L'insolita fucilazione di un ammiraglio della Royal Navy

(di Marco Mostarda)
15/03/24

Il 14 marzo 1587 the honourable John Byng, admiral of the Blue, veniva fucilato da un plotone di esecuzione composto di nove Royal Marines sul cassero della HMS Monarch alla fonda a Spithead. L’esecuzione di Byng costituisce probabilmente la singola decisione di maggior rilievo nella storia istituzionale della Royal Navy nel XVIII secolo: un evento destinato ad avere un’influenza perdurante sull’evoluzione dello stile di comando, della conduzione delle operazioni e del pensiero tattico della marina britannica sino ad arrivare idealmente al nelsoniano “engage the enemy more closely”, ultimo segnale trasmesso a Trafalgar prima dell’inizio dello scontro a distanza ravvicinata con la flotta combinata franco-spagnola di Villeneuve.

Byng era stato posto agli arresti dopo essere tornato in patria a seguito del fallimento della spedizione di soccorso a Minorca e quindi processato sulla base della presunta violazione del dodicesimo degli Articles of War1, comminante la pena di morte per chiunque fosse stato trovato colpevole di essersi ritirato dall’azione, o di aver mancato di ingaggiare battaglia, per codardia, negligenza o disaffezione al servizio; quantunque la formulazione di questo capo d’accusa sembri alludere alla condotta ben poco incisiva dell’ammiraglio in occasione dello scontro con la squadra francese di La Galissonière al largo dell’isola, va ascritto a Brian Tunstall il merito di essere stato il primo ad aver argomentato in modo conclusivo come la condanna di Byng poco o nulla avesse a che vedere, in verità, col risultato della battaglia di Minorca; e molto, per contro, con la patente trasgressione degli ordini ricevuti, di cui l’ammiraglio si era reso colpevole sin dal suo scalo a Gibilterra il 2 di maggio del 1756.

Informato infatti che, non solo i francesi avevano già preso terra, ma che il St. Philip’s Castle era anzi cinto d’assedio dai 15.000 uomini del duca di Richelieu, già disperando del buon esito della missione, egli si era volentieri lasciato persuadere dal tenente generale Thomas Fowke, comandante della piazza di Gibilterra (deciso a non rinunciare in quel frangente a neanche un uomo del suo comando), a convocare un consiglio di guerra in cui si era unanimemente sentenziato che nulla si potesse più fare per salvare Minorca. Byng aveva pertanto deciso di non imbarcare quel battaglione, fra i quattro di stanza a Gibilterra, che i suoi ordini gli comandavano espressamente di tentare di introdurre nella piazza di Minorca in caso di assedio. E di tale decisione aveva peraltro data tempestiva quanto sconsiderata comunicazione a Londra!

In tale circostanza dichiarò, nelle sue comunicazioni al governo, che avrebbe comunque fatto rotta per l’isola, onde essere giudice imparziale della situazione della guarnigione. Ivi giunto, ancora una volta, fallì nell’ottemperare agli ordini ricevuti.

Un tiepido tentativo di stabilire un collegamento con St. Philip’s Castle, il giorno 19 di Maggio, andò in fumo appena si fu profilata all’orizzonte la squadra francese, di cui Byng si era subito messo in caccia concentrando tutte le forze disponibili. Sarebbe stato il primo e l’ultimo sforzo compiuto dall’ammiraglio per accertarsi personalmente dello stato in cui versavano Blakeney e i suoi all’interno della fortezza assediata. Dopo i gravi danni subiti dai bastimenti della propria avanguardia durante la battaglia del giorno 20, egli convocò nuovamente un consiglio di guerra e, manovrandone accortamente i pareri espressi mediante la presentazione di una serie di quesiti tendenziosi circa le magre chances di alleviare le condizioni degli assediati, nuovamente quel consesso si espresse all’unanimità sull’impossibilità di prestare soccorso alcuno agli assediati di St. Philip’s Castle. Ancora una volta di questa risoluzione l’ammiraglio inviò sconsiderata comunicazione a Londra, tal che Tunstall ha agio nell’illustrare come quei due dispacci, una volta ricevuti dal gabinetto Newcastle e dal re, sortissero l’effetto di una bomba, segnando sin da allora la sorte di Byng.

Le Fighting Instructions non parlavano di assedi da levare o di guarnigioni da soccorrere, né prescrivevano pene a fronte del fallimento nell’ottemperare a simili istruzioni; ragion per cui si decise – tramite una conveniente aberrazione giuridica – di condannare a morte Byng per un crimine che non aveva commesso, ma che era contemplato dai regolamenti della Marina, di modo che fosse punito per le manchevolezze di cui si era reso colpevole, ma di cui non era perseguibile a norma di legge.

Per ulteriori dettagli sulla vicenda e le sue implicazioni rimando alla mia recensione di Brian Tunstall, Admiral Byng and the Loss of Minorca, London: Philip Allan & Co., 1928, pubblicata sul Fascicolo 11, Anno 3 (giugno 2022) di Nuova Antologia Militare; un libro che, a novantasei anni di distanza dalla sua prima pubblicazione, rimane il più importante contributo sulla battaglia di Minorca e le vicende processuali di Byng conclusesi in modo così drammatico.

Personalmente non mi stancherò mai di sottolineare che, quantunque le conclusioni sul piano storiografico cui giunsero nelle loro rispettive opere i padri fondatori della storia navale britannica, i vari John Knox Laughton, Herbert W. Richmond, W.C.B. Tunstall, Julian S. Corbett, siano ovviamente opinabili e siano effettivamente andate frattanto incontro anche a una profonda revisione (esempio ne sia l’interpretazione, recentemente ribaltata da Richard Harding in tutti i suoi punti salienti, che nel 1920 Richmond offriva del fallimento delle operazioni di assedio di Cartagena de Indias del 1741), i principii generali declinati attraverso l’analisi dei singoli casi storici da questi autori costituiscono ancora parte integrante delle moderne teorie del potere marittimo, rendendo pertanto la conoscenza delle opere storiche di quel periodo e di quella generazione di perdurante importanza.

Nuovamente, a titolo d’esempio, qual genere di dilemmi sospesi fra istanze di rigido accentramento del comando promosse dalle moderne tecnologie di comunicazione, e libertà di iniziativa necessariamente devoluta ai comandanti impegnati in azione secondo la migliore tradizione nelsoniana, autori come Corbett cercassero di affrontare in trasparenza dei loro lavori storiografici, è stata efficacemente sottolineata da lavori fondamentali della moderna storia navale come The Rules of the Games di Andrew Gordon e, più recentemente, dalla superba biografia intellettuale di Corbett scritta da Andrew Lambert (The British Way of War, Yale University Press, 2021).

1 12th articolo di guerra come riportato sul Byng’s defence, pg. 10 of CM “Every Person in the Fleet, who thro’ Cowardice, Negligence or Disaffection, shall in Time of Action withdraw, or keep back, or not come into the Fight or Engagement, or shall not do his utmost to take or destroy every Ship which it shall be his Duty to engage; and to assist and relieve all and every of his Majesty’s Ships, or those of his Allies, which it shall be his Duty to assist and relieve, every such Person so offending and being convicted thereof by the Sentence of a Court Martial, shall suffer Death.”

Foto: web

(articolo originariamente pubblicato su https://www.ocean4future.org)