglia’ al guidare per fermarsi a prendere del latte prima di tornare a casa da Walmart, sta mettendo pressione sulle famiglie e sui piloti stessi”.

Pare che non sia servita a nulla nemmeno l’istituzione dello Human performance team, una squadra composta da uno psicologo e un cappellano pronti ad aiutare i piloti in qualunque momento della giornata. Una soluzione, evidentemente, poco incisiva visto e considerato che i piloti di UAV che si sono congedati - nel 2014 - dall'Esercito americano sono numericamente di più rispetto a quelli addestrati per lo stesso ruolo.

Escludendo le implicazioni umane dell'uso dei droni, potremmo definire questa moderna tecnologia come "l'arma perfetta"?

Versatile, relativamente economico e ben protetto, il drone sembra rispondere a tutti i requisiti che si richiede ad un'arma per essere considerata perfetta.

La Boeing tuttavia non è dello stesso avviso e sta impiegando risorge ingenti per creare un anti-drone. 
High Energy Laser Demonstrator (HEL MD) è il primo vero killer di droni militari. Grazie a un contratto da 36 milioni di dollari con l'Esercito statunitense, l'azienda leader nel settore aereonautico, ci sta lavorando già da 10 anni.

Gli ultimi test presso la base aerea di Eglin in Florida, hanno dimostrato che le prestazioni raggiunte avvicinano il momento dell'impiego sul campo.
Il suo laser da 10 kilowatt è in grado di abbattere droni e colpi di mortaio, l'autonomia operativa è "illimitata" poiché nella versione prototipo montata su un veicolo pensante è sufficiente alimentare costantemente il serbatoio di gasolio del generatore. La super batteria agli Ioni di Litio fa il resto.
Visto che il sogno dei progettisti è di incrementare la potenza del laser a 50 / 60 kilowatt è probabile che in futuro si possa parlare della possibilità di intercettare missili, colpi di artiglieria e altre armi a lungo raggio.
Per usarlo bastano solo due operatori: uno addetto al velivolo e l'altro alle attività di tracciamento e fuoco. 

La Boeing ha scelto il metodo più complesso per distruggere un drone, ne esiste uno molto più immediato e sicuro: l'hackeraggio.

A lanciare l’allarme sulla possibilità di incursioni informatiche ai danni dei velivoli a pilotaggio remoto -  civili - è uno studio della Federal Aviation Administration.
Sfortunatamente si tratta di una vulnerabilità strutturale piuttosto rilevante,  che possono avere conseguenze importanti. 
Si capisce da soli che nel caso di un personal computer, il massimo danno che si può fare è rubare dei dati, per un velivolo il rischio è che si procurino danni fisici ad altre persone.
Tecnicamente il problema riguarda il sistema di controllo dei droni, che vengono gestiti tramite onde radio o wi-fi. Un hacker potrebbe dirottare il mezzo, assumendone il controllo senza lasciare possibilità all’operatore di intervenire.

Discorso diverso, invece, per i droni militari. Anche questi, in effetti, potrebbero finire nel mirino degli hacker ma la procedura è decisamente più complessa. In caso di "dirottamente" di un presidio militare - per esempio un Predator - il danno inflitto sarebbe ovviamente pari (se non superiore) allo sforzo che si è investito per dirottarlo. 

Guardando le statistiche però si evince che il problema principale di un drone è il drone stesso. 
I velivoli persi per incidenti superano di gran lunga quelli abbattuti o dirottati. Si scopre che metà dei 269 Predator nella mani dell'Air Force sono andati perduti a causa di malfunzionamenti.
I droni generalmente superano di gran lunga i 18mila piedi di altitudine, qui sono immuni dalle armi di piccolo calibro in dotazioni alla fanteria ma sono perfettamente rintracciabili da una batteria missilistica.
 
Smantellato lo stereotipo del drone infallibile , visto lo stress inoculato verso i soldati e le ricadute sulla popolazione civile ci sarebbe da chiedersi ma alla fine questi droni ci servono davvero?

Sembra tutto bellissimo e supertecnologico come in un film ma il sogno deve fare i conti con la realtà, soprattutto nel nostro paese.

Ebbene sì, i droni ci servono davvero.

A partire da ragioni di carattere prettamente economico - costo/benefici impagabile - per arriva a quelle prettamente operative - versatilità e protezione - gli UAV sono il futuro del combattimento ma non sostituiranno le attuali tecniche con cui si conduce un conflitto. 

Prendendo in esame un problema che riguarda il nostro paese da molto vicino : l'emergenza sbarchi e migranti.
Ebbene potrebbe essere proprio questa emergenza a giovare per prima dei servizi degli UAV.
In questo contesto, i droni sarebbero una soluzione economica ed ottimale ma sempre osteggiata dall'opinione pubblica che non si capisce bene cosa voglia.

L'ipotesi avanzata l'anno scorso dal governo Renzi era quella di mettere a disposizione del nostro paese velivoli a pilotaggio remoto per distruggere le barche dei migranti prima ancora che queste salpassero dalle coste libiche. 
Un piano economico al limite estremo ma lo scoglio principale è che gli Stati Uniti dovrebbero prestare il sistema d'arma.
Le basi per il decollo degli UAV non mancano al nostro paese che da Sigonella fino ad Amendola hanno team di esperti manovratori e poli di mantenimento per l'efficienza operativa. 

L'Italia - direttamente coinvolta nel traffico di esseri umani - potrebbe essere in prima fila nell'uso dei droni a scopo di ricognizione per combattere le partenze dalla Libia.
Il 28° gruppo "Streghe" del 32° Stormo dell'Aeronautica Militare di Amendola ha tecnologie assolutamente all'avanguardia che oggi usa per sorvegliare con precisione le zone di operazione sotto il controllo italiano.

I Predator "nostrani" si sono già distinti nel Corno d'Africa, dove collaborano per individuare i barchini dei pirati che imperversano al largo della Somalia e nella penisola arabica con la coalizione internazionale anti Isis.
Fino all'anno scorso i velivoli teleguidati hanno sorvolato anche il Mediterraneo nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum contribuendo a salvare numerose vite umane. 
I filmati ad alta risoluzione hanno permesso anche di individuare gli scafisti e di arrestarli una volta tratti in salvo sulla terra ferma. 

Checché se ne dica i droni a stelle e strisce continueranno a ronzare nelle orecchie di chi per mestiere semina terrore e distruzione. 
Il loro impiego in chiave antiterroristica dovrebbe essere ampiamente regolarizzato anche in Italia, aprendo finalmente dopo decenni, un chiaro e limpido dialogo a riguardo.

Ricordiamo che non esistono droni che compiono azioni autonomamente, non portano a termine missioni per cui non sono programmati, non prendono mai l’iniziativa. I droni sono solo un capro espiatorio di una manchevolezza umana. 
L'uso di queste macchine magnifiche dipenderà soprattutto dalla chiarezza con cui se ne vorrà parlare in futuro in Europa e nel mondo con una legislazione chiara ed univoca che permetta loro di esprimersi al meglio delle loro capacità tecnologiche.

Fino a quel momento, i droni, sorvoleranno i nostri cieli in modo cieco e sordo portando - a chi lo merita - il dono della morte.

(foto: US Air Force / Difesa / Boeing)