Guardia di Finanza: la sua motorizzazione nasce dall’Esercito

(di Gianluca Celentano)
15/03/22

Un vero e proprio Corpo storico, costituito nel 1774 come Legione Truppe Leggere impegnate per la vigilanza fiscale ai confini del Regno di Sardegna, che si evolse a Guardia Doganale e poi in Regia Guardia di Finanza nel 1881 istituendo nel 1906 un comando generale affidato all’Esercito.

Partecipa ai cruenti conflitti mondiali registrando importanti perdite che segnano la struttura dell’istituzione.

Durante la Prima Guerra Mondiale furono 4.209 i caduti della Regia Guardia di Finanza impiegata al fronte come unità di fanteria tanto che D’Annunzio, colpito dall’audacia dei suoi uomini, nel 1920 le dedicò il motto “Nec recisa recedit” (Neanche spezzata retrocede).

Benché durante il conflitto il comando di Cadorna fosse stato criticato da più parti per il sacrificio di migliaia di vite e per gli inutili assalti frontali, il coraggio dei finanzieri fu una costante che permise la presa del Passo Ercavallo e la difesa del Pal Piccolo e del Pal Grande.

La movimentazione della Legione Truppe Leggere inizialmente era appiedata, ma più avanti per i compiti d’istituto vennero utilizzati cavalli e carri, poi biciclette alle quali si aggiunsero, agli inizi del secolo scorso, motoveicoli e autoveicoli.

L’evoluzione del Corpo non ha dimenticato la sua militarità acquisita nel secolo scorso, ma la percezione di molti è che si tratti di una élite ristretta e distinta, verso la quale si nutre una certa diffidenza per i delicati compiti svolti.

In effetti, in particolare con il nuovo secolo, il suo ruolo di controllo come forza di polizia appare prevalere sulla militarità.

Il Servizio automobilistico della Regia GdiF

L’accrescersi di compiti d’istituto obbligò quella che era la Regia GdiF a dotarsi di un parco mezzi sempre maggiore e, stando ai dati, contava al luglio 1946, 148 autovetture, 194 autocarri, 192 moto e 4 rimorchi.

La sua storia appare altalenante tra attese, conquiste e ricostituzioni.

Ciò nonostante il Corpo dovette attendere il maggio del ‘35 per istituire un servizio automobilistico interno e, proprio al Regio Esercito, va il merito d’aver organizzato le prime lezioni in tema automobilistico denominate Corso inferiore Automobilistico.

Pensate che, nell’attesa di una riforma legata a questo servizio, era concesso per necessità ai finanzieri di utilizzare i loro veicoli privati per i compiti d’istituto.

I corsi istituiti successivamente dal Corpo erano molto selettivi e non era difficile che molti candidati già in possesso di patenti civili venissero respinti.

Dopo il secondo conflitto mondiale e la difficile ricostruzione, ai veicoli italiani rimasti integri si aggiunsero diverse Jeep Willys e Chevrolet Fleetline di produzione statunitense.

Non è ben chiara dalle foto in bianco e nero la storia delle colorazioni d’istituto dei mezzi del Corpo, ma una nota del ‘35 emanata dal comando generale, permetteva che la colorazione variasse da auto ad auto in base alla scelta del Comando. In effetti, erano presenti verniciature nere, beige, rosse (vedi Guzzi Falcone) e verdone sino alla selezione del grigio antracite per le nuove Giulia Super verso la metà degli anni ‘60.

Gli Alfisti finanzieri

Questo termine è ricorrente nelle didascalie sulla storia della motorizzazione della Guardia di Finanza ed è legato soprattutto ai compiti anti-contrabbando.

La GdF era spesso chiamata a spettacolari inseguimenti dove non bastavano i segnali acustico-visivi per aprirsi la strada e bloccare i contrabbandieri.

Servivano veri e propri piloti formati dall’Alfa Romeo sul circuito ISAM (Istituto Sperimentale Auto e Motori) il capostipite di tutte le scuole di guida sicura nato nel lontano 1956.

Alfa 75 2.0 TS

Ultima vera regina della casa di Arese con una meccanica derivante dall’Alfetta e un design che riprendeva l’intramontabile linea a cuneo della Giulietta. Una vera auto da inseguimento (o da fuga), come la definiscono in GdF, con 148 CV e un differenziale a 4 satelliti con slittamento al 25%. Il che significa più controllo nei sovrasterzi di potenza e due gomme eventualmente in slittamento, non una (l’ASR non esisteva ancora). Un’auto da guidare con le doppiette (quelle vere) e assolutamente attaccata all’asfalto, oltreché all’epoca molto veloce, 205 km/h.

La novità nel suo tradizionale bialbero 4 cilindri da 1962 cm³ aspirato è la doppia accensione (due candele) per cilindro. Prestazioni quasi da turbo e un lungo lavoro ingegneristico per inclinare rispetto al piano della testata, le due valvole per cilindro a 46° contro gli 80° della testata originale. Per la ristrettezza degli spazi, la NGK ideò una coppia di candele di diversa misura specifiche per i motori twin spark garantite per oltre 100.000 km. Un’operazione di marketing in realtà, ma con risultati finali invidiati dal mondo automobilistico.

Qualche confidente mi informa che i copri cerchi della 75 TS, venivano rimossi per non costituire un pericolo durante gli inseguimenti. Infatti potevano staccarsi per la pressione dei pneumatici andando a colpire un passante. Una soluzione anche per aumentare il raffreddamento dei dischi dei freni scongiurando il fenomeno del fading.

Ho provato a chiedere se ci fossero elaborazioni a propulsore o assetto per aumentarne le prestazioni, ma sembrerebbe di no, quindi tutto in regola con il CdS.

Il VTLM LINCE dell’Esercito

Anche in occasione della Task Force all’operazione “Grifo” del 2006 presso il Regional Command West (RC-W), la GdiF è stata chiamata per missioni Nato all’estero incaricandosi del controllo dei confini e della formazione della Afghan Border Police. Per garantire la protezione degli operatori sul campo composto da 14 operatori e un un ufficiale inferiore, l’Esercito ha venduto al Corpo un Iveco Lince VTLM (prima serie), al quale in livrea tattica policroma è stata apposta la sola targa d’istituto della GdiF.

Oggi i mezzi in foggia militare sono pressoché sostituiti dalle derivazioni di quel caratteristico grigio antracite che riconduce subito all’identificazione del Corpo.

Foto: web / Guardia di Finanza