Vittorio Veneto: fu vera gloria?

(di Tiziano Ciocchetti)
04/11/20

Il 4 novembre 1918, sul Fronte Italiano, terminava la Grande Guerra (allora non venivano numerate), con l’Armistizio di Villa Giusti con gli austro-ungarici.

La Battaglia di Vittorio Veneto, combattuta dal 24 ottobre al 3 novembre 1918, è stato l’ultimo scontro del Regio Esercito sul Fronte Italiano. Ma fu veramente una battaglia decisiva per le sorti del conflitto?

Le perplessità riguardano non tanto il valore dei soldati italiani, la loro abnegazione dopo tre anni di sanguinosi assalti, dopo mesi di disperata resistenza sulla linea del Piave. Nascono piuttosto dalle condizioni in cui si combatté quella battaglia.

L’Impero Austro-Ungarico era in dissoluzione, il 12 novembre a Vienna sarebbe stata proclamata la repubblica. L’Esercito Imperiale, dopo lo straordinario sforzo (supportato da 7 divisioni tedesche) profuso per sfondare a Caporetto, era praticamente privo di rifornimenti e riserve. Interi reparti abbandonavano le posizioni, sebbene molti altri rifiutavano di ritirarsi ostentando un coraggio disperato.

Da parte dei Comandi italiani, probabilmente, si comprese che sarebbe bastato spingere e l’impalcatura sarebbe crollata (anche se questa spinta costò più di 28.000 perdite al Regio Esercito). Il Generale Caviglia, vero artefice di Vittorio Veneto, sfondò e vinse. Gli austro-ungarici si ritirarono per una settimana, inseguiti dai soldati italiani, fino a quando Vienna fu costretta a chiedere il cessate il fuoco.

A più di un secolo di distanza da una data per l’Italia comunque gloriosa, ancora si discute del perso e del significato di Vittorio Veneto.

Per quanto si riferisce al giudizio degli storici sulla battaglia, occorre evidenziare due opposti estremismi: quello dell’inglese Taylor “…gli italiani sbucarono da dietro le truppe inglesi e francesi, dove s’erano tenuti nascosti e nella grande vittoria di Vittorio Veneto – raro trionfo delle armi italiane – catturarono centinaia di migliaia di soldati austro-ungarici disarmati che non opponevano nessuna resistenza”. Il che, oltre ad essere una menzogna, si tratta anche di un falso storico.

Di contro c’è la retorica mussoliniana che proclamava: “le altre famose battaglie della storia impallidiscono al confronto”.

Bastava semplicemente raccontare come si era svolta la battaglia e mettere in risalto i fattori che, al di là dell’episodio bellico, avevano portato alla vittoria. Come i fatti che si sono preceduti a quel successo, vale a dire la Battaglia del Solstizio (Battaglia d’Arresto) del giugno precedente; la resistenza delle truppe del Generale Giardino sul Monte Grappa; ma soprattutto il miracolo della ricostituzione di un esercito dopo il disastro di Caporetto, quando i nostri reparti, prima che tatticamente, erano crollati psicologicamente e il rifiuto di proseguire nelle inutili “spallate” di Cadorna sull’Isonzo.

Caviglia, dopo aver condotto in salvo le divisioni di Badoglio (principale responsabile di Caporetto) fino al Piave, attraversò il fiume il 28 ottobre 1918 aggirando gli austriaci a Nervesa. Per la prima volta, nel coso del conflitto, un comandante dimostrava che si poteva condurre una guerra di manovra, dopo che per tre anni si era avanzati frontalmente subendo perdite spaventose.

Trento e Trieste vennero liberate e l’inutile strage finalmente terminò.